Trivelle Greenpeace

Attivista di Greenpeace protestano davanti alla piattaforma petrolifera italiana “Sarago Mare” nel mare Adriatico, a 3 miglia nautiche dalla riva. (Foto: Francesco Alesi/Greenpeace)

Volano trivelle

Il 5 dicembre la piattaforma Ivana D è stata scardinata dalle forti folate di vento. Dopo qualche giorno è stata ritrovata sul fondo del Mare Adriatico. Le autorità della Croazia hanno scongiurato il disastro ambientale, ma le immagini del report di Cova Contro e Greenpeace rivelano uno scenario preoccupante

Trivelle Greenpeace
Attivista di Greenpeace protesta davanti alla piattaforma petrolifera italiana “Sarago Mare” nel mare Adriatico, a 3 miglia nautiche dalla riva. (Foto: Francesco Alesi/Greenpeace)

 

La piattaforma estrattiva di gas metano Ivana D, situata nell’alto Adriatico, tra Italia e Croazia, lo scorso 5 dicembre è scomparsa dai sistemi di rilevamento. Pochi giorni dopo è stata ritrovata sul fondo del Mare Adriatico ( a poco più di 40 metri di profondità). Secondo le immagini satellitari raccolte dall’associazione Cova Contro, l’incidente potrebbe aver causato un ingente rilascio di idrocarburi. Le autorità locali, tuttavia, escludono i danni ambientali.  E nessuna traccia di inquinamento è stata rinvenuta dalla Guardia Costiera  che ha  sorvolato le acque territoriali croate nei pressi di Pola,  dove sono connesse sei piattaforme Ivana gestite da Ina ( Industrija Nafte),  la compagnia petrolifera di Stato della Croazia che da giugno 2018 ha acquistato da Eni il controllo totale dei giacimenti. Sebbene la piattaforma Ivana D sia stata costruita nel 2000, l’Ina ha dichiarato che non ci sono problemi di manutenzione:

«L’ispezione della porzione subacquea di Ivana D è stata effettuata nel 2018, in presenza di ispettore del Registro Navale Croato. Inoltre, la struttura è stata ispezionata per l’ultima volta da personale di Ina il 1 dicembre 2020, come annotato nel report giornaliero».

 

Industrija Nafte sostiene inoltre che sul relitto della “Ivana D” sono state rinvenute “crepe” nella struttura ma che le condotte del gas si siano solo piegate e non rotte. Tuttavia, SeaHelp – una compagnia di assicurazione nautica – consiglia ai natanti di evitare il sito dell’incidente e ricorda i rischi dei rilasci di metano, in particolare per il clima. Dal  report di Greenpeace “Volano Trivelle” emerge, però,  uno scenario diverso da quello fino ad ora rappresentato. La piattaforma Ivana D era ai limiti del previsto periodo di esercizio: 20 anni. Nel mar Adriatico sono presenti 115 strutture adibite all’estrazione di idrocarburi, soprattutto gas fossile. Molte hanno più di 50 anni e sono improduttive. “Vecchie spilorce” le ha definite l’associazione ambientalista. Non versano infatti royalties alle casse dello Stato da molti anni. E potrebbero non reggere a fenomeni meteomarini sempre più estremi che proprio la combustione di fonti fossili ha contribuito a generare, alterando il clima del nostro Pianeta. Si legge nel report:

«L’emergenza climatica in corso dovrebbe spingere le realtà maggiormente responsabili per il surriscaldamento globale a invertire la rotta e a cambiare, per evitare di peggiorare ulteriormente la gravità della situazione in atto. Eppure, ad esempio, molte delle big del settore dell’ oil&gas continuano a rinviare questa necessaria trasformazione, nascondendosi dietro spot ben costruiti, ma a base di puro greenwashing».

 

Greenpeace  ha poi spiegato che dopo anni di discussione il Ministero dello Sviluppo Economico aveva individuato 34 impianti da smantellare. Un elenco chiuso in un cassetto e pubblicato  successivamente insieme al Wwf e Legambiente.

«A febbraio scadono i termini della moratoria che ha congelato ogni nuova attività estrattiva e di ricerca negli ultimi due anni − ha detto Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia − chiediamo con forza una norma che blocchi per sempre ogni nuova attività estrattiva in acque italiane. Abbiamo bisogno di una rivoluzione energetica che renda questo Paese cento per cento rinnovabile, creando posti di lavoro e tutelando clima e ambiente. Si può fare, è il momento di agire»

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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