Don Lorenzo Milani nel 1959 (Foto: Wikimedia Commons)

Chissà cosa direbbe oggi della scuola 4.0 che avanza e dei miliardi del PNRR destinati “alla trasformazione di circa 100.000 classi tradizionali in connected learning environments (ambienti di apprendimento connessi), con l’introduzione di dispositivi informatici come pc, tablet e lavagne interattive.” Cosa racconterebbero, lui e i suoi ragazzi, in una Lettera ad una professoressa scritta in anni di riforme continue, DAD e abbandoni scolastici, disturbi di apprendimento e classi multietniche?

Siamo sicuri che sia l’ambiente “connesso” a creare inclusività e accesso allo studio o non ancora – e sempre – il motto che affisse alla porta della “sua” Barbiana, I care?

Sì, in inglese: mi prendo cura, mi riguarda. Lo stesso che Ursula von del Leyen ha proposto per l’Unione Europea. Non si sa se sia attualmente la scuola o l’UE, la più tradita dalla storia e dalla cronaca.

 

Gli alunni della scuola di Barbiana con don Milani (Foto: Wikimedia Commons)

 

Il 27 maggio cade il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, prete, educatore e scrittore che in 44 anni di vita intensa e indignata, ardente e violenta, scosse dalle fondamenta l’Italia classista dell’immediato dopoguerra e attizzò il Sessantotto, si circondò di nemici laici e accuse cattoliche, amò la pittura e si votò agli esclusi fino a tradire senza rimpianti le sue origini alto-borghesi, dedicandosi anima, corpo e spirito all’educazione dei più deboli. Moltissime le iniziative, dalla 32ma marcia di Barbiana per “una scuola per tutti” a cui parteciperanno anche il Presidente Mattarella e Rosy Bindi, presidente del Comitato del Centenario allo spazio virtuale creato da Indire per riflettere sul suo pensiero, dalle giornate di studio di Firenze e Modena, all’omaggio della Rai.

Il prete-maestro rivoluzionario

Personaggio scomodo e affascinante, protagonista di film, sceneggiati, due musical e una graphic novel, Lorenzo Carlo Milani Comparetti era nato a Firenze, figlio di una ricca e colta famiglia di scienziati e cattedratici che ben conosce il valore della cultura e mai capirà la sua conversione religiosa: alla cerimonia di tonsura, nel luglio del 1947 non si presentò nessun famigliare. Lorenzo viene nominato cappellano appena fuori Firenze e al cospetto di parrocchiani che sono braccianti, pastori e operai analfabeti si convince che sia dovere della Chiesa occuparsi anche, forse in primis, dell’istruzione dei suoi fedeli. Un prete-maestro che identifica la sua missione apostolica con quella educativa, rivoluzionando il panorama pedagogico italiano al pari di Mario Lodi e della Montessori, nella scia mondiale dei grandi pedagogisti del Novecento. La sua prima scuola popolare nasce qui, a San Donato:

con la lettura dei giornali e la spiegazione delle parole difficili, con il sovvertimento delle regole gerarchiche e la convinzione che solo la cultura e la parola possano aiutare chi è rassegnato ed emarginato. E’ risoluto, provocatore, sprezzante. Ed è solo l’inizio.

La curia fiorentina, per arginarne l’azione e il seguito, lo spedisce in una remota canonica del Mugello non ancora colonizzato dagli inglesi. Barbiana ha 124 parrocchiani, montanari e contadini di una terra poverissima, niente luce né telefono. Appena arrivato, gli portano latte, pane, insalata e don Lorenzo amerà questi poveri di averi ma non di spirito con tutta la furia di cui era capace, nel credo utopico e apocalittico che soltanto loro avrebbero potuto salvare il mondo sbagliato in cui viviamo.

 

La scuola di don Milani

La sua idea di scuola si conforma, ancora più viva e assoluta: si studia 365 giorni all’anno, tutto il giorno. Nessuna pausa, neppure la ricreazione, una forma di “ateismo attivo” che aborriva. Per convincere i genitori a mandarvi i propri figli, utilizza ogni mezzo, persino lo sciopero della fame. Infiammato della sua missione, crea una scuola di assoluta avanguardia: legge ai suoi ragazzi Socrate e i Vangeli, Gandhi e Pirandello, gli fa recitare Molière e Goldoni, vedere Ejzensteijn e Rossellini, leggere i giornali e la Costituzione, guardare le stelle e sviluppare le fotografie, studiare l’inglese e l’arabo, viaggiare per studio e imparare a nuotare per vincere la paura dell’acqua tipica dei montanari. E quegli anni di esperienze, di dedizione, di apprendimenti diventano i capitoletti caustici di Lettera ad una professoressa, j’accuse al sistema scolastico italiano, arretrato e classista, ma anche alla politica e alla società mondiali che condannano senz’appello chi non è ricco, colto, potente. E’ il 1967 e gli studenti pronti ad incendiare le piazze ne fanno il loro testo sacro mentre la critica lo accoglie molto freddamente. Uniche eccezioni, Pasolini e Rodari. Un libro cardine, destinato a creare polemiche schieramenti, come dimostrano nei decenni quelle innescate da Sebastiano Vassalli prima, da Paola Mastrocola poi.

«Violare la legge di cui si ha coscienza che è cattiva»

Ma non solo parlando di scuola ci piace oggi ricordare don Lorenzo Milani, perché i suoi messaggi, le provocazioni, l’indignazione e la sua passione ce lo rendono più che mai vicino e attuale. Prendete la sua Lettera ai cappellani militari con cui, nel 1965, risponde a coloro che con “leggerezza” avevano contestato l’obiezione di coscienza.

Ripercorrendo la Costituzione e la storia d’Italia, Milani smonta il concetto di patria e mette a fuoco quello di guerra, per dimostrare che, almeno dal 1860 in poi, la patria la si serve più obiettando che non obbedendo.

Potremmo, forse dovremmo, anche noi, guardando alla guerra che da oltre un anno abbrutisce l’Europa, allargare lo sguardo e allungare la prospettiva. Ne parlerà Alex Zanotelli il 28 maggio, nell’incontro dedicato “L’obbedienza non è più una virtù: l’insegnamento di Don Lorenzo Milani a 100 anni dalla nascita” che chiude a Roma l’edizione 2023 di Eirenefest, il festival del libro per la pace e la nonviolenza.

 

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Un intervento importante su un tema fondamentale, per ricordare un uomo di fede che trasformò la sua missione religiosa nell’essere “contro”, unica vera possibilità di proteggere gli ultimi. Queste parole volle sulla sua tomba, a Barbiana, sepolto con i paramenti e gli scarponi da montagna: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho la speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Lorenzo”

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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