L'immagine di presentazione della mostra è il dipinto di Jorn Asger, "L'Avantgarde se rend pas", serie delle Modifiche, 1962. Iscrizioni ad olio su una tela trovata al mercato delle pulci (Foto: Georges Meguerditchian)

L'immagine di presentazione della mostra è il dipinto di Jorn Asger, "L'Avantgarde se rend pas", serie delle Modifiche, 1962. Iscrizioni ad olio su una tela trovata al mercato delle pulci (Foto: Georges Meguerditchian)

Gribouillage/Scarabocchio. L’arte senza tempo del ghirigoro in mostra a Roma

Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly, accostamenti inediti tra le opere dei maestri della prima modernità e quelle di artisti contemporanei pongono lo scarabocchiare al centro della pratica artistica. Una mostra imperdibile, all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici fino al 22 maggio 2022

Quale legame ci può mai essere tra uno scatto della fotografa austriaca Inge Morath, che immortala nel 1958 Alberto Giacometti mentre incornicia un graffito sul muro del suo atelier di Parigi, al 46 di rue Hippolyte-Maindron, e un inchiostro su carta di Federico Zuccaro, del 1595, che raffigura il fratello Taddeo intento a disegnare al chiaro di luna nella casa del maestro Calabrese? Entrambi dimostrano come la necessità di scarabocchiare sia una pratica che accompagna, dal Rinascimento all’arte contemporanea, in modo non ufficiale il discorso artistico. È da questa suggestione che Francesca Alberti (Direttrice del Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Accademia di Francia a Roma) e Diane Bodart (Professore alla Columbia University), in collaborazione con lo storico dell’arte Philippe-Alain Michaud, hanno curato la mostra Gribouillage/Scarabocchio. Da Leonardo da Vinci a Cy Twombly fino al 22 maggio a Villa Medici, grandioso edificio cinquecentesco che domina la collina del Pincio e dal 1803 ospita l’Accademia di Francia a Roma. Curatela che troverà il suo compimento dal 19 ottobre al 15 gennaio 2023 ai Beaux-Arts di Parigi, proponendo così, nella sua completezza, 300 opere originali, da schizzi imbrattati sul retro dei dipinti a scarabocchi che diventano vera e propria opera.

 

Le studiose Francesca Alberti e Diane Bodart
Le studiose Francesca Alberti e Diane Bodart sono le curatrici della mostra sull’arte dello scarabocchio, a Roma fino al 22 maggio

 

Si tratta di “pratiche grafiche sperimentali, trasgressive, regressive e liberatorie, che sembrano non obbedire a nessuna regola, ma hanno da sempre scandito la storia della creazione artistica”, come si legge nella nota per la stampa.

Disegni che non sono preparatori ma accompagnano il tempo di creazione dell’opera in termini di puro svago, come dimostrano in maniera lapalissiana, nella seconda sala dedicata a L’ombra della bottega – Recto – Verso, i due pannelli laterali del grande Trittico della Madonna di Giovanni Bellini, tempera su tavola databile al 1464-1470 e conservato nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia: san Girolamo e san Ludovico di Tolosa mostrano ai visitatori (per la prima volta) le teste caricaturali e grottesche, i profili, gli studi di figure tratteggiati sul posteriore della tavola.

Villa Medici, sede dell'Accademia di Francia a Roma
Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma. Nella foto, la facciata che dà sul giardino interno (Foto: Wikipedia)

 

L’esposizione all’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici, infatti, articola le circa 150 opere in sei sezioni tematiche e presenta un nucleo di opere comuni alla sede parigina, che include le porzioni di pareti staccate della bottega di Mino da Fiesole e dell’atelier di Giacometti; il Ritratto del Fanciullo con disegno di Giovanni Francesco Caroto; le fotografie di Brassaï e di Helen Levitt, alcune produzioni di Cy Twombly, di Asger Jorn, del gruppo Cobra, di Luigi Pericle e di Giacomo Balla.

Accanto, schizzi, segni, produzioni su supporti e medium diversi di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Pontormo, Tiziano, Bernini, Picasso, Dubuffet, Henri Michaux, Basquiat.

 

 

Di Eugène Delacroix è presentata una delle litografie dedicate al Faust di Goethe: l’illustrazione Mefistofele si presenta da Martha è incorniciata da una serie di osservazioni marginali, animali e teste “semplicemente” abbozzate in cui perdersi lungo linee di racconti immaginari. Dai divertimenti grafici, sulle pareti degli atelier d’artista come sul retro o sui margini delle opere, si passa poi a un vero e proprio stile scarabocchiato, una sorta di “regressione controllata”, premessa della caricatura, e a quello che Leonardo indicava come “componimento inculto”, schizzo rapido e rudimentale utilizzato per far emergere la figura e trovarne i movimenti e le attitudini: le forme non completamente definite, infatti, secondo il genio vinciano stimolano la fantasia dell’artista, lo portano ad allontanarsi dall’attività artigianale, lo avvicinano a quel carattere intellettuale dell’operare artistico divenuto fondamento dell’arte rinascimentale.

 

Un'immagine della mostra. In fondo sono visibili i due pannelli laterali del grande Trittico della Madonna di Giovanni Bellini, tempera su tavola databile al 1464-1470 e conservato nelle Gallerie dell'Accademia a Venezia (Foto: Daniele Molajoli)
Un’immagine della mostra. In fondo sono visibili i due pannelli laterali del grande Trittico della Madonna di Giovanni Bellini, tempera su tavola databile al 1464-1470 e conservato nelle Gallerie dell’Accademia a Venezia (Foto: Daniele Molajoli)

 

Si arriva così al piano superiore della mostra dove ad accogliere il visitatore è L’Avant-garde se rend pas, l’opera di Asger Jorn, tra i fondatori del gruppo CoBrA, scelta per la locandina della mostra; si tratta di una tela trovata dall’artista in un mercato delle pulci e modificata con iscrizioni ad olio, nel 1962. Accanto, il Ritratto di fanciullo con disegno, Giovanni Francesco Caroto che inaugura una stagione di pitture che giocano con quella che André Gide chiamerà “mise en abyme”, dove un’immagine contiene una piccola copia di sé stessa o un disegno infantile, ripetendo la sequenza apparentemente all’infinito, spesso in modo ironico.

In questi dipinti, i ghirigori, apparentemente insignificanti, diventano oggetti teorici capaci di sollecitare una riflessione sulla nascita dell’arte e sull’impulso creativo per trasformarsi poi, all’inizio del XX secolo, in veri e propri viatici per rigenerare l’arte, in nome – spesso – di una poetica incentrata sul ritrovo della spontaneità e della virulenza insite nell’atto artistico.

Chiude la mostra Il richiamo del muro: è la parete stessa, col suo vuoto da riempire, a invitare il gesto grafico. È in questa sezione che è possibile apprezzare Arthur Rimbaud, del 1980, di Stéphane Mandelbaum, artista belga assassinato a 25 anni a cui il Centre Pompidou ha dedicato una retrospettiva nel 2019. Il disegno, pieno di parole e dettagli precisi, si apre a una distesa vuota, potentissima.

 

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A corollario, alcuni prestiti interessanti del Centre Pompidou di Parigi, come i film in 16 mm di Len Lye (Free Radicals) e di Igor et Svetlana Kopystianski (Step Sole Sound), i video di Dennis Oppenheim (Stage Transfer Drawing), il film d’animazione di Robert Breer del 1957 (A Man and his Dog out for Air), un estratto del film in 35 mm di Jean Genet del 1950 (Un Chant d’amour), che riflettono in modi diversi sul rapporto tra creazione artistica e segno.

 

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Francesca Romana Buffetti
Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.

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