Cop 29 di Baku, un risultato deludente
Accordo sui finanziamenti molto al di sotto delle aspettative, lobby delle fonti fossili al lavoro, convergenza sul criticato mercato dei crediti di carbonio. Mentre Simon Stiell punta alla Cop30 in Brasile esortando a «raddoppiare i nostri sforzi sulla strada per Belém»
Una trattativa difficile quella della Cop 29 di Baku. Soltanto nelle prime ore di ieri è stato raggiunto, infatti, un accordo che sembra aver posticipato gli obiettivi di una reale lotta ai cambiamenti climatici alla prossima Cop 30 di Belém, in Brasile. Dalle negoziazioni è emerso uno scenario poco rassicurate per il futuro della nostra casa comune e in particolare per i Paesi più poveri. E questo perché i 300 miliardi di dollari all’anno (il cosiddetto New Collective Quantified Goal) destinati entro il 2035 alle zone del mondo fragili per sostenere la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici sono troppo pochi rispetto alla richiesta dei G77 (organizzazione intergovernativa delle Nazioni Unite, formata da 134 paesi del mondo, principalmente in via di sviluppo, ndr) di 1.300 miliardi per ridurre le emissioni. Una cifra che, sempre nel 2035, dovrebbe essere raggiunta con il contributo di tutti i Paesi, anche quelli in via di sviluppo, e tramite prestiti che coinvolgono Banche Multilaterali e soggetti del settore privato. Rischiando però di indebitare ulteriormente i Paesi che incidono di meno sulle emissioni.
Divisioni più marcate
Dall’altro canto, la Conferenza della Parti ha marcato la divisione tra Nord e Sud del mondo (hanno espresso un forte disappunto India, Cuba, Nigeria, Malawi) e l’ulteriore frammentazione e debolezza delle posizioni all’interno del blocco occidentale, dove l’elezione di Trump (il presidente degli Usa ha ribadito di voler uscire dall’Accordo di Parigi e ha rilanciato lo slogan Drill, baby, Drill!) e la guerra in Ucraina, oltre alla crisi in Medio Oriente, pesano come macigni sulle politiche ambientali e energetiche.
Nessuna transition away
Per Agnès Pannier-Runacher, ministro francese per la Transizione ecologica, «il testo è deludente e non all’altezza delle sfide, nonostante diversi progressi. La conferenza di Baku è stata caratterizzata da una reale disorganizzazione e da una mancanza di leadership da parte della presidenza azera». Nessun intervento concreto è arrivato, poi, da parte della Cina, che contribuirà senza vincoli, e quindi solo su base volontaria, al raggiungimento dei 300 miliardi di dollari. Nessun passo avanti è stato fatto rispetto anche alla Cop 28 di Dubai per quanto concerne la “transition away”. E se l’Unione europea aspirava ad ottenere un monitoraggio annuale circa i progressi sull’abbandono del petrolio e del gas, gli oltre 1.700 lobbisti dei combustibili fossili, supportati dall’Arabia Saudita, hanno bloccato le trattative. Ricordiamo che l’Azerbaijan è il nostro secondo fornitore di gas, e le sue principali esportazioni si basano per il 92% su gas e petrolio. Per il padrone di casa della Cop 29 Ilham Aliyev petrolio e gas sono addirittura «doni di Dio».
L’ambiguo mercato dei crediti di carbonio
Una novità si registra tuttavia sul fronte del carbon market, che consentirebbe di vendere crediti a quei Paesi in ritardo sugli obiettivi climatici, come già indicato in parte dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. L’articolo 6.4 approvato alla Cop 29 di Baku ha istituito un mercato globale del carbonio regolato da standard internazionali per garantire integrità, trasparenza e funzionamento equo del sistema. Mentre l’accordo sull’articolo 6.2, che riguarda lo scambio bi- e multilaterale di riduzioni delle emissioni e di rimozioni delle emissioni, prevede che il commercio avvenga tramite i crediti ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes). Ma non sono mancate le critiche. «Il meccanismo del mercato del carbonio concordato alla COP29 non è una soluzione finanziaria per il clima e fornirà solo un’ancora di salvezza all’industria inquinante dei combustibili fossili, consentendole di compensare le emissioni», ha dichiarato An Lambrechts di Greenpeace International.
L’allarme dell’Africa e l’esortazione di Stiell
Più in generale, secondo il Gruppo africano dei negoziati alla Cop29, l’accordo di 300 miliardi di dollari è troppo poco e troppo tardivo per il continente. «Siamo estremamente delusi dalla mancanza di progressi sulle questioni critiche per l’Africa», ha detto Ali Mohamed, presidente keniano del gruppo. «L’Africa ha lanciato e continuerà a lanciare l’allarme sull’inadeguatezza dei finanziamenti per il clima». Con uno sguardo già alla Cop30, Simon Stiell, segretario esecutivo delle Nazioni Unite, ha dichiarato in chiusura dei lavori: «Nessun paese ha ottenuto tutto ciò che voleva e lasciamo Baku con una montagna di lavoro da fare. Le molte altre questioni su cui dobbiamo lavorare potrebbero non essere titoli, ma sono salvagenti per miliardi di persone. Quindi non è il momento di cortei di vittoria, dobbiamo puntare a raddoppiare i nostri sforzi sulla strada per Belém. Anche così, abbiamo dimostrato che l’accordo di Parigi delle Nazioni Unite sta dando risultati, ma i governi devono ancora accelerare. Non dimentichiamo che, senza questa cooperazione globale convocata dall’ONU, saremmo diretti verso 5 gradi di riscaldamento globale».
Saperenetwork è...
- Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.
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