Barry Commoner

Barry Commoner (1917-2012) è fra i pionieri del movimento ecologista internazionale. Qui sopra nel "Center for the Biology of Natural Systems" a Flushing, New York, nel 1985.

Barry Commoner, far pace tra gli uomini e con il pianeta. Una visione necessaria

Prosegue la nostra carrellata fra i testimoni dell’ecopacifismo. Figure, valori, movimenti da richiamare alla memoria mentre infuria la guerra alle porte dell’Europa. La ragion d’essere della cultura ambientalista nel segno della nonviolenza

«Se vogliamo imboccare la via della saggezza ecologica,
dobbiamo accettare la saggezza ancora maggiore
di riporre la nostra fiducia non nelle armi
che minacciano una catastrofe mondiale
ma nel desiderio, ovunque condiviso nel mondo, di essere
in armonia con l’ambiente e in pace con la gente che lo abita».

Barry Commoner, “Il cerchio da chiudere”, Garzanti, 1972, pag. 270

 

Avremmo voluto parlarvene in occasione del decennale della scomparsa, il prossimo 30 settembre, durante questo 2022 così ricco di anniversari ambientalisti (il più importante cadrà il prossimo 5 giugno, a 50 anni dalla Conferenza di Stoccolma). Ma poiché l’ultimo dei suoi libri s’intitolava “Far pace con il pianeta” (Garzanti, nel 1990), anticipiamo a queste  orribili settimane di guerra il ricordo di Barry Commoner: il chimico e fisiologo vegetale, fra i pionieri dell’ecologismo internazionale, che coniugò l’approccio scientifico all’impegno sociale e politico (fu anche candidato alla Casa Bianca, nel 1980, nelle file del Citizen Party) verso un modello di sfruttamento delle risorse radicalmente diverso da quello capitalista.

 

A Barry Commoner il Time dedicò nel febbraio 1970 la copertina
A Barry Commoner il Time dedicò nel febbraio 1970 la copertina

 

Voce critica

Tutto questo nel cuore di un paese, gli Stati Uniti, che incarna tutt’oggi l’economia del profitto e di cui Commoner rappresentò a lungo una delle voci più critiche. Per di più sul terreno del pacifismo, visto che la sua militanza prese le mosse proprio dall’opposizione ai test nucleari, negli anni Cinquanta, attraverso il “Baby Tooth Survey”: uno studio partecipativo che fece epoca dimostrando come le esplosioni sperimentali di ordigni atomici nel Nevada provocavano nelle ossa dei bambini di Saint Louis, nel Missouri, l’accumulo di Stronzio-90, un isotopo radioattivo e cancerogeno. La ricerca, che si basava sull’analisi di migliaia di denti da latte inviati dalle famiglie americane, fu pubblicata dalla dottoressa Louise Reiss su “Science” nel novembre del 1961, sollevò grande scalpore nell’opinione pubblica e avrebbe portato nel 1963, sotto l’amministrazione Kennedy, al bando su scala mondiale degli esperimenti a cielo aperto tramite il “Nuclear Test Ban Treaty”.

 

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Passione e impegno

Una figura grandiosa, quella di Barry Commoner, sospinta dalla passione verso gli studi naturalistici, la difesa della salute planetaria dall’inquinamento ma anche da una tensione civile imponente, basata su un’impostazione dichiaratamente marxista, che l’aveva portato in prima linea anche contro la guerra in Vietnam. Fu determinante, accanto al senatore Gaylord Nelson, per la nascita dell’Earth day, la mobilitazione che portò il 22 aprile del 1970 venti milioni di americani in piazza e che prosegue tutt’oggi in tutto il mondo. Pochi mesi prima, a febbraio, il Time Magazine aveva dedicato a Commoner addirittura la copertina facendone l’icona del movimento d’opinione nato nel decennio precedente intorno al volume “Primavera silenziosa” di Rachel Carson. Venne spesso in Italia ed ebbe una profonda influenza sullo sviluppo della cultura ambientalista, dialogando fra gli altri con Enzo Tiezzi, docente di chimica già negli anni Settanta presso l’Università di Siena e in prima fila nella battaglia contro la fonte nucleare. Ma molto intenso fu anche lo scambio con Laura Conti sui temi dell’abuso di pesticidi in agricoltura e sulle conseguenze dell’incidente di Seveso (Mb), nel 1976, con la nube di diossina che ne seguì, sostanza di cui Commoner aveva rivelato la composizione e la pericolosità.

 

Guarda il ricordo in video di Barry Commoner a cura del New York Times 

Pioniere dell’economia circolare

Il libro più noto di Barry Commoner resta probabilmente “Il cerchio da chiudere” (Garzanti nel 1972), tradotto in italiano da Virginio Bettini, altra figura storica  dell’ambientalismo italiano con cui interagì molto, che anticipa un principio oggi molto gettonato, vale a dire quello che auspica processi circolari nell’utilizzo di materia ed energia. Un altro concetto che mise in chiaro, nello stesso volume, è quello dell’interdipendenza fra le specie, chiaramente espressa nelle celebri quattro “Leggi fondamentali dell’ecologia”:

  • Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra. L’ambiente costituisce una macchina vivente, immensa ed estremamente complessa, che forma un sottile strato dinamico sulla superficie terrestre. Ogni specie vivente è collegata con molte altre.
  • Ogni cosa deve finire da qualche parte. In ogni sistema naturale, ciò che viene eliminato da un organismo, come rifiuto, viene utilizzato da un altro come cibo. Niente scompare.
  • La natura è l’unica a sapere il fatto suo. Se la natura si ribella l’uomo crolla.
  • Non si distribuiscono pasti gratuiti. In ecologia, come in economia, non c’è guadagno che possa essere ottenuto senza un certo costo.

 

 

 

Radice nonviolenta

Ma è soprattutto il discorso sulla pace quello che oggi, mentre la guerra bussa alle porte dell’Europa, Barry Commoner lascia in eredità alle generazioni del nuovo millennio. Una pace fra gli uomini che rappresenta la condizione preliminare per riconciliarsi con la natura, come spiegava proprio nel suo ultimo volume. Vogliamo riassumerne la visione attraverso le parole di Giorgio Nebbia, indimenticabile maestro del nostro pensiero ecologista, che proprio a “Far pace con il pianeta” aveva dedicato un’approfondita recensione riportata sul sito della Fondazione Micheletti: «L’esame degli eventi degli ultimi venti anni mostra (…) che l’inquinamento, la congestione urbana, la distruzione delle foreste, l’erosione delle coste, la distruzione degli animali, eccetera, sono, in realtà, il risultato della violenza esercitata dalla avidità umana nei confronti della natura e del pianeta, e nei confronti degli altri esseri umani». E ancora:

«La chiusura del cerchio della natura, quindi, può avvenire soltanto cambiando la nostra posizione mentale nei confronti delle risorse naturali e nei confronti degli altri esseri umani, in un rifiuto della violenza».

Parole che restano come un vessillo per l’ecologismo contemporaneo che cerca, nella tragedia cui stiamo assistendo, con grande fatica una propria utilità.

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Marco Fratoddi
Marco Fratoddi
Marco Fratoddi, giornalista professionista e formatore, è direttore responsabile di Sapereambiente, insegna Scrittura giornalistica al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Cassino con un corso sulla semiotica della notizia ambientale e le applicazioni giornalistiche dei nuovi media dal quale è nato il magazine studentesco Cassinogreen. Partecipa come direttore artistico all'organizzazione del Festival della virtù civica di Casale Monferrato (Al). Ha diretto dal 2005 al 2016 “La Nuova Ecologia”, il mensile di Legambiente, dove si è occupato a lungo di educazione ambientale e associazionismo di bambini, è stato fino al 2021 caporedattore del magazine Agricolturabio.info e fino al 2019 Direttore editoriale dell’Istituto per l’ambiente e l’educazione Scholé futuro-Weec network di Torino. Ha contribuito a fondare la “Federazione italiana media ambientali” di cui è divenuto segretario generale nel 2014. Fa parte di “Stati generali dell’innovazione” dove segue in particolare le tematiche ambientali. Fra le sue pubblicazioni: Salto di medium. Dinamiche della comunicazione urbana nella tarda modernità (in “L’arte dello spettatore”, Franco Angeli, 2008), Bolletta zero (Editori riuniti, 2012), A-Ambiente (in Alfabeto Grillo, Mimesis, 2014).

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