Paolo Raimundo, fondatore del Cobragor, mostra il progetto di rigenerazione del silo

Paolo Raimundo, fondatore del Cobragor, mostra il bozzetto dell'affresco sul silo di Dorazio

La città che sale, il primo Maggio di un silo rigenerato. Nel segno di Dorazio

La storia di una cooperativa romana di braccianti agricoli, nata da uno sciopero di disoccupati che iniziarono a lavorare, nel 1977, su alcuni terreni alla periferia di Roma. Da allora la festa dei lavoratori alla CoBrAgOr è un appuntamento per molti. Quest’anno anche con una sorpresa artistica: il silo ristrutturato con un murale progettato dall’artista Piero Dorazio

Il XIV Municipio di Roma, nel quadrante nord ovest della capitale, contiene al suo interno 500 ettari di parco. Si tratta del Parco Agricolo Casal del Marmo, racchiuso dal Grande Raccordo Anulare a nord e ovest, e dai quartieri periferici di Primavalle e Torrevecchia a sud e Monte Mario a est. Un tempo il parco aveva una continuità ecosistemica con le altre aree verdi della città, come la Riserva dell’Insugherata con i suoi 740 ettari di area verde protetta, il parco del Pineto, la Riserva di Monte Mario e quella della Tenuta dell’Acquafredda.

 

Una delle prime Feste del Primo Maggio alla Co.bra.gor.
Una delle prime Feste del Primo Maggio alla Co.br.Ag.or.

Nella città di Roma, che, come forse non tutti sanno è uno dei comuni agricoli più grandi d’Europa con oltre 50.000 ettari di aree coltivate, il rapporto tra spazi agricoli e urbani è un sistema complesso dove le relazioni tra esseri umani e ambiente si muovono inevitabilmente su equilibri socio economici e politici.

 

Paolo Ramundo e gli Uccelli del ’68

All’interno del Parco di Casal del Marmo sorge la Co.Br.Ag.or, Cooperativa Braccianti Agricoli Organizzati, una realtà territoriale con una storia importante, nata sul finire degli Anni Settanta ad opera di Paolo Ramundo e del Movimento dei Disoccupati. Ma per comprendere meglio la figura di Paolo Ramundo, e il pensiero che ha dato vita a questa realtà, dobbiamo fare un salto indietro di almeno altri 10 anni e ritrovarci nella Roma del 1968. Paolo era uno degli studenti di architettura ideatori del gruppo “Gli Uccelli”, collettivo di studenti che voleva portare le tematiche ambientali all’interno degli studi di architettura.

«In quegli anni l’architettura non si occupava mai del verde, ma solo di costruzioni. Per noi era importante sottolineare il rapporto che l’essere umano deve avere con l’ambiente naturale», racconta oggi lo stesso Paolo.

I ragazzi-uccelli manifestavano pacificamente salendo sugli alberi, e portando elementi naturali all’interno dell’ateneo. Sono ancora ricordati per l’episodio delle 100 galline regalate dall’artista Manzù e portate a razzolare nelle aule durante una sessione di esami o per l’albero di fico piantato simbolicamente all’interno nel cortile della facoltà. Insieme all’artista Renato Guttuso realizzarono poi un grande murale, oggi restaurato e protetto, sulla facciata della facoltà: «Quell’uomo che sta vendemmiando – sottolinea Ramundo – sono io, l’ho dipinto io!».

 

Paolo Raimundo racconta la storia della Co.br.Ag.or

In volo sulla Cupola del Borromini

Ma il gesto che è passato alla storia con maggior incidenza e che secondo molti fu la spinta che diede vita al Sessantotto romano fu l’occupazione della Cupola del Borromini. Il 19 febbraio del 1968 Ramundo insieme a Gianfranco Moltedo e Martino Branca salirono sulla cupola accompagnati dal professore Paolo Portoghesi. «Conoscevo quei ragazzi – racconterà Portoghesi – erano miei allievi. Non avevo idea che avessero intenzione di restare lassù. Però avevo capito che questo faceva parte di una storia che stavano scrivendo. Mi piacevano, li avevo visti nelle assemblee: non parlavano, facevano il verso degli uccelli. Mi sembrava un gesto poetico e anche, allo stesso tempo, una scelta coraggiosa, un connubio di poesia e coraggio». L’occupazione del campanile divenne un evento mediatico e presto ai piedi di Sant’Ivo alla Sapienza, nel centro storico capitolino, si raccolsero centinaia di studenti. I tre “Uccelli” rimasero sulla Cupola poco più di 24 ore, ma bastarono per dare il via ai moti del ’68 romano. Non si fermarono e dalla Cupola del Borromini arrivarono fino a Berlino, ospiti di Remo Remotti nell’esperienza della Kommune 1 e poi a Matera occupando i Sassi su invito di Carlo Levi e a Gibellina nel post sisma per ricostruire artisticamente la città siciliana terremotata.

 

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Lo sciopero alla rovescia

Una decina di anni dopo l’occupazione della Cupola del Borromini, Paolo Ramundo faceva parte del Movimento dei Disoccupati: «Eravamo circa un centinaio di giovani disoccupati che portavano avanti lo sciopero al contrario: andavamo a lavorare là dove serviva senza essere stati assunti. Iniziammo pulendo strade e stazioni. La gente ci pagava di sua spontanea volontà perché vedere dei giovani che si rimboccano le maniche e lavorano per il bene comune, fa sempre piacere!». Diversi disoccupati del movimento abitavano a Torrevecchia o a Primavalle, per questo i terreni abbandonati del parco di Casal del Marmo sembrarono la zona ideale per un lavoro che fosse al tempo stesso agricolo e sociale.

L’idea di base era che l’agricoltura non fosse solo una modalità di produzione del cibo, ma che permettesse un sistema di relazioni tra esseri umani e tra esseri umani e ambiente. In un ambito urbano, come quello romano al finire degli Anni Settanta, dove l’urbanizzazione continuava a crescere, la domanda di cibo era particolarmente concentrata.

I giovani del Movimento dei Disoccupati compresero che la pianificazione alimentare, insieme a quella ambientale e territoriale, poteva assumere un ruolo di primo piano all’interno di un’ampia strategia di sviluppo della città: se portata avanti attraverso un coinvolgimento attivo delle comunità locali e quindi attraverso la valorizzazione del capitale sociale presente sul territorio, l’agricoltura poteva rivelarsi una sana risposta a problematiche economiche, sociali e ambientali.

 

Agricoltori di Maccarese aiutano i nuovi braccianti della Co.br.Ag.or

Il 1978, tra la chiusura dei manicomi e il sequestro di Aldo Moro

Quando i giovani del Movimento dei Disoccupati iniziarono a lavorare le terre del Parco di Casal del Marmo era il 1978, l’anno della Legge Basaglia. Quei terreni appartenevano ancora al grande manicomio del Santa Maria della Pietà che proprio in quel momento iniziava il suo processo di chiusura. «Molti pazienti del Santa Maria della Pietà vennero a lavorare qui inseriti in progetti di educazione al lavoro in previsione di una loro uscita dal manicomio», ricorda Ramundo.

«Spesso all’ora di pranzo le famiglie dei pazienti ci portavano il pasto e mangiavamo tutti insieme: infermieri, pazienti, famigliari e noi. Era molto bello».

Fu anche l’anno del sequestro di Aldo Moro, avvenuto proprio nelle vicinanze del parco. Così un giorno, in piena attività agricola, i braccianti videro atterrare in mezzo a loro un elicottero della polizia. «Ci chiesero se avevamo noi Aldo Moro. Ma noi siamo stati sempre pacifisti e non ci siamo mai mescolati con movimenti armati o violenti».

Avevamo solo le zappe

Fu il sindacato ad aiutare il Movimento dei Disoccupati ad avere i primi finanziamenti. «Allora non avevamo i mezzi. Solo la zappa. Così arrivarono con i trattori della Federbraccianti e ci lavorarono la prima terra per aiutarci a renderla produttiva». Le prime piante furono ortaggi stagionali, poi arrivarono gli alberi da frutto e gli ulivi. Al tempo vigeva la legge che chi lavorava la terra e seminava aveva il diritto di raccogliere e vendere, così partì il primo spaccio.

I ragazzi della Co.br.ag.or furono accolti nel territorio con crescente entusiasmo tanto che iniziarono piccoli progetti autonomi di prefinanziamento.  Spesso erano i secondini del vicino carcere minorile, o gli infermieri dell’ospedale San Filippo Neri a prenotare i prodotti pagandoli in anticipo per aiutare la cooperativa a crescere.

Oggi dei 40 ettari coltivati, 20 sono destinati ai cereali a rotazione biennale, 4 sono di orto e i restanti 16 sono stati destinati ad oliveto e frutteto con 1600 ulivi e 4500 fruttiferi misti. La Co.Br.Ag.or, oltre ad essere un’azienda agricola biologica, certificata Icea, divenne presto un luogo di aggregazione dove si festeggiavano le Feste dell’Unità e le feste del Primo Maggio. Fu durante una Festa dell’Unità del 1994, che l’artista Piero Dorazio, amico di vecchia data di Paolo Ramundo, donò un bozzetto per la realizzazione di un murale sul grande silo che si trova all’ingresso del parco. 

 

La Co.Br. Ag.Or Radiosa

Il bozzetto è un insieme di colori che dal basso si spingono verso l’alto con l’intento di portare lo sguardo di chi lavora la terra, verso il cielo. L’artista Dorazio aveva vissuto in Francia e conosciuto Le Corbusier e aveva fatto propri i principi contenuti nell’opera dell’architetto francese “La Fattoria Radiosa”. Il silo della Co.Br.Ag.Or,  apparve dunque come un simbolo di realizzazione dell’ideale agricolo di Le Corbusier che immaginava una fattoria liberata dalla parcellizzazione della terra e inserita in un contesto urbano. Una fattoria fondata su basi corporativiste e antistataliste, capace di abolire la proprietà terriera e che aveva come simbolo proprio il silo, contenitore unico del raccolto di tutti. «Quando Dorazio mi consegnò il progetto disse che era per la Co.Br.Ag.Or,  ed era dedicato alla memoria di Le Corbusier».

 

La città che sale

Il silo della Co.Br. Ag.Or, un tempo di proprietà della città manicomiale Santa Maria della Pietà, ha dovuto attendere quasi 30 anni perché quel disegno ricoprisse la sua superficie curvilinea. Durante la pandemia Paolo Ramundo con i figli e qualche aiutante ha finalmente riprodotto il bozzetto di Dorazio “La Città che Sale” sulle pareti esterne del silo e ristrutturato il suo interno. La realizzazione del progetto non ha avuto finanziamenti esterni e per questo i tempi sono stati lunghi. Oggi il silo è finalmente pronto a tornare a vivere, non più come raccoglitore di grano o fieno, ma come contenitore di cultura condivisa. L’idea di Paolo è quella di aprirlo a mostre per gli artisti del territorio ed eventi culturali, feste, cineforum o concerti all’aperto, nella speranza di poter presto tornare a condividere luoghi.

 

Guarda il video  che documenta la realizzazione dell’affresco sul bozzetto di Dorazio

 

Intanto è già in cantiere la festa di inaugurazione prevista per il 29 giugno, anniversario della nascita di Pietro Dorazio, ma anche festa romana dei patroni Pietro e Paolo, i nomi dei due realizzatori del murale del silo.

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Dafne Crocella
Dafne Crocella
Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.

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