Teodora Fornari nella foto di Romolo Belvedere

Proseguono le nostre passeggiate a cielo aperto in una Roma primaverile inondata di mimose in fiore. Con l’arrivo dell’otto marzo, perché non approfittarne per andare alla ricerca di quei murales che raccontano storie al femminile? 

La miniera d’oro

Questo tour in tre tappe parte da Teodora Fornari, un’antenata nella provincia nord est di Roma, a Marcellina. L’opera è firmata Luis Gomez e appartiene al progetto La Miniera d’Oro voluto dall’architetto e fotografo Romolo Belvedere e finanziato dal Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili con la finalità di riqualificare l’edificio ex CIDI, un cementificio degli Anni 20, oggi trasformato in sito di archeologia industriale.  Il progetto mira a omaggiare le vite di quanti hanno lavorato nella miniera di Marcellina, e sicuramente merita un capitolo a sé.

In questo otto marzo, tra i volti di minatori, contadini e pastori che caratterizzano le “facce di pietra” di questo lavoro di land art ci soffermiamo su un viso: quello di Teodora.

 

Teodora Fornari dipinta da Luis Gomez sulla fornace di Marcellina

 

Nonna Teodora

Teodora è la nonna. La donna che conserva la memoria. Ha il potere di coniugare la materia fatta di sangue e piatti tradizionali a un’identità immateriale fatta di vissuti silenziosi e narrazioni orali.

E se Gabriel Garcia Márquez ha saputo caratterizzare e celebrare il personaggio della Mamà Grande, in questa ex miniera Luis Gomez celebra la Mamà Pequeña, la piccola donna del popolo che invecchia con il suo fazzoletto in testa.

Gli occhi sono una fessura tra le rughe e le rughe altro non sono che le pietre della fornace in cui la donna ha lavorato per una vita. Con la sua capacità di ascolto delle storie contenute nei muri Luis Gomez crea un continuum tra i segni nel volto della donna e il luogo di lavoro che questi segni ha prodotto.

Facce di pietra, il progetto

L’opera è la prima, potremmo dire l’antenata, del più grande progetto delle “facce di pietra” che ha visto i silos dell’ex miniera trasformarsi nei volti degli abitanti di Marcellina riproducendo su larga scala il reportage fotografico fatto nel 1980 da Romolo Belvedere. Anche il volto di Teodora Fornari è tratto da una foto di questo reportage in cui la donna, con le mani incrociate sul davanzale della finestra, guarda in camera. Sulla grande fornace il volto di Teodora appare senza il contorno della finestra, le mani incrociate non lavorano più.

 

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Un bacio libero

Chissà cosa direbbe oggi nonna Teodora nel proseguire il nostro tour, entrare nel raccordo e ritrovarci alla fermata Jonio della metropolitana linea B? Qui è da poco apparso il lavoro di Arcadio Krayon Pinto.

È un bacio, senza mascherina, e anche senza maschera. Si tratta di un incontro tra due donne. Un bacio lesbico che ha la naturalezza di un qualsiasi bacio quotidiano e sa raccontare un femminile profondamente diverso da quello di Teodora.

La due donne non guardano l’osservatore, ma sono rivolte una verso l’altra in un atteggiamento di legittima cura verso sé stesse probabilmente estraneo alla nonna di Marcellina. L’opera, commissionata dal Gay Help Line, è stata inaugurata il 1 marzo 2021 dal III Municipio di Roma. Più evidente del nome dell’artista appare sulla destra del lavoro il numero della linea telefonica contro l’omofobia e la transfobia.

 

Il murale per Gay Help Line di Krayon, fermata Jonio della metro B

Pixel sul muro

Il lavoro è in pixel art, una tecnica capace di raccordarci al nostro contemporaneo digitale con la quale Krayon si è distinto più volte. Lo potremmo quasi definire un George Seurat dei nostri tempi, capace di prendere i puntini colorati delle pennellate che hanno caratterizzato il Puntinismo francese e trasformarli in quadratini. Ma potremo anche ricollegare questa tecnica a quella del Ben Day Dot utilizzata da Roy Lichtenstein, uno dei più importanti nomi della pop art americana. L’immagine si forma come sullo schermo di un computer attraverso una fitta serie di pixel. Una griglia schematica nella forma, una rottura degli schemi nei soggetti.

È infatti la prima volta in assoluto in Italia che un’amministrazione pubblica autorizza un murale con un bacio tra donne. E allora perché non celebrarlo in questo otto marzo, visto che di baci tra uomini ne abbiamo già visti molti?!

Quel Pollicino di Roy Lichtenstein

Seguendo i quadratini della pixel art di Krayon, come se fossero briciole di un distratto Pollicino, possiamo spostarci dal quadrante nord est della Capitale verso il quartiere del Trullo. Qui, in via di Massa Marittima, troviamo un’altra opera che a detta di molti risente anch’essa dell’influenza di Lichtenstein. È una donna in lacrime, in perfetto stile pop, senza puntini o pixel, ma con dense pennellate cariche di colore. 

 

Growing girl di Roy Lichtenstein, artista statunitense e celebre esponente della Pop Art

 

Nina a Roma

È Nina che piange, un lavoro di Flavio Solo. Una donna sicuramente diversa dalle due amanti di piazzale Jonio. Una Nina. E a Roma tutte le donne sono un po’ Nina.

Nina è la donna che dorme mentre vibrano le corde di una chitarra sotto al suo balcone, la donna di un tempo che si affacciava alla loggetta, proprio come nonna Teodora a Marcellina.

È la portatrice di una romanità scippata da “sta musica americana”, la donna cantata nei più celebri stornelli della canzone popolare romana, la donna che, a ben vedere piace tanto agli uomini, forse perché più che essere qualcuna è un simbolo di femminile al quale aggrapparsi per poter sognare.  Un po’ madre e un po’ amante, determinata e misteriosa, diversa dalle due donne del bacio di Krayon che certo non piangono per la mancanza di un uomo!

 

Nina che piange, di Flavio Carbonaro in arte “Solo” a via Massa Marittima, Trullo

 

La ragazza che affoga resta a galla

Eppure seguendo la suggestione del Lichtenstein e le sue donne in lacrime non possiamo non ricordare Drowning Girl (la Ragazza che Affoga) e la sua frase iconica «I don’t care! ’Id rather sink than call Brad for help!» (Non mi importa, preferisco affogare che chiamare Brad in aiuto). La protagonista dell’opera oltreoceano è in lacrime come la Nina di Solo eppure sceglie di non chiedere aiuto a Brad, nome maschile che spesso torna nelle opere di Lichtenstein. In un rimpallo di suggestioni tra pennellate e note che raccontano un’epoca, la Ragazza che Affoga sembra raccogliere il tono di un’altra protagonista della canzone romana: la donna cantata da Alvaro Amici in Ammazzate Ao, quella che, una volta presa una decisione, «Nun la smove na cannonata». Forse a volte c’è un pianto dietro queste decisioni, sicuramente all’immaginario maschile può far bene supporlo, altre volte magari c’è addirittura una risata, le motivazioni contano poco. Ciò che vale, e in questo otto marzo possiamo sottolinearlo, è la capacità maschile di fare un passo indietro davanti a un «Hai detto basta e te ne sei andata» e riconoscere, magari bofonchiando, che «Sei stata brava, ammazzate ao!». 

 

Guarda il video di “Ammazzete oh” di Alvaro Amici

Saperenetwork è...

Dafne Crocella
Dafne Crocella
Dafne Crocella è antropologa e curatrice di mostre d’arte contemporanea. Dal 2010 è rappresentante italiana del Movimento Internazionale di Slow Art con cui ha guidato percorsi di mindfulness in musei e gallerie, carceri e scuole collaborando in diversi progetti. Insegnante di yoga kundalini ha incentrato il suo lavoro sulle relazioni tra creatività e fisicità, arte e yoga.
Da sempre attiva su tematiche ambientali e diritti umani, convinta che il rispetto del proprio essere e del Pianeta passi anche dalla conoscenza, ha sviluppato il progetto di Critica d’Arte Popolare, come stimolo e strumento per una riflessione attiva e consapevole tra essere umano, contemporaneità e territorio. È ideatrice e curatrice di ArtPlatform.it, piattaforma d’incontro tra creativi randagi.

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