René Magritte, La maison de verre

René Magritte, La maison de verre, 1939 (Foto: Studio Tromp © Rene Magritte, by Siae 2023)

Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo, capolavori per sovvertire lo sguardo

Il Mudec di Milano ospita la mostra con oltre 180 opere rivoluzionarie provenienti da uno dei più importanti musei dei Paesi Bassi. In un momento storico in cui è chiaro quanto il positivismo capitalista metta in pericolo la Terra, guardare a questi grandi sovversivi del ‘900 è più che mai indispensabile

Espressione gioiosa del surrealismo, il divano Mae West Lips disegnato da Salvador Dalì per il suo mecenate britannico Edward James (che suggerì all’artista di creare un divano basato sulla sua opera Mae West’s Face which May be Used as a Surrealist Apartment, dove le labbra scarlatte del sex-symbol di Hollywood Mae West sono reinventate come posti a sedere per un’ambientazione fantastica), è un’icona pop: cinque versioni create dallo stesso Dalì (e un numero imprecisato di copie) delle quali alla mostra al Mudec, il Museo delle Culture di Milano, dal titolo Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo, è possibile ammirare fino al 30 luglio 2023 quella del Museo Boijmans Van Beuningen, tra le più importanti realtà museali dei Paesi Bassi che all’istituzione meneghina ha prestato 180 opere, tra dipinti, sculture, disegni, documenti e manufatti, per rappresentare al meglio quello che è stato il movimento artistico che ha scosso l’Europa tra gli anni Venti e la fine della seconda guerra mondiale.

 

Mae West Lips Sofa di Salvador Dalì
Salvador Dalí, Mae West Lips Sofa, 1938 (Foto: © Salvador Dalí, Gala-Salvador Dalì Foundation by SIAE 2023)

 

Andrè Breton, nel 1924, nell’introduzione alla raccolta Poisson Soluble (dove 32 componimenti sono scritti secondo la tecnica dell’automatismo) che diventerà il Primo Manifesto del Surrealismo, lo descrive come:

«Automatismo psichico puro, attraverso il quale ci si propone di esprimere, con le parole o la scrittura o in altro modo, il reale funzionamento del pensiero. Comando del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica e morale».

Curato dalla storica dell’arte Els Hoek, del museo di Rotterdam, l’allestimento è stato realizzato dallo studio Corrado Anselmi, per dare ragione a quell’atmosfera lisergica e onirica sempre ricercata dai surrealisti, a cui fanno da controcanto i tanti contributi video di Storyville, con la curatela di Tiziana Cippelletti e in collaborazione con Umberto Nicoletti. Accompagnati dalla voce sensuale di Mae West, sulle note della celeberrima I’m in the Mood for Love (composta nel 1935 da Jimmy McHugh con il testo di Dorothy Fields) ci si immerge così tra le suggestioni delle prime sale dedicate alla rivoluzione surrealista e alle sue origini dadaiste.

 

È qui, sempre del pittore spagnolo, Couple aux têtes pleines de nuages, ritratto di coppia dello stesso Dalì e di sua moglie Gala, formato dai contorni delle cornici, dove i due assumono la stessa posizione di un quadro del 1858 molto amato dall’artista, L’Angelus di Jean François Millet: un contadino e sua moglie che recitano le preghiere serali nel loro campo (conservato al Museo d’Orsay di Parigi). A significare invece le radici dada, un’opera su tutte: Cadeau/Audace ready made di Man Ray del 1921 (in mostra una riproduzione del 1974, poiché l’originale è stato rubata durante la prima esposizione a Parigi), un ferro da stiro in ghisa con una striscia di 14 chiodi.

 

Guarda il video e ascolta I’m in the mood for love 

 

Sogno, caso, irrazionale, desiderio, alterazione sono le parole d’ordine del percorso che vede esposte opere come Il volto della guerra e Vénus de Milo aux tiroirs di Dalì (di cui in mostra viene ampiamente illustrata l’ossessione per Sigmund Freud), Again, the Gemini are in the Orchard di Leonora Carrington, Il mio primo amore di Man Ray, L’evaso di Max Ernst, solo per citarne alcune.

Fulcro della mostra, l’interesse dei surrealisti per le culture non occidentali.

«Si è cercato di creare un legame con lo spazio espositivo. Il Mudec rappresenta una vera e propria istituzione dato che si occupa da tempo di culture native, quindi, abbiamo creato una sezione intitolata “il surrealismo e le culture del sud globale” che cerca di far luce sull’interesse dei surrealisti per gli oggetti e le opere etnografiche», ha spiegato alla stampa Alessandro Nigro, professore di Storia della critica d’arte presso l‘Università di Firenze, curatore della sezione, dove per “sud globale” si intendono quei Paesi una volta identificati come “in via di sviluppo”; l’aggiunta della parola “globale” pone l’accento sulle risultanze del colonialismo e della globalizzazione nelle disparità tra nord e sud del mondo.

 

Il professore Alessandro Nigro
Il professor Alessandro Nigro, dell’Università di Firenze (Foto: www.unifi.academia. edu)

 

Tra i pezzi esposti, una selezione di reperti delle importanti collezioni del museo in dialogo con opere d’arte surrealista provenienti dal Museo Boijmans Van Beuningen, come Clarividencia (Chiaroveggenza) di Wifredo Lam, pittore cubano di origini cino-africane introdotto negli anni Trenta nel mondo artistico parigino da Picasso e Dora Maar. Per André Breton, di cui divenne un frequentatore dall’estate del 1939, illustrò Fata Morgana, poema del 1942.

 

 

Trova sede nella sala Simone Kahn con statuetta Vanuatu, fotografia di Man Ray del 1927: Kanh, moglie di Breton e donna di lettere oltre che amica di artisti, appassionata collezionista e gallerista indipendente, appare sdraiata e capovolta, con una statua proveniente da un arcipelago del Pacifico sul ventre. Arte politicamente impegnata, il surrealismo non faceva che celebrare l’irrazionale e l‘inconscio come veicoli per rivoluzionare l’esperienza umana, i modi di pensare e la società nel suo insieme.

«I surrealisti erano contrari al colonialismo, fecero proprio un manifesto nel 1931 “non visitare l’esposizione coloniale” e realizzarono anche una contro mostra», ha sottolineato Marina Pugliese, direttrice del Mudec.

 

Al saboteur tranquille, il sabotatore tranquillo come viene definito René Magritte, il compito di chiudere l’esposizione, in una stanza dove l’erba fitta del pavimento trova il suo ideale inizio ne La giovinezza illustrata del 1937, citazione di un passo de I canti di Maldoror (Les Chants de Maldoror), del Conte di Lautréamont, poema del 1869 molto amato dai surrealisti, in cui si legge:

«Bello come la retrattilità degli artigli degli uccelli rapaci; o ancora, come l’incertezza dei movimenti muscolari nelle pieghe delle parti molli della regione cervicale posteriore; (…) e soprattutto, come l’incontro fortuito su un tavolo di dissezione di una macchina da cucire e di un ombrello!».

Di fronte, Edward James, il facoltoso poeta che tanto foraggiò in denaro e ispirazione Salvador Dalì, compare nel ritratto Riproduzione vietata, del 1939: il suo volto non si vede ma sulla mensola, che come lo specchio non termina all’interno della tela, compare Les aventures d’Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe (nella traduzione di Charles Baudelaire): la realtà, insomma, deve essere guardata con un occhio nuovo, così da rinnovare il rapporto tra mondo e individuo su una base drasticamente opposta a quella prospettiva positivista borghese che si era infranta con gli oltre 35milioni di morti provocati dal conflitto del ’15-’18.

Oggi, che sempre più chiaro è quanto i principi razionalisti del capitalismo mettano in pericolo la Terra, sovvertire il sistema sembra auspicabile più che mai. Dalí, Magritte, Man Ray e il Surrealismo ha il grande merito di ricordarcelo.

 

 

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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