Un uomo suona il piano in strada a Manhattan

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Verso il paradiso, viaggio (nel tempo) al termine di Manhattan

Corposa e intensa, a tratti emozionante e tattica, la terza opera narrativa di Hanya Yanagihara è un intreccio di nomi, date, luoghi che stravolge e riattualizza il concetto di distopia. Un modo ambizioso per raccontare un possibile nuovo mondo recuperando tracce di un passato inaspettato

La copertina di "Verso il paradiso" di Hanya Yanagihara
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Il paradiso è altrove, sempre. È il recinto dei giusti in cui è lecito immaginare che la vita sia migliore: gli amori ricambiati, le minoranze etniche rispettate, il pianeta e i diritti salvaguardati. È, “paradiso”, non solo il titolo di questo Verso il paradiso, ma anche l’ultima parola dei tre libri – perché di tre libri, in fondo, si tratta – dell’ultima, attesissima prova letteraria di Hanya Yanagihara, appena uscito in contemporanea mondiale e in Italia edito nella traduzione di Francesco Pacifici da Feltrinelli, con qualche piccolo refuso di troppo e un’accorta strategia di marketing a dir poco superflua. Perché questa terza opera della giornalista e autrice newyorkese di origini nippo-coreane e vissuta alle Hawaii, arriva dopo il planetario successo di Una vita come tante ed è, insieme ad un altro romanzo fluviale, Annientare di Michel Houellebecq, il libro cult del 2022. E invece ecco le bozze del libro impacchettate nella scatola disegnata da Ilya Milstein che riproduce la casa protagonista di Washington Square ed ecco l’account Instagram con tutte le immagini, le illustrazioni e le opere d’arte che possono accompagnarne visivamente la lettura. Al confronto, le borse di cotone riciclabili realizzate da vari artisti per Una vita come tante, sembra già un’operazione naïve.

 

Hanya Yanagihara
Hanya Yanagihara, giornalista e scrittrice. “Verso il paradiso” è il suo terzo romanzo, dopo il successo di “Una vita come tante” (Foto: Prudence Upton, Facebook)

 

To Paradise, come recita il titolo originale, è un libro corposo (768 pagine) e intenso, a tratti emozionante, tattico e sentimentale, destinato a creare schieramenti tra i lettori e i recensori. C’è chi lo accusa di essere manipolativo e falsamente complesso e chi, come Edmund White o il Guardian, ha già gridato al capolavoro del XXI secolo.

 

 

Yanagihara, della cui vita sappiamo forse troppo e non tutto ci bendispone (editor di  Traveler per viaggi extra lusso, capo del supplemento di Moda & Design del New York Times, nome di punta dell’élite culturale newyorkese che decreta cosa è “in” mangiare, leggere e recensire mentre confessa di odiare New York e voler vivere a Kyoto) ha trasfuso in quest’opera ambiziosa molti dei temi a lei cari, a cominciare dalla pervasività delle relazioni omosessuali dei protagonisti, passando per l’autofustigazione, l’espiazione e il senso di colpa, la fragilità delle identità e delle relazioni, il coraggio di proteggere chi amiamo.

Ma il quadro di quest’opera va ben oltre lo scavo psicologico dei personaggi per consegnarci tre affreschi che arditamente riscrivono la storia, azzardano il futuro, interrogano l’antropologia e sviliscono le spinte di autoaffermazione dei popoli, in un intreccio di nomi che ricorrono, razze che si confondono e ruoli che si sovrappongono lungo i pannelli del trittico come in un racconto buddista sulla reincarnazione.

 

Washington Square Park
Un’immagine di Washington Square Park, con il celebre arco d’ingresso che si affaccia su Midtown Manhattan

 

Tre sono infatti i momenti storici fotografati nel libro, a partire dal 1893. Siamo a New York, terra degli “Stati Liberi” dove il matrimonio tra omosessuali è legittimo a dispetto della rigidità tra le classi sociali. David Bingham è il giovane nipote di una facoltosa famiglia di finanzieri e a lui andrà la magione di Washington Square nel Greenwich Village dove vive col nonno.

David è orfano e diafano, sgomento e privo di qualità, al pari di tanti personaggi della letteratura classica di fine Ottocento e come la Catherine Sloper del romanzo di Henry James, Washington Square, che potremmo andarci a (ri)leggere per l’occasione.

Sarà solo la travolgente passione per uno spiantato e dubbio insegnante di musica a fargli desiderare di mollare gli agi per trovare veramente se stesso in California, in “paradiso”.

 

 

Nel 1993 David Bingham è invece un assistente legale di origini hawaiane, giovane amante del suo capo Charles Griffiths. Manhattan è assediata dall’Aids e mentre nella grande casa nel Village, trionfante di pezzi d’antiquariato hawaiano, si accompagna alla morte ormai prossima un vecchio fidanzato di Charles, arrivano da lontano gli echi dell’infanzia di David, nipote dell’erede al trono dell’arcipelago spodestato e soppiantato dall’annessione statunitense.

A Lipo-wao-nahele si rifugiò suo padre, irretito dal sogno delirante di una possibile ribellione secessionista e ora tragicamente e illusoriamente intento a ritrovare suo figlio, partito giovanissimo per l’America, per il “paradiso”.

 

Hanya Yanagihara
Opera molto ambiziosa, “Verso il paradiso” affronta molti dei temi cari alla Yanagihara. Dalla pervasività delle relazioni omosessuali all’autofustigazione, dall’espiazione al senso di colpa, e alla fragilità delle identità e delle relazioni

 

E nel 2093 Washington Square si chiama Zona Otto e Charles Griffiths è lo scienziato co-creatore del regime totalitario in cui sono sprofondati gli Stati americani in cinquant’anni di pandemie e di guerre. Sua nipote Charlie, unica vera protagonista femminile del libro, è sopravvissuta e lesa, fragile, indifesa, tenace.

Ce lo racconta lei il mondo nuovo: le tute da raffreddamento, il razionamento delle risorse idriche e alimentari, il controllo assoluto delle relazioni sociali e dei pensieri, rivelando, nella parte più sostanziosa e toccante del libro, il futuro distopico verso il quale stiamo scivolando e tutto il coraggio di cui avremo bisogno per immaginare quanta libertà e giustizia occorrono per trasformare una terra qualunque nel  “paradiso”.

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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