convoglio militare ucraino

La guerra è sempre “sporca”. E inquina persone e ambiente. I dati del rapporto Ceobs

Nei primi giorni dell’invasione dell’Ucraina, il Conflict and environment observatory (Ceobs) ha pubblicato un monitoraggio delle questioni ambientali emergenti nel paese, a seguito delle attività militari e degli scontri in corso. Un’altra conseguenza drammatica del conflitto

Non è la prima cosa cui siamo abituati a pensare, ma le guerre hanno conseguenze anche a livello ambientale che impattano sulla vita delle persone, in aggiunta alla violenza distruttiva degli scontri armati. Il Ceobs (Conflict and environment observatory), è una ong che lavora per ridurre il danno dei conflitti e delle attività militari su persone ed ecosistemi. Le analisi sono a cura del ricercatore Eoghan Darbyshire mentre Doug Weir è il Research & Policy Director.

Il Ceobs sta lavorando per documentare le conseguenze ambientali degli scontri in Ucraina. Nei primi giorni di guerra ha pubblicato una panoramica, naturalmente provvisoria, di alcune questioni ambientali emergenti nel paese.

Il report si basa su monitoraggi dei social media (con la consapevolezza che le informazioni rilevate possono essere non attendibili) e su fonti sicure ove presenti. In ogni caso, l’impatto reale « umanitario ed ecologico» delle questioni sarà «compreso adeguatamente solo dopo valutazioni sul campo».

Siti militari e nucleari

Una prima questione riguarda l’inquinamento da siti militari ed equipaggiamento bellico. Primi obiettivi degli attacchi russi sono stati infatti le infrastrutture militari ucraine, incluse alcune in prossimità di aree civili. Secondo il report, depositi di munizioni e carburante, campi di aviazione, servizi navali, veicoli sono andati a fuoco rilasciando fumi composti di gas tossici e metalli pesanti. Dove il fuoco è stato contrastato «l’inquinamento potrebbe comprendere residui delle schiume antincendio ». Tutto questo avrà potenzialmente un impatto sul suolo, sulle falde acquifere, sulle coste e sull’ambiente marino.

 

 

I combattimenti del 24 febbraio hanno interessato l’area della centrale nucleare di Chernobyl, che vede ancora in corso processi per smantellarla e renderla sicura. Se la routine dei processi fosse condizionata dal fatto che il personale della centrale è ostaggio dei Russi, crescerebbe il rischio di un incidente, suggerisce il Ceobs. Si era inoltre registrato nella zona un aumento della radioattività per ragioni non ancora chiare, forse «un pulviscolo tornato in sospensione a causa del movimento di veicoli tracciati», spiega l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. «Il rischio che il sito comporta è già diventato un mezzo di propaganda, con i media russi che riportano: “Gli esperti dicono che uno degli obiettivi di questa operazione delle truppe russe è di prevenire che i nazionalisti ucraini entrino nell’area della centrale per portare avanti provocazioni con materiali radioattivi”. Mentre il portavoce del parlamento ucraino ha allertato sulla possibilità che il sito sia usato dai Russi per per attribuire agli Ucraini un incidente.

Considerata la forza simbolica di Chernobyl, è probabile che resti un elemento chiave della “propaganda ambientale” della guerra».

Fonti e materiali radioattivi si trovano anche in ospedali, siti industriali e militari, e c’è la preoccupazione che i carri armati russi possano utilizzare munizioni di uranio impoverito, sostiene il report.

Acqua

La gestione delle acque del fiume Dnieper è un’altra questione chiave, sia dal punto di vista strategico che ambientale. «Dopo l’occupazione russa della Crimea nel 2014, l’Ucraina aveva bloccato il canale della Crimea del nord, usato per deviare l’acqua del Dnieper per irrigare le colture e rifornire le industrie chimiche – inclusa la Crimean Titan, il più grande produttore di diossido di titanio in Europa, teatro di un grave incidente ambientale nel 2018», che è stata evacuata prima dell’invasione per evitare che fosse usata per qualche attacco.

 

 

Nei giorni scorsi i Russi hanno preso il controllo del canale e «viene riferito che le pompe sono state aggiustate, la vegetazione in eccesso e l’argine ripulito e l’acqua tornerà presto a scorrere in Crimea», dove le autorità sono state sotto pressione per la scarsità d’acqua nella penisola. Secondo il monitoraggio del Ceobs, prima dell’invasione i servizi idrici nell’Ucraina dell’est erano stati danneggiati lasciando senz’acqua 90.000 persone, così come – a quanto si dice – un acquedotto nel Donbas il primo giorno dell’invasione.

Armi pesanti nelle aree urbane

L’uso diffuso di armi pesanti da parte dei Russi nelle aree urbane, missili inclusi, avrà conseguenze su popolazione, edifici e infrastrutture essenziali. Le esplosioni diffondono i materiali edili polverizzati che possono contenere «amianto, metalli, prodotti della combustione» e rottami, con un rischio per suolo e falde. Nei dintorni delle piccole industrie o delle stazioni di carburante il rischio di inquinamento naturalmente cresce. Secondo il report del Ceobs, ci sono «prove che i Russi abbiano anche utilizzato le (vietate) bombe a grappolo nelle aree urbane».

Industrie e miniere

In Ucraina molti sono gli impianti chimici e metallurgici e le miniere. «Negli ultimi 8 anni c’è stata una grande preoccupazione intorno al rischio di emergenze ambientali nel Donbas, intensamente industrializzato». Da entrambe le parti c’è la consapevolezza delle minacce ma «un’intensificazione del conflitto porta con sè un maggiore rischio di incidenti».

 

Black Sea Biosphere Reserve

 

Un disastro ambientale potrebbe essere già iniziato nel Donbas a causa dell’abbandono del pompaggio dell’acqua di falda dalle miniere di carbone della zona. Il rapporto del Ceobs cita ricerche uscite proprio il 24 febbraio che mostrano come il suolo si stia deformando a causa della crescita del livello delle acque delle falde. «Il drenaggio dalle miniere, inquinato con sali e metalli, sta già contaminando pozzi e sorgenti di acqua potabile. mentre l’abbassamento può danneggiare edifici e infrastrutture. Preoccupa in particolare la fuoriuscita dalla miniera di Yunkom, sito di test nucleari negli anni Settanta».

Aree naturali

Per quanto riguarda le aree naturali, il report ricorda che «più dura il conflitto, maggiore sarà l’impatto a livello paesaggistico.  Finora, le forze russe sono rimaste principalmente sulla rete stradale ed è lì che si sono svolti gli scontri. (…) I militari ucraini hanno deposto mine almeno lungo una spiaggia vicino Odesa per evitare un attacco anfibio. L’intenso bombardamento di siti come la famosa Snake Island nel Mar Nero, può aver lasciato segni permanenti su biodiversità e geodiversità. Il combattimento vicino a Kherson, per prendere il controllo del ponte sul Dnieper, ha avuto come conseguenza incendi nella Riserva della Biosfera del Mar Nero. Le fiamme erano visibili dallo spazio e potrebbero aver distrutto alberi unici e habitat di uccelli nella più grande riserva del paese.

Clima

«Sia le attività militari che gli impatti a breve e lungo termine degli scontri, avranno generato emissioni di gas serra. E anche la ricostruzione, quando sarà, porterà una ulteriore significativa crescita della produzione di carbonio». È inoltre probabile, secondo il Ceobs, che nella regione ci sarà un aumento delle spese e attività militari, con conseguenti maggiori emissioni.

Il report propone in chiusura anche alcune riflessioni sulle emissioni globali di gas serra post conflitto, dovute a modifiche nell’assetto dei consumi energetici. L’ipotesi proposta è che a livello globale, le impennate dei prezzi di petrolio e gas da un lato potrebbero ridurre i consumi, dall’altro potrebbero portare a sfruttare depositi di idrocarburi meno disponibili e meno economici, con un maggiore impatto ambientale. Inoltre, «Circa il 40% del gas dell’Unione Europea arriva dalla Russia ma sia le sanzioni che la cancellazione dell’oleodotto Nord Stream 2 produrranno dei cambiamenti. Sul lungo termine, una possibilità è incrementare le fonti rinnovabili. Se l’Ue avesse ridotto la propria dipendenza fossile sarebbe, al momento, in una posizione politica più forte riguardo alle sanzioni alla Russia».

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Francesca Santoro
Francesca Santoro
Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni mi sono occupata di comunicazione e formazione nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere a livello locale e globale su persone, risorse, territori, temi su cui ho anche progettato e condotto interventi nelle scuole. Dal 2016 creo contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.

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