Mascherine nel secchio

Secondo le stime di istituti e associazioni i rifiuti Covid in Italia nel 2020 saranno centinaia di migliaia tonnellate

Insieme alla pandemia, con tanto di mascherine, disinfettanti e guanti, nel nostro orizzonte sono sopraggiunti i cosiddetti “rifiuti Covid”, vale a dire quei materiali che si generano in casa, nei posti di lavoro e in ambito ospedaliero dove si trovino pazienti contagiati dal virus Sars-Cov-19. Nella casistica rientrano anche i Dpi, vale a dire i Dispositivi di Protezione Individuale utilizzati da noi tutti nelle circostanze previste dal decreto Cura Italia. L’Istituto Superiore di Sanità e l’Ispra hanno fornito indicazioni già durante la fase acuta circa i rifiuti provenienti da diversi contesti, con particolare attenzione verso le abitazioni con persone in quarantena, da cui si evince la complessità del problema.

La differenziata in ambito domestico, ad esempio, va sospesa nel caso di persone in quarantena e i Dpi si possono smaltire nel generico proteggendoli con più sacchetti «resistenti», come recita il testo, uno dentro l’altro.

Nei contesti professionali invece fazzoletti di carta, mascherine e guanti vanno comunque nel generico al fine di limitare la manipolazione dei rifiuti. In linea generale, secondo l’Iss, tutti i Dip utilizzati nei diversi settori, ad esclusione di quello sanitario, si devono conferire nell’indifferenziato in quanto presuppone che essi siano stati utilizzati da una popolazione “sana”. Ma alla luce di tutto questo sarà mai possibile gestire in maniera sostenibile la fase che ci aspetta?  Ne abbiamo parlato con Loredana Musmeci, chimico ambientale, già alla guida del Dipartimento ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità.

 

Loredana Musmeci
Il chimico ambientale Loredana Musmeci, già alla guida del Dipartimento ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità

 

Su quali basi scientifiche, in particolare riguardo la permanenza della carica virale, Iss e Ispra hanno emanato le proprie linee guida sulla gestione dei rifiuti Covid?
Entrambe hanno fatto riferimento a riviste internazionali referenziate, dalle quali si evince che il SARS-CoV-2 ha  tempi di sopravvivenza al di fuori del corpo umano che vanno da qualche ora a qualche giorno, in funzione delle condizioni meteo-climatiche e dei materiali in questione, vale a dire carta, plastica, metallo eccetera. Probabilmente la carica virale presente nei vari materiali che costituiscono i nostri rifiuti sarà molto bassa, dunque a basso rischio di trasmissione infettiva. Ma applicando il principio di prevenzione si è ritenuto necessario adottare misure cautelative che riguardano i rifiuti in epoca Covid e in particolare quei dispositivi che si utilizzano nel contenimento del contagio, ovviamente a maggior rischio.

È possibile pensare ad uno smaltimento sostenibile per questa tipologia di rifiuti?
Varie associazioni ambientaliste e istituzioni, in particolare l’Ispra, stanno avanzando delle stime sulla produzione di rifiuti in epoca Covid con un focus sulla produzione di mascherine e guanti, che sono quelli di maggior uso. I valori non sono univoci, tuttavia si parla di varie centinaia di migliaia tonnellate nel corso del 2020. È ovvio che una massa così ingente di rifiuti vada a incidere pesantemente sul nostro già precario sistema di smaltimento. Pertanto si comincia ad ipotizzare di istituire sistemi di raccolta ad hoc che possano intercettare questa frazione prima che sia conferita nel circuito di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, avviandola possibilmente a recupero di materia.

 

Mascherina e guanti, rifiuti difficili da trattare
Elementi come le mascherine chirurgiche cono composti da diversi materiali e questo rende difficile avviarli al recupero (Foto: leo2014 da Pixabay)

 

Esiste cioè la possibilità d’integrarli nel ciclo dell’economia circolare?
È possibile ma si pongono alcuni problemi tecnici. Tanto per cominciare i Dpi innanzitutto sono costituiti da materiali diversi come carta, diversi polimeri plastici e metalli. Purtroppo, ad esempio, le mascherine cosiddette “chirurgiche”, che rappresentano la gran parte dell’intera tipologia, sono costituite da un materiale cosiddetto “tessuto/non tessuto”, presenta cioè la trama di un tessuto ma in realtà si tratta di un polimero plastico contenente per di più un’anima di metallo da stringere intorno al naso. Pertanto per poterle avviare a recupero in modo efficace si dovrebbe modificare il sistema di produzione, non inserendo più l’anima di metallo e sostituendola, ad esempio, con un materiale polimerico rigido.

E per quanto riguarda il rischio infettivo? Quanto inciderebbe questo aspetto nel processo di rigenerazione?
Si dovrebbe prevedere che nella filiera del recupero mascherine o guanti passino attraverso un trattamento di sanificazione, disinfezione e sterilizzazione prima di essere manipolati. Sono procedimenti costosi e, pertanto, andrebbero centralizzati a livello comunale o regionale perché risultino  economicamente sostenibili. Bisogna inoltre aggiungere che noi tutti ci auguriamo che a breve non sia più necessario utilizzare i Dip, per di più gli studi relativi al virus sono in progress: è di questi giorni la dichiarazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che sconsiglia l’uso dei guanti. Il rischio, insomma, è di avviare una raccolta differenziata, con tanto di sanificazione, per avviare a recupero questa tipologia di rifiuti ma che poi l’intera filiera non sia più necessaria.

 

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Sotto il profilo normativo il paese sarebbe pronto?
In realtà per avviare a livello nazionale una filiera per l“end of waste” di questi materiali, per considerarli cioè non più rifiuto bensì un prodotto a tutti gli effetti, occorrerebbe una cornice normativa adeguata e i tempi, come sappiamo, specialmente nel nostro paese sono molto lunghi. L’importante però è evitare ad ogni costo che i Dpi siano immessi nell’ambiente in modo più o meno abusivo e pensare a possibilità di recupero il più possibile compatibili con l’ambiente. Valutando allo stesso tempo il rapporto fra costi e benefici per decidere su quali Dip è più conveniente concentrare la nostra attenzione, anche sotto il profilo autorizzativo, organizzando un programma di recupero sul lungo periodo.

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Roberta Sapio
Riminese, di formazione giuridica, ha collaborato con l’Università di Bologna e di Buenos Aires, si è occupata a lungo di editoria e comunicazione. Attualmente scrive per diverse testate giornalistiche,cartacee e on line. Si occupa di comunicazione e eventi in campo ambientale, culturale e artistico nel settore privato.

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