Diva. La vulva gigante che scuote il Brasile (e Bolsonaro)

L’opera di land art dell’artista Juliana Notari è stata inaugurata in un momento cruciale nella storia del Paese. Tra polemiche e attacchi politici di ogni genere, la scultura è un grido irriverente. Per una nuova prospettiva sulle donne e sul Pianeta

Questa volta, l’artista Juliana Notari l’ha fatta grossa. La sua vulva in collina, 33 metri di squarcio rosso nella terra del Parco dell’Usina de Arte, ad Agua Preta, non è piaciuta al presidente Jair Bolsonaro, né a molti altri nel paese. Difficile, d’altronde, che potesse suscitare la simpatia di un macho tra i machi, campione dichiarato del celodurismo sudamericano, che il primo gennaio, per inaugurare il nuovo anno, mentre il Brasile registrava un picco record di morti e contagi da Covid, si tuffava in mare a San Paolo tra gli applausi e le grida di una folla di sostenitori per nulla distanziati.

 

Bolsonaro, ovvero il Brasile in rovina

La posizione sulla pandemia dell’uomo “tutto d’un pezzo” non cambia nonostante la terribile progressione del virus: la morte è la fine di tutti noi aveva detto mesi fa, per poi annunciare più di recente che il Brasile è in rovina ma che lui non può fare niente, e nemmeno si vaccinerà. Il 31 dicembre, Bolsonaro è tornato anche a chiarire la sua posizione sull’aborto, in un tweet a commento della notizia della sua legalizzazione in Argentina fino alla quattordicesima settimana di gravidanza:

«Per quanto dipende da me e dal mio governo, l’aborto non sarà mai legalizzato in Brasile».

 

 

Zucchero e sangue

Solo il giorno prima, dopo undici mesi di lavoro fatto a mano da una squadra di venti uomini, Juliana Notari aveva inaugurato la sua scultura, Diva, nelle terre martoriate dalla produzione di canna da zucchero del Pernambuco, parecchi chilometri più a nord della Praia Grande che Bolsonaro avrebbe scelto per il suo bagno di capodanno. Diva è alta 33 metri, larga 16 e profonda 6, è stata scavata e scolpita a mano perché un’escavatrice non avrebbe potuto rendere la precisione delle forme volute dall’artista; dopo lo scavo è stata ricoperta di cemento, poi di uno strato di fibra di resina e infine verniciata di rosso. Il lavoro era iniziato a gennaio 2019, sospeso causa pandemia e poi ripreso nella seconda metà del 2020.

La Diva senza clitoride

È una vulva senza clitoride, e non per caso (ma nemmeno sulla fedeltà anatomica della riproduzione sono mancate le contestazioni). Soprattutto, è anche una ferita. Quella della violenza storica sul corpo delle donne, da tempo oggetto del lavoro artistico di Notari, che ha alle spalle una produzione di sculture e performance fatte di orifizi violati e di sangue, di divaricatori vaginali, di crepe di muri e di alberi, e quella perpetrata alla Grande Madre per eccellenza. Questa vulva mutilata, lucida e scarlatta, aperta, che a qualcuno ha ricordato la bocca rossa dei Rolling Stones, si fa portatrice del grido della Terra. Diva urla a squarcia gola.

 

Rolling Stones
Il simbolo dei Rolling Stones fu ispirato dalla bocca di Mick Jagger e dalla lingua della dea indiana Kali

 

La land art nella terra sfregiata

E fa sinceramente sorridere l’obiezione (un’altra delle tante) di chi rimprovera a Notari di aver sparso cemento e resina nell’ambiente, per quel pezzetto di land art, in una regione dal terreno sfruttato fino all’ultima goccia di vita dalle piantagioni e dalle raffinerie di canna da zucchero. Per non parlare dello sfregio planetario che rappresenta la deforestazione dell’Amazzonia, un crimine contro l’umanità che si è impennato sotto la presidenza di Bolsonaro, con un aumento del 108% delle aree distrutte nel 2020 rispetto all’anno precedente.

Provocazione e polemiche infinite

Certo, Diva è grande per essere un organo che, preferibilmente, anzi assolutamente, va tenuto celato, guai a farlo vedere in contesti diversi da quello della pornografia, al limite della medicina. Ed è l’opera più “monumentale” dell’artista, che non ha l’ingenuità di Biancaneve e il cui lavoro si sostanzia, come è giusto che sia, anche di provocazione, ma che per prima è rimasta stupita dalla reazione dopo l’inaugurazione.

L’entità della polemica scatenata sui social non se l’aspettava: la scultura ha suscitato le critiche di conservatori e progressisti, di uomini, donne e transgender: è stata definita oscena, razzista, trans-fobica, “genitalista” e anti-ecologica. A fronte, naturalmente, anche di alcuni apprezzamenti.

Controproposte demenziali

Il primo post Facebook di Notari su Diva ha ricevuto più di 28.000 commenti e 17.000 condivisioni; c’è perfino chi ha chiamato “i maschi” a una grande masturbazione collettiva intorno al buco, indetta per il 15 gennaio. Uno dei commenti maschili più diffusi è la proposta di costruire, a mo’ di contraltare, un gigantesco fallo, come ha immediatamente proposto in un tweet diventato virale anche Olavo de Carvalho, il sedicente filosofo, guru di Bolsonaro. Come se da secoli non avessimo gli obelischi. Se non altro, la polemica ha avuto il merito di rubare la scena social al presidente in questo inizio di gennaio. 

 

Olavo_de_Carvalho
Olavo de Carvalho è un intellettuale che difende le decisioni politiche del presidente brasiliano Jair Messias Bolson

Schema coloniale e discorso binario nell’arte

In un’intervista a DW Brasil, l’artista confessa di aver smesso, dopo una prima sorpresa, di seguire tutti i commenti sui social; un po’ risponde e un po’ no. Ma ritiene che diverse critiche siano state sostanzialmente positive, perché creano dibattito, fanno riflettere e ampliano la portata della discussione. Come le osservazioni sugli operai, tutti neri, impiegati per lo scavo e immortalati in uno scatto postato dalla stessa artista, che spicca, bianca, davanti a loro, rafforzando, secondo le obiezioni, uno schema coloniale e gerarchico. O la polemica sul fatto che la vulva esalti il discorso binario, maschio-femmina, escludendo la transessualità.

Le Americhe e la schiavitù mai cessata

Diva riapre, anche, ferite a cui Juliana non pensava, lacerazioni passate e presenti con cui fare i conti. Proprio quello che, secondo l’autrice, ci si aspetta dall’arte, che, tuttavia, non può sottrarsi alla realtà.

«Se si scatta una foto in un cantiere – dice Notari – la maggior parte degli operai sono neri, se si va sul set di un film, quelli che fanno il lavoro squalificato sono neri, e sono neri perché la schiavitù è una ferita aperta. Gli schiavi hanno avuto la liberazione ma non hanno avuto accesso alla terra, all’istruzione, alla salute, a nulla».

Inclusione e sessualità femminile

Ben venga anche l’apertura al tema di trans e transgender a cui dare visibilità e inclusione. Nell’arte, una questione non esclude l’altra, non ne esclude nessuna; anche se l’idea era quella di creare un’opera sulla sessualità femminile, troppo spesso violata, così come la vita stessa delle donne, in un paese dove si contavano dalle tre alle quattro donne ammazzate ogni giorno nel 2019, secondo l’Inter-American Commission on Human Rights. 

 

L'Artista Juliana Notari
L’artista Juliana Notari

Tra natura e cultura, per una nuova prospettiva

Sul suo profilo Instagram, Juliana Notari scrive: «Con Diva uso l’arte per dialogare con questioni che rimandano alla problematizzazione di genere da un punto di vista femminile unito a una visione cosmica che indaga il rapporto tra natura e cultura nella nostra società occidentale, fallocentrica e antropocentrica». Problemi che, continua l’artista, stanno diventando sempre più urgenti:

«Del resto, sarà attraverso un cambio di prospettiva del rapporto tra umano e non umano che potremo vivere più a lungo su questo pianeta e in una società meno iniqua e meno catastrofica».

Il Dottor Diva e lo speculum

Non ci si inganni, Diva porta il nome di uomo: il dottor Diva, di cui era inciso il nome su ognuno dei 22 specula metallici, lo strumento usato dalla medicina per mantenere le cavità aperte, vagina in primis, di cui ogni donna conosce il freddo fastidio, che Notari trovò vent’anni fa presso la sede di un’associazione che vendeva oggetti usati, e che hanno, da allora, alimentato parte della sua riflessione artistica. Già nel 2003, poi nel 2008, con il nome di Dottor Diva, Juliana ha martellato muri bianchi e lisci, aprendo buchi nelle pareti di gallerie e musei, penetrati e lavorati poi con lo speculum. Il discorso, insomma, parte da lontano, ma ora Diva è cresciuta e vive di vita propria alla luce del sole e della luna, dalle pareti bianche è passata all’orizzontalità del suolo, quasi fosse il gigantesco negativo di un quadro di Burri, per farsi portavoce di tutte le ferite aperte nella terra e dalla storia del Brasile.

La ferita che rigenera

«Come un ascesso in quelle terre già intrise di sangue – scrive Clarissa Diniz sul quotidiano Brasil de Fato – agirà nel tempo, mentre il tempo agirà su Diva. Se oggi l’immenso arrossamento di quell’interstizio è gettato nell’immanenza del presente, dobbiamo confidare nel divenire del tempo, quando Diva sarà presa in mano dalla forza delle piante, delle radici, degli animali, della pioggia, della melma, producendo quotidianamente uno scontro etico e istituzionale tra pulire l’opera e quindi tenere aperta la ferita o consentire che si rovini, arrendendosi a forze che possano in qualche modo rigenerarla o ricrearla. Politicamente, Diva ci chiede quando, e chi, è per tenere in vita una ferita». 

 

L'Origine del mondo (Opera di Gustave Coubert)
L’Origine del mondo (Opera di Gustave Coubert)

 

L’origine del nuovo mondo

Sul sito Midianinja.org ci si stupisce con ironia di dover constatare che l’ultima scandalosa vulva non sia quella dipinta nel 1866 da Gustave Courbet nell’Origine del mondo. Come allora, la trasposizione artistica dell’organo femminile disturba. Patriarcato, sessismo, maschilismo zittiscono, Diva grida. Dalle sue labbra siamo passati per nascere, nelle profondità della terra finiremo con la morte. L’oscenità non è nell’esibizione, ma nella violenza e nella sua continua rivelazione.

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Alice Scialoja
Alice Scialoja
Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.

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