Exit. Ve li ricordate i cinema, quei luoghi bui e chiusi, pericolosamente sovraffollati? Quando a luci ancora spente, titoli di coda che sfumano, andavamo tutti verso l’omino verde sulla porta che in un rapidissimo passaggio di soglia ci riportava nel mondo di fuori? Ecco, siamo pronti. Interiormente, dico. Perché sappiamo invece benissimo quanto sarà difficile. Quanti parametri, quanti attori, quante esigenze e interessi. Quante aspettative, pericoli, errori… Sullo sfondo c’è l’eco-nomia, «l’arte di reggere e bene amministrare le cose della famiglia e dello Stato», recita una definizione antica a cui sarebbe bene tornare: un’arte e non una scienza. Il salto è triplo, senza rete, ma potrebbe valer la pena provare. Da “scienza triste” ad arte, qualcosa che mette in moto per creare, possibilmente eguaglianza e consapevolezza sociale e ambientale, come auspicava pochi giorni fa il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, in un intervento su La Repubblica.

 

Muhammad Yunus
L’economista e Nobel per la pace Muhammad Yunus (Foto: University of Salford Press Office)

 

E la pedagogia, come può trasformarsi grazie a questa straordinaria possibilità virale? Se il mondo economico non ci piaceva, non credo fossimo contenti di quello educativo. Il nostro Ministero dell’Istruzione ha cambiato dieci ministri in dieci anni, le riforme si sono accavallate e contraddette, le risorse invece, dal 2009, seguono un trend coerente: scendono e ci attestano buoni ultimi in Europa, sia in rapporto al Pil che alla spesa pubblica totale.

Nomen omen

Sappiamo che a costo di enormi fatiche, scarpinando tra burocrazia e edilizia fatiscente, abbandono scolastico e problemi di organico, migliaia di insegnanti sono veri educatori. Incontri fondamentali nelle biografie di tanti bambini e ragazzi. Ma visto che potremmo ricominciare da zero, partiamo dal nome. Perché nomen omen. E istruzione non è educazione: uno è “in-struere”, costruire, disporre; l’altro è “e-ducere”, vale a dire tirar fuori. Sentite come cambia il gesto? Qui i riflettori puntati sul docente che riempie il vaso vuoto dello studente, colui che si sforza di fare; là accesi sulle sue capacità maieutiche di portare alla luce le singolarità degli allievi, coloro che sono allevati per essere.

 

Un'insegnante a scuola aiuta un bambino a studiare
In Italia siamo ultimi in Europa per investimento nella scuola, sia in rapporto al Pil, sia alla spesa pubblica totale. Eppure migliaia di insegnanti rimangono veri educatori

 

Le istruzioni sono per l’uso di meccanismi da assemblare così, mentre imbocchiamo la porticina verde, potremmo sovvertire una volta per tutte le pessime ragioni che ci hanno portato a considerare i nostri studenti – il futuro! – in termini economici, appunto: voraci e indomabili consumatori e forza lavoro da incasellare nel mercato.

Sistemata la faccenda del nome dell’ente che si occupa della formazione degli studenti, potremmo ribattezzare anche i corsi di laurea che istruiscono i nostri futuri insegnanti, attualmente detti Scienze della formazione o dell’educazione.

Bellezza al centro

Può essere l’educazione solo una scienza o non è a maggior ragione un’arte? Per non dire della formazione, che plasma e modella i bambini in quei loro primi, crucialissimi anni di vita, in cui sono concentrati a perfezionare i loro organi, a predisporre il terreno del futuro apprendimento, a nutrire i sensi di tatto, propriocezione ed equilibrio che saranno le fondamenta di una crescita sana.

Educare è un’arte perché come in ogni processo veramente artistico il risultato non è mai scontato e mai uguale. Perché obbliga l’educatore a mettersi in discussione e gli impedisce di procedere se non si è pienamente in due, in una relazione che si intesse da anima ad anima. Perché implica una conoscenza profonda e vasta dell’essere umano e delle sue tappe evolutive, delle sue necessità, dei suoi bisogni e di quelli della comunità-classe (e comunità-scuola, quartiere, città, nazione) in cui si opera. E perché non può fare a meno della bellezza. Vogliamo ardire a mettere tra i nostri nuovi bisogni la bellezza? Non è estetismo, è rivoluzione etica. È eco-pedagogia:

 

Rudolf Steiner
Rudolf Steiner, l’artefice della pedagogia Waldorf, centrata sulla valorizzazione della personalità dei bambini

«La bellezza deve essere al centro di tutta la vita scolastica e delle successive epoche di vita dell’uomo, la bellezza deve dominare nella vita umana quale interprete della verità», disse Rudolf Steiner in un ciclo di conferenze tenute ai giovani nel 1922, parlando di conflitto tra generazioni, nuovo sistema educativo e necessità di coscienza delle epoche che verranno.

Il bambino impara tutto quello che sa grazie all’esperienza, all’errore, all’entusiasmo. Non si scoraggia mai. Viene al mondo confidando nel fatto che sia buono e bello. Abbiamo un’enorme possibilità di non deluderlo. Di evolvere, di passare l’esame. Di uscire dalla porticina e trovare un mondo nuovo. Stesso film, altro finale. The end.

Saperenetwork è...

Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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