Un cane randagio

Una recente ricerca scientifica pubblicata da Science Advances dimostra che i cani di Chernobyl hanno un genoma modificato a causa delle radiazioni

I cani di Chernobyl, diversi dopo il disastro

Un nuovo studio dimostra che, dopo quasi quarant’anni di isolamento, i quadrupedi della zona colpita dalle radiazioni della centrale nucleare hanno un genoma modificato. La scoperta potrebbe aiutare i ricercatori a identificare i cambiamenti correlati alle radiazioni

I cani randagi di Chernobyl hanno un DNA tutto loro. Sono geneticamente diversi sia dai cani di razza, sia dai meticci che vivono in aree non radioattive. La scoperta è il risultato di una ricerca scientifica pubblicata da Science Advances, il giornale dell’American Association for the Advancement of Science, all’inizio del mese di marzo. Secondo gli scienziati, è ancora troppo presto per dire se o come l’ambiente radioattivo abbia contribuito ai profili genetici unici dei cani di Chernobyl. Lo studio, però, è il primo passo di uno sforzo volto a capire come l’esposizione a lungo termine alle radiazioni abbia colpito i cani, ma anche quello che “serve” per sopravvivere a una catastrofe ambientale. «Non credo che qualcuno abbia mai esaminato geneticamente una popolazione unica di cani randagi in maniera così dettagliata prima d’ora» ha detto al New York Times che ha ripreso la storia, Adam Boyko, genetista canino presso il Cornell University College of Veterinary Medicine, commentando la ricerca. Il lavoro, che non ha visto il suo coinvolgimento, secondo Boyko sarà anche un buon punto di partenza per ulteriori ricerche sugli effetti delle radiazioni.

 

I sopravvissuti di Pripyat

Ma cominciamo dall’inizio. Nel 1986, dopo il disastro della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, i residenti furono costretti a evacuare l’area in modo permanente, abbandonando oltre alle loro abitazioni, a volte anche gli animali domestici. Le autorità preoccupate che questi animali abbandonati potessero diffondere malattie o contaminare gli esseri umani cercarono di sterminarli. Nonostante tutto, in qualche modo, una popolazione di cani è però sopravvissuta. Alcuni esemplari avevano fatto amicizia con le squadre di operai che lavoravano alla pulizia dell’area di Chernobyl e i lavoratori della centrale nucleare rimasti in zona qualche volta davano loro da mangiare. In anni più recenti, sono stati anche i turisti più avventurosi a distribuire un po’ di cibo ai cani. Oggi, nella zona d’esclusione, l’area intorno al sito del disastro, vivono centinaia di randagi, che vagano attraverso la città abbandonata di Pripyat e dormono nella stazione ferroviaria di Semikhody altamente contaminata. E gli scienziati hanno fatto la prima analisi approfondita del loro DNA.

Indagine genetica

Si tratta ora di capire – come s’interroga Elaine Ostrander, esperta di genoma dei cani pressi il National Human Genome Research Institute e coautrice dello studio – se i cani presentano mutazioni acquisite per consentire loro di vivere e riprodursi con successo in questa regione. «Quali sfide devono affrontare e come vi hanno fatto fronte dal punto di vista genetico?». Prima di porsi queste domande, i ricercatori hanno dovuto disegnare il panorama canino dell’area, «una regione dove ci sono livelli di radioattività diversi e dove i cani vivono dappertutto» dice la dottoressa Ostrander. «Abbiamo dovuto capire chi era chi prima di poter cominciare la nostra ricerca vera e propria sulle mutazioni genetiche critiche». Il progetto è una collaborazione tra scienziati americani, ucraini e polacchi, insieme anche al Clean Futures Fund, un’associazione no profit statunitense che opera a Chernobyl, fondata nel 2016 per fornire cure mediche e supporto ai dipendenti della centrale che ancora lavorano nella zona d’esclusione.

 

Gruppi canini e diverso Dna

L’organizzazione si era accorta molto presto che anche i residenti canini di Chernobyl avevano bisogno d’aiuto. La popolazione di cani cresceva d’estate e spesso diminuiva drasticamente d’inverno con lo scarseggiare del cibo. La rabbia era un’altra preoccupazione costante. Per questo, nel 2017 il Clean Futures Fund ha cominciato ad aprire ambulatori veterinari per i cani locali, dove sono stati curati, vaccinati e sterilizzati. I ricercatori hanno sfruttato l’attività di questi ambulatori per raccogliere campioni di sangue da 302 cani che vivevano in luoghi diversi, dentro e intorno alla zona d’esclusione. Circa la metà viveva nelle immediate vicinanze della centrale nucleare, mentre l’altra metà viveva a Chernobyl City, una zona residenziale a bassa densità abitativa a circa 15 chilometri dalla centrale. Un numero esiguo di campioni proveniva anche da Slavutych, una città costruita per i lavoratori della centrale evacuati, a circa 50 chilometri di distanza. Nonostante qualche sovrapposizione tra le popolazioni canine, in generale i ricercatori hanno trovato che i cani della centrale nucleare erano geneticamente diversi da quelli di Chernobyl City. Sembrava che ci fosse stato poco scambio genetico tra i due gruppi, portando a credere che raramente si fossero accoppiati tra gruppi. Anche le barriere fisiche di sicurezza intorno alla centrale, secondo i ricercatori, potevano aver contribuito a tenere separati i cani separati. «Sono rimasto esterrefatto dalla diversità quasi totale tra le due popolazioni, dal fatto che siano davvero vissute in relativo isolamento per un lungo periodo di tempo» ha confessato al New York Times Timothy Musseau, biologo dell’University of South Carolina e coautore dello studio.

Radiazioni e cambiamenti nel genoma

I ricercatori hanno anche tracciato le relazioni di parentela tra gli esemplari, identificando 15 diversi gruppi familiari. Alcune delle famiglie di cani erano numerose e diffuse sul territorio, mentre altre erano piccole e ben localizzate. Tre gruppi familiari convivevano in un magazzino di scorie radioattive. I cani della centrale nucleare e i cani di Chernobyl City sono di razza mista ma entrambi condividono sequenze di DNA con i pastori tedeschi, come pure di altre razze di cani da pastore dell’Europa orientale. I cani di Chernobyl City hanno anche varianti che sono comuni nei boxer e nei rottweiler. Questi segmenti di DNA di cane pastore potrebbero, secondo gli scienziati, fornire dati particolarmente utili per studi futuri. Comparare le sequenze di DNA dei cani della centrale e di quelli di Chernobyl City con quelle di cani pastori di razza pura che vivono in ambienti non radioattivi potrebbe aiutare i ricercatori a identificare i cambiamenti del genoma correlati alle radiazioni. Un’opportunità davvero unica per la genetica.

 

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Alice Scialoja
Alice Scialoja
Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.

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