Cerimonia funebre, George Floyd

 

Cerimonia funebre, George Floyd
Nella chiesa di The Foutain of Praise circa cinquecento persone hanno dato l’ultimo saluto a George Floyd (Foto/ Pagina Fb di The Foutain of Praise)

 

George Floyd è arrivato in carrozza, ieri,  alla sua destinazione finale. Il suo feretro dorato, circondato da fiori bianchi e  palloncini ha raggiunto Houston, in Texas, la sua città d’origine, dove è stato sepolto. Ad accoglierlo per l’ultimo saluto migliaia di persone provenienti da Houston e la sua famiglia. Durante il funerale, durato quattro ore, ci sono stati diversi interventi e testimonianze. Ma a lasciare il segno nella chiesa  The Fountain of Praise sono state le parole di Brooke Williams, la giovane nipote di George:

«Non è stato solo un omicidio razzista, è stato un crimine d’odio. Gli agenti non hanno mostrato alcun rimorso mentre l’anima di mio zio lasciava il suo corpo. Ha implorato e scongiurato tante volte di potersi alzare e respirare ma loro lo schiacciavano ancora di più. Perché il sistema deve essere così corrotto e marcio? Basta crimini per favore».

Poi ha aggiunto: «Qualcuno dice Make America Great Again, ma quando mai l’America è stata grande!». Un messaggio evidentemente rivolto a Donald Trump.

Il funerale si è svolto in forma privata: hanno partecipato circa cinquecento persone, tra cui il reverendo Al Sharpton, figura storica delle lotte per i diritti civili degli afroamericani.  Chi ha protestato e sta protestando contro la morte del 46enne ucciso da un poliziotto, attendeva anche la presenza del candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha invece inviato un  messaggio in video:

«Nessun bambino dovrebbe fare domande che troppi bambini neri si pongono da generazioni. Perché? Perché papà se n’è andato? Non possiamo allontanarci. Non dobbiamo allontanarci − ha detto Biden −  Perché, in questa nazione, troppi neri americani si svegliano sapendo che potrebbero perdere la vita nel corso della loro quotidianità? Perché la giustizia non si snoda come un fiume potente? Non possiamo lasciare questo momento pensando ancora una volta di allontanarci dalla lotta al razzismo».

Il clima di tensione intanto non sembra placarsi  nelle città americane. A New York , infatti, migliaia di persone si sono radunate sulle Quarantaduesima  strada. A Washington e Los Angeles si ripetono le scene degli ultimi giorni, con giovani armati di mascherina che protestano. E altri video sull’uso eccessivo della forza da parte della polizia americana scuotono il Paese. L’ultimo − risale al 28 marzo 2019 ma e’ stato diffuso solo ora − è quello ripreso dalla bodycam di un poliziotto ad Austin, in Texas.  Le immagini mostrano un afroamericano di 40 anni, Javier Ambler, mentre viene arrestato per non essersi fermato all’alt della polizia. Dopo un inseguimento Ambler scende dell’auto con le mani alzate, ma nel bloccarlo gli agenti gli premono il collo, mentre l’uomo grida piu’ volte: «Non posso respirare», fino a che non perde i sensi e muore prima dell’arrivo dei soccorsi.  L’altro video riguarda  un altro giovane afroamericano disarmato, che, dopo essere stato fermato per eccesso di velocità a New Jersey,  viene ucciso dal poliziotto bianco con sei colpi di pistola durante una colluttazione. Le proteste del movimento Black Lives Matter ora risuonano in tutto il mondo. Il 7 giugno a Bristol, nel Regno Unito, i manifestanti hanno abbattuto la statua Edward Colston, il mercante di schiavi, e l’hanno buttata nel fiume. A Bruxelles circa ventimila persone sono scese in piazza. Alcuni sono saliti sulla statua di Leopoldo II,  sventolando la bandiera della Repubblica Democratica del Congo, paese colonizzato dal Belgio. «Assassino» cantavano senza sosta i manifestanti. E  il dibattito sul razzismo si è riacceso anche in Italia. Nello scorso fine settimana, infatti,  si sono svolti numerosi sit-in di protesta per George Floyd.  In piazza del Popolo, a Roma,  in particolare, domenica mattina , più di tremila persone si sono inginocchiate a terra dalle 12.03 alle 12.11.  Otto minuti e 46 secondi, lo stesso tempo in cui George  è rimasto con il collo sotto al ginocchio dell’agente che lo ha ucciso.

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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