25 aprile, manifestazione della Liberazione

I partigiani entrano a Pavia (Foto: Archivio della Resistenza)

La lotta di liberazione contro il fascismo e l’occupazione tedesca ha contribuito a modificare profondamente il volto socio-culturale italiano. Sotto l’impulso del Neorealismo, alcuni scrittori hanno raccontato da un punto di vista non retorico, e quindi non agiografico, gli anni della Resistenza, in cui i  drammi esistenziali venivano alimentati dalla violenza e dal desiderio di riscatto.

Quest’anno il 25 aprile si celebra il 75esimo anniversario della Liberazione, e per l’occasione  vi invitiamo a leggere (o a rileggere) tre importanti romanzi, perché gli interrogativi che sollevano risultano particolarmente attuali nella nostra epoca di crisi: un nuova età di mezzo e di ricostruzione. Che come nella metà del novecento potrebbe nascondere dei mostri.

 

Copertina del libro Uomini e no di Elio VittoriniUomini e no (1945)

 

 

 

Elio Vittorini in Uomini e no affronta il tema della lotta al fascismo immergendosi nel personaggio Enne2, capitano dei Gap a Milano. Un uomo tormentato dal periodo storico, dalla dittatura, dalla mancanza di libertà, ma anche dall’amore impossibile per Berta. Nel libro la lotta partigiana coincide con la crisi esistenziale dello stesso autore, dell’uomo d’azione che deve fare i conti con l’uomo intellettuale. Due lati della stessa medaglia, due passioni che non consentono di compiere scelte tranchant. Attraverso il suo personaggio, Vittorini si interroga sulla natura dell’uomo al di là della suo condizionamento storico. Perché per l’intellettuale la disumanità non si esprime soltanto nelle azioni dei fascisti e dei nazisti. Anche la lotta armata partigiana si nutriva di violenza, sebbene necessaria. Piuttosto bisognava trovare le cause che hanno portato una intera generazione a dover ricorrere alle armi, ad uccidere i propri simili. Come e perché l’uomo sia dovuto arrivare ad un simile grado di ferocia. La guerra aveva dimostrato che non basta combattere il fascismo per sradicare la violenza che è presente in noi. Bisogna lavorare per una letteratura meno impotente. Il vero impegno dello scrittore allora diventa quello di riuscire a sostituire le armi con una nuova letteratura, e più in generale con una nuova cultura. Scrive Vittorini nel primo numero del Politecnico:

“Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegge dalle sofferenze, che le combatti e le elimini”.

 

Il sentiero dei nidi di ragno (1947)        Copertina del libro Il sentiero dei nidi di ragno di Italo Calvino

 

 

 

Con Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino recupera il romanzo popolare. La Resistenza coincide con la rielaborazione del materiale anonimo, che comprende anche la tradizione orale di battaglie. In “Sentieri dei nidi di ragno”, il protagonista, il giovane Pin vive in mezzo ai grandi e abita con la sorella che fa la prostituta. Durante i giorni della lotta partigiana, il bambino incontra alcuni personaggi che fanno parte della “banda del Dritto”: Lupo Rosso, Cugino, Beretta di Legno, Labbra di bue,  ma non è attratto dalla  lotta partigiana. Pin ha voglia di scoprire, di indagare la natura e vuole stare lontano da ciò che fanno gli adulti, non sopporta il  loro realismo mostruoso. Quello della violenza imperante. Calvino attraverso lo sguardo innocente può rivelare che a guidare la grande macchina della storia non sono le ideologie, ma sono le azioni quotidiane e le ragioni personali di tutti. Ognuno con il suo furore al di là degli ideali.

Come è accaduto nella vita dello scrittore partigiano, che accettò di collaborare con il P.C.I. non per ragioni ideologiche, ma solo perché era la forza più organizzata. In fondo Italo Calvino ha avuto sempre una visione anarchica della società, dove la verità della vita viene sviluppata in tutta la sua ricchezza, al di là delle necrosi imposte dalle istituzioni e in cui la ricchezza del mondo non venga sperperata ma organizzata e fatta fruttare secondo ragione nell’interesse di tutti gli esseri viventi e venturi. Il vero riscatto della lotta, scrive Calvino, è il riscatto umano dalle umiliazioni:

“Per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione.”

E così la P.38 che il  protagonista ruberà a un tedesco – senza consapevolezza e senza sentirsi parte di una grande narrazione –  in realtà potremmo considerarla come la metafora della scrittura, che assume la dimensione di uno strumento magico capace di creare un rapporto arbitrario tra le cose. È l’arma usata per comporre e scomporre la realtà, per fuggire verso la libertà.

 

Copertina del libro Una questione privata di Beppe Fenoglio

Una questione privata (1963)

 

 

 

Una vicenda circoscritta nell’arco di soli quattro giorni, in cui la lotta antifascista è la cornice di una eterna storia d’amore e d’amicizia. È questa la traccia del romanzo di Beppe Fenoglio, “Una questione privata”. Il protagonista è il giovane Milton, che deve affrontare un dramma individuale: scopre che Fulvia, la ragazza amata in silenzio prima della guerra ha avuto una relazione probabilmente con Giorgio Clerici, il suo migliore amico.

L’impossibilità di ottenere conferma dei propri sospetti, perché il compagno è stato appena catturato dai fascisti, gli inutili tentativi di liberarlo attraverso uno scambio di prigionieri, indurrà il partigiano Milton ( nome che ricorda l’autore del Paradiso Perduto) a morire sotto il fuoco nemico senza sapere mai la verità. Nel libro la vicenda amorosa coincide con quella conoscitiva senza che quest’ultima possa prendere il sopravvento: Milton è un innamorato e un filosofo, convinto che gli uomini devono compiere le proprie scelte nel massimo della consapevolezza, valutando in anticipo i rischi e le ripercussioni di ogni singolo gesto. Ogni uomo prima o poi si trova ad avere nelle mani il destino di un altro essere umano e non c’è niente di peggio che abusare del proprio potere come ha fatto Fulvia o farlo senza rendersene conto.

Fenoglio dalle Langhe  lancia un messaggio universale: non è possibile sfuggire alla prigione dell’angoscia, perché lo slancio sarà sempre insufficiente ed il progetto destinato ad infrangersi. La morte è l’unica conoscenza e l’unico traguardo degli uomini.

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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