Immagine del coronavirus

Genetica ed epidemie, il ruolo della diversità nella resistenza alle infezioni

Virus, batteri ed altri patogeni, tanto piccoli quanto pericolosi. Per tutti gli organismi la variabilità genetica è una potente arma naturale dall’efficacia dimostrata, e mentre l’umanità è alle prese con un nuovo nemico comune, il ruolo chiave della genetica appare evidente 

«Se in America le coltivazioni di mais sono frequentemente soggette ad infestazioni è perché la tecnologia le ha volute tutte uguali, come gemelli identici: se si ammala una pianta si ammalano tutte». È quanto si legge in una ricerca della National Academy of Sciences del 1972, in un periodo in cui i primi effetti collaterali della Rivoluzione Verde iniziavano a fare capolino. Industrializzazione agricola e selezione genetica delle colture, in poche decadi portarono brillantemente la produttività alle stelle, ma ad un prezzo: la perdita di variabilità delle colture.

 

Foto campo di mais
Un agrosistema uniformato da un punto di vista genetico è frequentemente soggetto ad infestazioni, determinando un calo della produttività

 

Disomogeneità e maggiore resistenza in piante ed animali

Se nel caso delle piante è appurato che un’elevata diversità genetica va a braccetto con una maggiore resistenza ai patogeni, in quello delle popolazioni animali la situazione è solo più complessa. Tra variabilità e minor suscettibilità alle infezioni un legame c’è e le evidenze si sono accumulate negli anni: dalle popolazioni di ghepardo decimate da un virus della – purtroppo – attuale famiglia dei coronavirus, al furetto dai piedi neri messo in ginocchio da un noto morbillivirus, passando per quanto osservato nella nostrana Rana di Lataste e il leone marino californiano. Tutte queste popolazioni sono accomunate da una letale caratteristica: contando pochi individui risultano pericolosamente omogenee sotto l’aspetto genetico.

 

Leone marino californiano
L’otaria della California (Zalophus californianus) è un leone marino che vive lungo le coste del Pacifico del Nord

 

Il perché la diversità sia nemica delle infezioni è piuttosto deduttivo: se le varianti geniche sono tante è infatti più probabile che ci siano una o più combinazioni resistenti al patogeno, scongiurando così l’estinzione delle piccole popolazioni. Al contrario, se una popolazione è piccola e isolata gli incroci tra “simili” sono elevati, il flusso genico minimo e la poca variabilità che si genera non è sufficiente a conferire quella che gli studiosi hanno definito capacità al costruttivismo, la capacità degli organismi di adattarsi ai cambiamenti imprevedibili delle condizioni ambientali. 

I pipistrelli, portatori di coronavirus ma immuni ai pericoli

E se per buona parte delle specie, virus e batteri rappresentano una seria minaccia, c’è chi ci convive da milioni di anni. I pipistrelli sembrano avere una risposta immunitaria innata molto efficiente nel contrastare le infezioni: nei simpatici mammiferi volanti sono stati infatti identificati oltre duecento coronavirus e nessuno di questi sembra essere un problema per loro.

«I pipistrelli sono considerati i principali serbatoi dei coronavirus – scrive l’Istituto Superiore di Sanità – ne mantengono la circolazione nell’ambiente e ne aumentano la variabilità genetica. I coronavirus nei pipistrelli non sembra causino infezioni gravi, probabilmente grazie ad un adattamento evolutivo avvenuto in milioni di anni di interazione».

Il ruolo condizionante della genetica

Senza ombra di dubbio, questo è uno degli aspetti alla base della trasmissione all’uomo del SARS-CoV2, il virus con cui l’umanità sta facendo i conti da ormai cinque mesi. Ma nel nostro caso, qual è il ruolo della genetica? «La geneticascriveva nel 2011 l’immunologo Fabio Cardinale – occupa un ruolo di primo piano nel condizionare il decorso di molte malattie infettive e la probabilità stessa di sviluppare la malattia». Niente di più vero, e anche se non sono sotto i nostri occhi, queste dinamiche stanno regolando gli sviluppi della pandemia di Covid-19.

 

L'immunologo Fabio Cardinale
L’immunologo Fabio Cardinale

 

Il caso di Ferrara

In quest’ottica, interessante è il caso di Ferrara: una parte della provincia emiliana sembra resistere al contagio più di qualunque altra provincia del Nord Italia. I casi registrati infatti hanno numeri bassi in modo tanto anomalo da destare l’interesse della comunità scientifica. «O la talassemia o il tema della malaria credo abbiano avuto una parte nel mantenere quelle zone quasi intatte rispetto a un attacco così forte e feroce come quello del virus che abbiamo in queste settimane», ha detto nel bollettino quotidiano Sergio Venturi, Commissario della Regione Emilia Romagna ed ex assessore alla sanità. 

Tra le prime ipotesi, quella del legame con la tubercolosi per cui – secondo Marco Contoli, pneumologo e docente dell’UNIFE – avrebbe innescato una “risposta genica” tale da conferire una sorta di immunità acquisita nella popolazione residente nei dintorni di Ferrara.

Differenze di genere

Ancora, in tutto il mondo, anche le differenze genetiche tra uomini e donne entrano in gioco nella lotta al coronavirus. Secondo un rapporto stilato dalla Charity Global Health 50/50, è emerso che vengono ospedalizzati e muoiono di più gli individui di sesso maschile. Alla base della presunta maggiore resistenza delle donne alla COVID-19 potrebbe risiedere una diversa espressione del gene che codifica per l’enzima angiotensina 2, la protezione offerta dagli estrogeni o, in generale, un sistema immunitario più attivo. Ipotesi da confermare ma che in ogni caso risaltano l’importanza delle diversità genetiche.

 

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La diversità alleata della sopravvivenza

Potendoci avvalere di chiare evidenze indirette, dimostrare empiricamente che nell’uomo la variabilità genetica abbia un ruolo nel conferire resistenza alle infezioni sarebbe però una sfida piuttosto complessa.

Quel che è certo è che la diversità genetica è alleata della sopravvivenza delle specie e che un basso grado di variabilità rende gli organismi suscettibili a molte patologie, tra cui le infezioni: “diverso” è resistente, e questo probabilmente vale per tutte le forme di vita.

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Simone Valeri
Simone Valeri
Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna

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