Gonzalo M

Intervista a Gonzalo Moratorio, il ricercatore che ha aiutato l’Uruguay a contenere l’epidemia

Riconosciuto dalla rivista Nature come uno dei dieci scienziati più importanti del 2020, il virologo uruguaiano ha contribuito a mantenere la mortalità per Covid-19 nel suo paese tra le più basse in assoluto. Adattando il tradizionale test diagnostico alle capacità dell’Uruguay, ha reso possibile l’abbattimento dei costi ed una disponibilità di prove sufficienti per l’intera popolazione

Meno di 300 decessi e poco più di 30 mila contagi da inizio pandemia. Sono questi i numeri, diffusi circa un mese fa, dell’infezione da Sars-Cov-2 in Uruguay. Nonostante le cose siano in lieve peggioramento, con un tasso di letalità pari all’1% e meno di 13 decessi ogni 100mila abitanti, il paese latino-americano ha registrato una mortalità per Covid-19 tra le più basse a livello globale. Perché mai? Si potrebbe pensare che ciò sia attribuibile all’esiguo numero di abitanti, circa tre milioni e mezzo, ma basta fare qualche confronto per capire come la densità di popolazione sia un fattore del tutto ininfluente.

 

 

Panama, come mostrano i dati elaborati dalla Johns Hopkins University, con un numero di abitanti simile a quello dell’Uruguay, ha registrato oltre 5.000 decessi da inizio pandemia. Divario ancor più evidente se ci sposta in Europa: l’Albania e la Bosnia-Erzegovina, entrambe con una popolazione perfino inferiore a quella uruguaiana, hanno accumulato un tasso di letalità del 1.8% e del 3.8% rispettivamente. È chiaro che i fattori in gioco siano molti di più e che a fare la differenza sia stato altro. La risposta, infatti, risiede in una gestione esemplare dei contagi. Gestione, che non sarebbe stata tale se non fosse stato per il contributo di Gonzalo Moratorio, ricercatore dell’Istituto Pasteur di Montevideo, e dal suo team.  Per la rilevazione dell’Rna genomico del Sars-CoV-2, nei primi mesi della pandemia è stato necessario, in tutto il mondo, sviluppare diversi metodi basati sulla reazione a catena della polimerasi a trascrizione inversa in tempo reale (RT-qPCR). Questi metodi, raccomandati dall’Oms per la diagnosi di laboratorio, si basano sull’uso di sonde fluorogeniche e reagenti one-step (sintesi di cDNA seguita da amplificazione PCR nella stessa provetta). Si tratta di protocolli standard la cui applicazione, specie nei paesi in via di sviluppo, può incontrare non pochi limiti. Ma adattandoli alle disponibilità del paese in un contesto di cooperazione e coordinazione, è possibile, come è stato fatto in Uruguay da Moratorio, garantire test efficaci e gratuiti per tutti. Abbiamo l’argomento, parlando direttamente con Gonzalo Moratorio.

 

 

È stato riconosciuto dalla rivista “Nature” come uno dei dieci scienziati più importanti del 2020 per aver adattato, in Uruguay, il tradizionale test molecolare per la rilevazione del Sars-Cov-2. Come ci siete riusciti?
La rivista Nature ci ha conferito il riconoscimento per il test sviluppato, ma non solo. Lo abbiamo ricevuto, anche e soprattutto, perché abbiamo attivato una rete di laboratori pubblici che ci ha permesso di distribuire il test da noi sviluppato in forma gratuita a tutta la popolazione. Nel dettaglio, il nostro test è basato sulla tecnologia di TaqMan – una serie di sonde utilizzate per aumentare la specificità della PCR in tempo reale – e consiste nel testare ogni paziente, utilizzando un’unica provetta, allo scopo iniziale di amplificare e rilevare un gene umano. Questo primo step rappresenta il “controllo”, che permetterà di verificare che il test sia stato eseguito correttamente. Dopodiché, l’amplificazione è diretta a due regioni del genoma virale da identificare. Questo metodo rende il test, che è stato sviluppato su larga scala e distribuito in tutto il paese, molto veloce: solo 45 minuti nella macchina per PCR in tempo reale. Infine, vorrei ribadire e sottolineare che la rivista non solo ha premiato lo sviluppo del test, bensì la creazione di risorse. Risorse che hanno dato la possibilità di reindirizzare gli sforzi dell’accademia scientifica e di contare sui ricercatori per diagnosticare la Covid-19 e adottare misure con una tempistica eccezionale. Questo ha permesso all’Uruguay, cosa che non è avvenuta in moltissimi altri paesi, di contenere la pandemia e superare i primi nove mesi senza grossi rischi.

Ci sono differenze con i test convenzionali?
Non ci sono differenze significative con le prove tradizionali per la rilevazione del virus in tempo reale. Ciò che è stato veramente importante nel nostro caso è stata la possibilità di produrlo in grandi quantità, democratizzarlo, o meglio, fornirlo gratuitamente a tutto il paese, in un momento della pandemia in cui la difficoltà nell’ottenere dei validi test diagnostici è paragonabile a quello che sta succedendo oggi con i vaccini. In questo modo l’Uruguay ha ottenuto sovranità ed autonomia nel testare la popolazione in maniera molto significativa e questo ha permesso, insieme ad altri fattori, di gestire la pandemia con moltissima tranquillità nei primi 8-9 mesi, i più critici. 

 

La mortalità per Covid-19 in Uruguay è molto bassa se confrontata con altri paesi latinoamericani. I test che avete sviluppato hanno quindi contribuito a gestire la pandemia in modo esemplare?
Crediamo che nel corso dei primi mesi della pandemia la capacità di testare la popolazione sia stato uno strumento in più per poter contenere gli effetti più disastrosi. Principalmente credo che il comportamento degli uruguayani in relazione al rispetto delle norme non farmacologiche, come il distanziamento e l’uso di mascherine, abbia contribuito, insieme alle capacità diagnostiche, a realizzare efficacemente una strategia di tracciamento dei contagi e isolamento dei positivi, di modo da poter spegnere i focolai sul nascere e bloccare la rapida espansione comunitaria del virus. Ritengo, quindi, che lo sviluppo di un test gratuito a livello nazionale sia stato determinante nel controllare la pandemia. Tuttavia, in questo momento, ritengo che l’Uruguay stia iniziando a soffrire la sua prima e vera ondata. Ma fortunatamente abbiamo vissuto un primo anno di pandemia con meno di 500 morti e pochissimi infetti. 

 

 

 

Non tutti i paesi hanno avuto la possibilità di sviluppare i propri test diagnostici. Che limiti potrebbe incontrare un paese in via di sviluppo nel realizzarli?
Un fattore chiave per lo sviluppo del test RT-PCR in Uruguay è stato quello di poter contare su un sistema scientifico che ha risposto prontamente ma, soprattutto, in un allineamento, una messa in comune, di informazioni tra decisori politici, autorità nazionali e sanitarie e ricercatori, in modo da poter convogliare il potenziale delle accademie, delle università, delle istituzioni di ricerca e concentrarlo così nelle diagnosi molecolari. I limiti che un paese potrebbe incontrare sono quindi legati alla possibilità di realizzare un’infrastruttura ed una capacità scientifica che sia paragonabile ad un sistema laboratoriale di una multinazionale e in un momento in cui il pianeta versava in un lockdown globale. 

Per concludere, una sua opinione. Con l’arrivo dei vaccini ritiene che potremmo tornare alla normalità in relativamente poco tempo ed eradicare definitivamente la Covid-19?
Credo che con l’arrivo dei vaccini ci sia finalmente una luce alla fine del tunnel, ma questo tunnel continua ad essere molto lungo e oscuro. L’arrivo dei vaccini potrebbe dare una falsa sensazione di uscita, di trionfo, che potrebbe portare ad un allentamento nei comportamenti che finora ci hanno protetto. Pertanto, ritengo che l’arrivo dei vaccini dovrebbe essere accompagnato da misure più severe in modo da poter dar tempo ad ogni popolazione di ogni regione di raggiungere l’immunità collettiva. Per un paese come l’Uruguay, che conta 3 milioni e mezzo di persone, rispettando frequenza e numero di dosi che le nostre autorità pretendono, ci vorrà ancora un anno per raggiungere detta immunità e avvicinarci ad un ritorno alla normalità. Inoltre, la formazione di nuove varianti del virus e la sua dinamica evolutiva, non ci assicurano che i vaccini porteranno ad una fine definitiva del Sars-Cov-2. Chiaramente però, i vaccini garantiranno un controllo che ci porterà via via più vicino alla normalità. Ribadisco, i vaccini rappresentano una speranza ma il cammino per raggiungere la luce richiede ancora molta responsabilità individuale. 

 

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Simone Valeri
Simone Valeri
Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna

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