Julian Assange

Julian Assange, giornalista e attivista australiano, rischia 175 anni di carcere per aver rivelato crimini di guerra della Nato (Foto:Flickr)

Julian Assange, il sipario strappato e l’aria serena dell’Ovest

Sabato 15 ottobre la 24 ore per l’attivista australiano che rischia 175 anni di carcere con l’estradizione negli Usa. Per ricordare chi è, per quale motivo è perseguitato dal 2010. E quanto sia fondamentale il lavoro di chi, come lui,  solleva il velo rivelando crimini di guerra e corruzione

A Paul Goldspring, giudice della Westminter Magistrates’ Court di Londra, sono bastati sette minuti di udienza lo scorso 20 aprile per emettere il verdetto. In sostanza un ordine formale, in cui la decisione di estradare Julian Assange era rimessa a Priti Patel, ministra della Giustizia del governo di Boris Johnson. L’esecutivo di Bo-Jo, come si sa, nel frattempo ha cessato di esistere il 6 settembre a causa dello scandalo Party Gate. Ma la Patel, falco dei Tories, celebre per i famosi voli della deportazione che avrebbero respinto in Ruanda immigrati e rifugiati irregolari dal Regno Unito se non fossero stati bloccati all’ultimo secondo, quando il primo Boeing 767 stava per decollare da Gatwick, da un’ordinanza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha fatto in tempo lo scorso 17 giugno ad autorizzare l’estradizione del fondatore di Wikileaks. 

 

Una veduta aerea di Belmarsh, la Guantanamo inglese dove è detenuto Assange (Foto: Wikipedia)
Una veduta aerea di Belmarsh, la Guantanamo inglese dove è detenuto Assange (Foto: Wikipedia)

 

Dal carcere speciale di Belmarsh, la Guantanamo inglese, dove è detenuto da tre anni, ufficialmente per aver violato i termini della libertà su cauzione concessagli in relazione alle accuse di presunto stupro, poi archiviate per insufficienza di prove, Assange ha potuto assistere solo in videoconferenza.

Ora, dopo il prevedibile via libera inglese, c’è da aspettare l’esito del ricorso inoltrato dai suoi legali. 

Una vita in carcere

L’attivista australiano rischia oltreoceano una condanna a morte mascherata. Perché sono una condanna a morte i 175 anni previsti per la presunta violazione dell’Espionage Act, legge contro lo spionaggio del 1917, rispolverata ad hoc nel 2019 per ottenere l’estradizione per la quale fino a quel momento non c’erano i presupposti legali. Qualora estradato e ritenuto colpevole, ed è assai improbabile che gli statunitensi non lo ritengano tale, dato che gli danno la caccia dal 2010, Assange rischierebbe 175 anni (due vite o anche di più, a seconda dei criteri di longevità) nel penitenziario di massima sicurezza Adx Florence, nel Colorado. Lo stesso dove è detenuto El Chapo Guzman, tanto per capire. Solo che Julian Assange sarebbe rinchiuso non per traffico internazionale di droga, cospirazione, omicidi e vari altri capi d’accusa come il celebre narcotrafficante messicano, ma per aver, in sostanza, diffuso dei diari di guerra. File che hanno rivelato oltre che a episodi di corruzione, riciclaggio, violenza, l’insensatezza di guerre portate avanti per decenni dagli Stati Uniti, nella loro aberrante realtà, come nel caso del video di Collateral Murder.

 

  Guarda il video di Collateral Murder 

 

Persecuzione permanente

Nel mondo civile, nell’Occidente dove tira un’aria sempre meno serena e che però si erge ancora a difensore ed esportatore dei diritti umani, civili e sociali, le cose non vanno come in Arabia Saudita, Libia, Turchia, Russia. I dissidenti non vengono presi e condannati, uccisi, magari in strane circostanze. Più o meno. Perché l’accanimento contro Assange dimostra un’attitudine persecutoria inquietante e persistente, come ammoniva nel 2019 Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite alla tortura:

«In 20 anni di lavoro con vittime di guerra, violenza e persecuzioni politiche non ho mai visto un gruppo di Stati democratici riunirsi per isolare, demonizzare e abusare deliberatamente di un singolo individuo per così tanto tempo e con così poca considerazione per la dignità umana e lo stato di diritto».

Il video e le immagini del giornalista trascinato con la forza fuori dall’ambasciata ecuadoriana dalla polizia britannica dicono il resto. Melzer esortava i quattro paesi coinvolti nella vicenda, Australia, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia (la civilissima Svezia che adesso, insieme all’altrettanto civilissima Finlandia, svende i profughi curdi alla Turchia di Erdogan per farsi spazio nella Nato) ad astenersi da ulteriori atti pregiudizievoli nei confronti di un uomo di fatto ingiustamente detenuto dal 2010.

 

Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni unite sulle torture
Nils Melzer, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle torture (Foto: Flickr)

 

 

Narrazione preconfezionata

Pensiamoci un attimo, in questi giorni, anzi, in questi mesi di guerra in cui abbiamo imparato che chi cerca di articolare un discorso su possibili alternative all’invio incondizionato di armi viene classificato, nella migliore delle ipotesi, come putiniano. Quanto ne sapremmo di più, sull’invasione russa, sull’Ucraina, sul ruolo di Usa, Gran Bretagna, Polonia, se Wikileaks fosse ancora attivo? Le guerre sono e devono essere, da sempre, un buco nero, un groviglio dove la narrazione prevale sulla consequenzialità dei fatti. Quanto sono stati importanti i leaks pubblicati da Assange? Quanto è stato, ed è fondamentale guardare il video di Collateral murder? Che cos’è il giornalismo: fiera e convinta asserzione di una narrazione (di guerra come di tutto il resto) istituzionale e preconfezionata o ricerca della verità oltre le mode, i trend e il pensiero unico?

 

Assange trascinato fuori dall’ambasciata ecuadoriana dalla polizia britannica

 

Precedente pericoloso

La detenzione e i procedimenti penali contro Assange, per l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel gennaio 2020 sono «un precedente pericoloso per i giornalisti» (in Italia lo strumento delle querele temerarie ci dice qualcosa). È ancora Nils Melzer, lo stesso anno, che dichiara che l’estradizione di Asange negli Stati Uniti deve essere vietata e lui deve essere rilasciato. Per la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard: «Il Regno Unito è obbligato a non trasferire alcuna persona in un luogo in cui la sua vita o la sua salute sarebbero in pericolo». Eppure niente, in barba alla Convenzione delle Nazioni unite contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti.

Le ultime notizie, confermate da Stella Morris, avvocatessa e compagna di Assange, lo danno positivo al Covid-19. A Belmarsh è stato messo in ulteriore isolamento. Proprio nelle stesse ore, circa 7mila persone hanno formato una catena umana attorno al Parlamento britannico per protestare contro la sua persecuzione.

 

 

Mobilitazione globale

Dalla neo eletta Liz Truss, ministra pasticciona erede di Johnson, non c’è molto da aspettarsi. E d’altra parte Stella Morris è consapevole che gli Stati Uniti vogliono processarlo per spionaggio e «sbatterlo in carcere per sempre». Assange è “colpevole” non solo di aver divulgato documenti che comprovavano i crimini di guerra commessi in Afghanistan e in Iraq dopo l’11 settembre. Ma anche di aver pubblicato le email dello staff di Hillary Clinton che rivelavano come le primarie del 2016 si fossero svolte in maniera non limpidissima. Cosa che non lo ha reso molto popolare nel Partito Democratico americano.

Morris ha recentemente partecipato all’evento per la presentazione della candidatura di Assange al Premio Sacharov, coordinato dalla parlamentare italiana Sabrina Pignedoli. Il massimo riconoscimento assegnato dall’Eurocamera a chi si distingue nella battaglia per il rispetto dei diritti umani, spiega: «Potrebbe salvargli la vita».

Il 15 ottobre la 24 ore per Julian Assange collegherà tutte le iniziative, in ogni parte del mondo, a favore dell’attivista australiano. E della libertà di stampa e d’informazione. Nell’autunno plumbeo dell’Europa in guerra, con l’aria serena dell’Ovest che diventa sempre più opprimente, l’attesa è ben più lunga di una sentenza di estradizione. Sette minuti, 175 anni, una vita intera. 

 

 

Saperenetwork è...

Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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