Bambini in un bosco

Tornare a crescere nella natura

Nessuno è più “natus” di un bambino e della forza che genera. Ed è per questo che il rapporto con boschi, foreste, alberi e animali è indispensabile alla formazione. Continua  il nostro alfabeto dell’ecopedagogia.  E stavolta è il turno della lettera N…

Le altre lettere:  A – BCD – EF – G – H – IL  –  M

«I bambini, pura natura,
non possono stare reclusi
con uno schermo in mano.
Partiamo da qui».

 

Ecco, partiamo da qui. Dalla poesia che Franco Arminio ha donato a Sapereambiente il 27 marzo scorso, in pieno lockdown. Bambini e natura è il binomio perfetto, alla yin e yang e cacio sui maccheroni. Nessuno è più natus dalla forza che genera del bambino. Molto si è detto e scritto su quanto nei mesi scorsi abbiamo leso il loro diritto all’aria aperta, al movimento, alla vitalità (e quanto ancora li si sacrificherà nella scuola distanziata e mascherata). Abbiamo incolpato il virus e i decreti, ma, ancora una volta, la Covid-19 non ha fatto altro che mostrare la punta dell’iceberg.

 

Franco Arminio
Franco Arminio, poeta e paesologo, è anche maestro elementare

 

Perché ai bambini, la natura, sono almeno sessant’anni che gliela stiamo togliendo. O è addirittura dalla nascita delle città? Un pezzetto per volta, piano piano. Con sistematica e allarmante concertazione tra urbanistica, riforme scolastiche. Edilizia e visioni pedagogiche: per una volta, tutti d’accordo.  Da un lato a magnificare gli effetti dell’ambiente naturale e dall’altro a imbalsamarne la relazione e la conoscenza. Spacciando per natura il giardino della scuola, due altalene e una sabbiera lungo la ciclabile, la villa comunale con la fontana e le panchine: «Dove c’era l’erba – cantava il ragazzo della via Gluck – ora c’è la città». E la natura, in città, se l’è mangiata il cemento, lasciando, quando va bene, le aree verdi inglobate tra i palazzi.  Per carità, sono importanti, anzi fondamentali. L’importante è essere onesti e riconoscere che sono antropizzate, culturali e addomesticate forme di verde urbano dove far prendere “una boccata d’aria” ai nostri civilizzatissimi bambini. E che dolore vederli ancora oggi scendere sullo scivolo con la mascherina modaiola e griffata, merchandising batte buon senso quattro a zero.

 

La dottoressa Maria Tecla Artemisia Montessori, medico, fu neuropsichiatra infantile ed educatrice
La dottoressa Maria Tecla Artemisia Montessori, medico, fu neuropsichiatra infantile ed educatrice

 

Scriveva Maria Montessori nel suo La scoperta del bambino del 1948:

«La natura si è a poco a poco ristretta, nella nostra concezione, ai fiorellini che vegetano e agli animali domestici utili per la nostra nutrizione, per i nostri lavori o per la nostra difesa […]. La natura, in verità, fa paura alla maggior parte della gente. Si temono l’aria e il sole come nemici mortali».

I bambini, che pure loro ci fanno paura, hanno bisogno sì, di giocare nei parchi, ma dovremmo fare uno sforzo e portarli nella natura. A dispetto delle nostre paure o dell’ansia da controllo, con buona pace della managerializzazione a cui abbiamo svenduto l’infanzia dei nostri figli. Portarli a camminare in aperta campagna, sotto il sole magari, con gli insetti che danno noia. A salire su per una montagna, ripida il giusto per l’età, con la fatica nelle gambe e le spalle pesanti per lo zaino, uno sgrullone di pioggia inatteso a rendere più avventurosa l’escursione, a passeggiare nel fitto di un bosco, assaggiando le fragoline o la neve, respirando la resina e il silenzio fino a perdere il senso del tempo. E ancora a campeggiare in spiaggia, sotto le stelle, con i grilli che cantano e la sabbia che si raffredda piano piano. Non fanno curriculum, ma fanno crescere resilienti, sensibili, creativi, aperti all’altro e al nuovo.

Quando all’alba dell’adolescenza non vorranno più uscire con noi, affidiamoli al gruppo scout o alla sezione del Cai perché in questa fase in cui tutto cambia, l’umore è instabile e il gruppo un costante punto di ancoraggio, sperimentarsi nella natura è un tornare in contatto con il proprio corpo incredibilmente salutare.

 

Ragazza adolescente di spalle nella natura
Con i primi cambiamenti dell’adolescenza diventa ancora più importante restare in contatto con la Natura

 

Solo nell’immensità della natura lo sguardo si allunga verso l’orizzonte, ci si desta agli elementi nella loro verità (l’acqua del ruscello e non della bottiglia, la terra sotto i piedi invece del marciapiede, il fuoco che illumina e scalda…), si entra in una dimensione di tranquillità e di lentezza che risveglia al bello e all’ordine. I sensi si risvegliano e il naso, l’organo con cui inspiriamo il mondo, espiriamo noi stessi e cogliamo il fondamento della moralità (“questa faccenda puzza…!”) fiuta e si allena.

Nel tempo “altro” della natura si sperimenta la fatica, forse anche la noia, grande maestra licenziata in tronco dalle giornate dei bambini, e spesso anche i no di un ambiente che non si può controllare né tanto meno sottomettere.

Non solo il pastore errante dell’Asia, ma tutti, e i bambini in modo speciale, sperimentano nell’immensità, nella verità della natura una trascendenza che è balsamo sulle ferite da materialismo dei nostri tempi e molte ne ha raccolte Edward Hoffman nel suo libro del 1992, Visions of Innocence.

 

Lo psicologo Richard Louv
Secondo il giornalista ed educatore americano Richard Louv, spesso il deficit di attenzione e l’iperattività sono causati dalla mancanza di rapporto con la Natura

 

In nessun’altra condizione i bambini possono sentirsi liberi come nella natura. Liberi nel movimento e dunque nei pensieri, come naturale predisposizione alla libertà interiore di cui si avrà bisogno da adulti. Ma c’è di più, perché alla mancanza sempre più prolungata di un habitat naturale, lo psicologo Richard Louv ha attribuito l’iperattività e i problemi di attenzione che affliggono quasi il 10% di bambini nel mondo: Nature Deficit Disorder l’ha chiamata nel 2005 nel suo libro The Last Child in the Woods. È la legge del contrappasso, dice: «Quanto più diventiamo high-tech, quanto più avremo bisogno di natura».

Di un grande prato verde dove nascono speranze…

Saperenetwork è...

Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

Sapereambiente

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