Noam Chomsky

Il filosofo e linguista statunitense, Noam Chomsky, è nato da padre ucraina e madre bielorussa (Foto: Luis Astudillo C. / Cancillería)

Noam Chomsky e la guerra nucleare. L’intervista su Current Affairs

L’escalation militare in Ucraina, il ruolo dell’amministrazione statunitense, le radici culturali che portano i cittadini a ignorare i rischi di questo conflitto. L’analisi del famoso filosofo, linguista e attivista americano che accusa Putin di aver commesso l’errore più grande: consegnare l’Europa agli avversari

«La bomba atomica aveva una capacità limitata. Il bombardamento di Hiroshima per molti versi non fu peggiore del firebombing di Tokyo un paio di mesi prima e in scala probabilmente non raggiunse quel livello. Ma era chiaro che il genio era uscito dalla lampada: la tecnologia moderna e la scienza  sarebbero progredite fino a raggiungere la capacità di distruggere tutto. Si arrivò a quel punto nel 1953, con l’esplosione delle armi termonucleari».

 

Il nube radioattiva generata dall'esplosione della bomba atomica su Nagasaki
Il nube radioattiva generata dall’esplosione della bomba atomica lanciata dagli Stati Uniti su Nagasaki, il 9 agosto del 1945 (Foto: Wikipedia)

 

Noam Chomsky, famoso filosofo, linguista e accademico statunitense, era un giovane studente quando annunciarono il lancio della prima bomba nucleare. E le impressioni di quel giorno e di quelli successivi riaffiorano quando si parla della guerra in Ucraina e di come sta reagendo l’opinione pubblica americana. Lo ha raccontato il 13 aprile scorso al direttore di Current Affairs, Nathan James Robinson, in una lunga intervista: «Ero così inorridito dalla cosa che ho lasciato il campo –  ha detto lo studioso –  mi sono incamminato da solo nel bosco e mi sono seduto lì per un paio d’ore a pensarci. La mia sensazione in quel momento era: siamo perduti se l’intelligenza umana è così lontana dalla morale dell’uomo, la possibilità di colmare questo divario è minima, soprattutto vedendo le reazioni emerse nei giorni seguenti: non importava fondamentalmente a nessuno».

 

Il presidente della Federazione russa, Vladimir Putin durante una conferenza stampa nel febbraio di quest’anno (Foto: Kremlin.ru/Wikimedia)

 

Indifferenza collettiva

Quella stessa indifferenza si avverte anche in questa fase storica. Dal suo punto di vista, infatti,  stiamo assistendo a una risposta reazionaria da parte dei cittadini statunitensi, che non intravedono nel conflitto armato con la Russia particolari pericoli. Non pensano alle città completamente distrutte o alla possibile scomparsa della vita sulla Terra. Per quale motivo? Secondo Noam Chomsky, dietro questo comportamento collettivo ci sono delle spiegazioni  storiche e culturali:

«Gli Stati Uniti non sono mai stati attaccati, non fino all’11 settembre. L’ultimo attacco sul suolo americano fu la guerra del 1812. Quello che facciamo è attaccare gli altri».

Negli anni ‘50 del Novecento il pubblico americano reagiva alle immagini di corpi dilaniati, presenti nei filmati realizzati a Hiroshima, con delle risate isteriche. E i bambini sono cresciuti giocando a “cowboy contro indiani”, non solo negli anni’30,vale a dire  nel periodo della sua infanzia. Esempi che, senza troppe semplificazioni o mistificazioni, possono aiutarci a comprendere che quella visione del mondo è tuttora presente: c’è infatti chi è favorevole a una no-fly zone in Ucraina senza preoccuparsi delle conseguenze. L’opinione pubblica si affida agli esperti di politica estera, spesso promotori di un’interpretazione della realtà distorta.

 

 

«Per fortuna  c’è una forza di pace nel governo. Si chiama Pentagono – ha aggiunto l’accademico – Finora stanno ponendo il veto alle eroiche dichiarazioni dei membri del Congresso, facendo notare che una no-fly zone non solo significa abbattere gli aerei russi, ma significa attaccare le installazioni antiaeree russe all’interno della Russia. E poi cosa succede? Beh, in realtà, gli ultimi sondaggi mostrano che circa il 35% degli americani sta ascoltando i discorsi eroici del Congresso e dei consiglieri. Il 35%  dice che  dovremmo entrare in guerra, anche se c’è la minaccia di uno scontro nucleare. La fine di tutto. Il paese che lancia il primo attacco sarà distrutto».

Un pericolo che è stato sventato già il 26 settembre del 1983, grazie al tenente colonnello dell’esercito  sovietico Stanilslav Petrov.

Duplice opzione

In questo momento storico  è molto difficile, però,  fermare l’escalation militare. «Ci sono due opzioni per quanto riguarda l’Ucraina: quella della trattativa, che offrirebbe a Putin una via di fuga, ovvero un brutto accordo. È a portata di mano? Non lo sappiamo. L’altra opzione è rendere esplicito e chiaro a Putin e alla ristretta cerchia di uomini intorno a lui che non hanno scampo, andranno a un processo per crimini di guerra, qualunque cosa  facciano» ha fatto notare Chomsky.

 

 

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«Boris Johnson lo ha appena ribadito: le sanzioni andranno avanti qualunque cosa facciano. Cosa significa? Significa andare avanti e cancellare l’Ucraina e continuare a gettare le basi per una guerra nucleare. Queste sono le due opzioni: noi scegliamo la seconda e ci lodiamo per l’eroismo, combattendo la Russia fino all’ultimo ucraino».

Non sembra esserci alcuna via per la diplomazia e la fine del conflitto armato, insomma, almeno fino a quando sul tavolo delle trattative ci sarà ancora la questione della Crimea e se non si giungerà a un accordo sul Donbass. Intanto in America il dibattito pubblico ruota, ormai, soltanto intorno a due questioni: quante armi dare agli ucraini e se è necessario anche un intervento militare. Non si pensa più alla soluzione che possa salvare la vita degli ucraini. Non ci sono scelte etiche, le decisioni si basano sul mero calcolo, sulla strategia, sulla sola razionalità.

 

Il presidente americano RIchard NIxon e il segretario di Stato Henry Kissinger in un’immagine del 1972 (Foto: Nara)

 

«Hitler era perfettamente razionale, sapete – ha precisato  ancora Noam Chomsky – Non è una questione di razionalità. Si può essere razionali per il genocidio e lo sterminio. Henry Kissinger, che è molto lodato negli Stati Uniti, sono sicuro che fosse abbastanza razionale quando diede un ordine all’aeronautica americana, trasmesso dal suo capo mezzo ubriaco, Richard Nixon. L’ordine per la  campagna di bombardamenti massicci in Cambogia era: “tutto ciò che vola su tutto ciò che si muove”. In altre parole, cancellare tutto. È una chiamata al genocidio di massa. Non credo che si possa trovare una conferma nei documenti d’archivio, si potrebbe provare. Beh, era perfettamente razionale. Era un modo per fare carriera a Washington. Questo era il modo per essere glorificati, niente d’irrazionale».

Regole in mare

Lo studioso ha  ricordato, poi, che in nome della democrazie e della libertà sono stati compiuti crimini in tutto il mondo. E continuiamo a vedere la sofferenza dei popoli devastati dalle guerre. C’è un atteggiamento ipocrita da parte degli Stati Uniti nel condannare altri Paesi. Dimenticano di essere  incivili e  di aver compiuto atrocità. Eppure i popoli del sud del mondo sanno cosa hanno fatto gli europei e gli Usa in Iraq, in America centrale, in Vietnam, in Afghanistan, in Africa… Ipocrisia avallata da tutti i governi che sono passati dalla “Guerra globale al terrore” al difenderci dalla Russia e dalla Cina. Sono aumentati così  gli investimenti nelle armi per affrontare le due potenze  in un eventuale conflitto nucleare. In particolare,  gli Usa vogliono accerchiare la Cina, coinvolgendo Corea del Sud, Taiwan, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, India (che è un partner riluttante).

 

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«La Cina sta facendo cose che non dovrebbe, come violare il diritto internazionale nel Mar Cinese Meridionale.  Tuttavia gli Stati Uniti non sono in una posizione particolarmente favorevole per alzare un polverone su questo tema, dato che sono l’unica potenza marittima che non ha nemmeno ratificato la Legge del Mare» ha spiegato il filosofo.

 

 

Il presidente degli Usa, Joe Biden, e il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping

 

«Ma noi statunitensi siamo così. Noi possediamo e comandiamo il mondo. Quindi non dobbiamo ratificare nulla. Stabiliamo quello che i giornalisti di politica  estera chiamano “l’ordine liberale basato sulle regole”. Lo sosteniamo perché siamo noi a stabilire le regole. Così, quindi, vogliamo l’ordine internazionale basato sulle regole, ma non l’ordine vecchio, quello dell’Onu, dove noi non stabiliamo le regole. Quello non va bene, quello va buttato fuori dalla finestra».

 

Statisti cercasi

La politica imperialista non è dunque compatibile con la pace. Non favorisce la cooperazione internazionale. Dall’altro canto, per Noam Chomsky,  mancano anche statisti in grado di perseguire i programmi avviati dopo la seconda guerra mondiale, quando c’era cioè la possibilità di incorporare la Russia in un sistema generale di pace, di integrazione commerciale, di immigrazione culturale. Charles de Gaulle propose “l’Europa dall’Atlantico agli Urali”, senza alleanze militari. Il primo ministro tedesco spingeva per quella soluzione. Gorbaciov, nel 1991, quando la Russia stava crollando, era favorevole a  un’Europa indipendente. Invece gli Stati Uniti desideravano far rientrare tutta l’Europa nel quadro atlantista.  L’alternativa sarebbe stata una casa comune europea, una forza indipendente negli affari mondiali, senza alleanze militari. Una questione ancora attuale.

 

Emmanuel Macron
Emmanuel Macron è stato appena confermato presidente della Repubblica francese (Foto: Jeso Carneiro/Flickr)

 

«Macron e le sue limitate iniziative verso Putin andavano in quella direzione. Putin nella sua stupidità criminale ha perso l’occasione. Se ci fosse stato un uomo di stato al Cremlino, avrebbe colto questa opportunità. I Paesi europei  avevano molte ragioni  per migliorare le relazioni con la Russia. La complementarità commerciale era  un incentivo, avrebbe forse potuto funzionare. Non lo sappiamo. Non ci hanno provato» ha concluso il linguista e attivista.

«Invece, Putin ha fatto quello che fa ogni uomo violento: scegliere la violenza. Ha  attaccato l’Ucraina, un’aggressione criminale, consegnando agli Stati Uniti su un piatto d’argento il suo desiderio più ardente: l’Europa».

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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