Monitorare la pandemia, oltre l’indice Rt. A colloquio con il professor Luca Lista

Ci sono metodi alternativi per calcolare l’indice Rt ed altri parametri per monitorare l’andamento della pandemia. Il progetto CovidStat, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, fornisce un’analisi statistica tenendo conto anche degli asintomatici. Un altro studio, poi, mette a confronto l’indice Rt con il tasso di crescita

Per essere nel XXI secolo, tenere sotto controllo una pandemia si è rivelata una sfida inaspettata. Eppure, tra numeri, mascherine, tamponi e vaccini, eccoci qua. Monitorarne il decorso ha richiesto lo sforzo e la cooperazione di Enti ed Istituzioni di vario genere.

Ed è anche grazie ad analisi puntuali ed approfonditi studi scientifici che, in una certa misura, il peggio è stato evitato.

Tra tutti, degno di nota è il lavoro portato avanti dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn). Con il progetto CovidStat, l’obiettivo è quello di fornire un’analisi statistica dei dati forniti quotidianamente dalla Protezione Civile sulla diffusione della pandemia in Italia. Il sito del progetto, in un’ottica di condivisione e collaborazione tra le parti, è pubblico e connesso al deposito dei prodotti scientifici dell’Infn in modalità Open Science. Luca Lista, Direttore della Sezione di Napoli dell’Infn, e Professore di Fisica Sperimentale all’Università Federico II, ci ha raccontato la loro scuola di pensiero. 

 

 

L’indice Rt calcolato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) non tiene conto degli asintomatici. Voi dell’INFN avete invece sviluppato un metodo differente, in cosa consiste?

Giusto, l’Iss calcola l’indice Rt sui soli casi sintomatici. Noi, che abbiamo accesso solo ai dati pubblici della Protezione Civile dove il numero di casi sintomatici non è disponibile, calcoliamo l’indice attraverso un nostro algoritmo. A tal proposito, abbiamo condotto due lavori che sono in fase di pubblicazione. Con uno abbiamo spiegato come funziona il nostro algoritmo che, comunque, è basato su calcoli già presenti in letteratura. In un altro, dove abbiamo confrontato il nostro metodo di calcolo con quello dell’Iss, dimostriamo la compatibilità dei due metodi. C’è sì un piccolo scostamento temporale ma, entro un buon livello di approssimazione, i due calcoli sono confrontabili.

Il vantaggio di un approccio che utilizza i dati pubblici, è che i dati sono disponibili in tempo reale e possiamo quindi fornire il calcolo ogni sera dopo le 1700. L’Iss, che invece utilizza dei dati maggiormente filtrati e controllati, paga un ritardo che è dovuto a questa scelta.

Alla luce della consistenza del risultato finale con quello ottenuto da noi, aspettare più giorni forse non  vale la pena, ma questa è una considerazione che noi facciamo a posteriori. Sicuramente l’Iss ha altri motivi per giustificare l’utilizzo di questi dati. 

Da cosa potrebbe dipendere questa scelta dell’Iss?
Potrebbe dipendere dal voler avere una confidenza maggiore sulla qualità dei dati. Effettivamente, i dati che arrivano alla Protezione Civile potrebbero subire dei ritardi, per cui il numero di casi positivi riportati in corrispondenza di un certo giorno potrebbe in realtà riportare casi di persone infettate durante alcuni giorni precedenti. Tuttavia, questi ritardi, in media, sono pressoché fissi. Sono leggermente cambiati tra la prima e la seconda ondata, ma alla fine non c’è una sostanziale differenza se non questo scostamento temporale. 

In generale, ritiene che l’indice Rt sia lo strumento migliore di cui disponiamo per valutare l’andamento della pandemia?
Noi abbiamo da poco pubblicato uno studio che mette in relazione questo indice con il tasso di crescita dei casi. Si può valutare, in vari modi, questo tasso di crescita, cioè di quanto aumenta il numero di nuovi positivi, misurato come incremento percentuale giornaliero. Se si guarda la variazione in un giorno rispetto al precedente, si ottengono numeri che fluttuano molto. Ma se si determina il tasso di crescita, ad esempio, in un intervallo di 14 giorni, la stima è abbastanza stabile e risente molto poco delle fluttuazioni del week end, quando si effettuano generalmente meno tamponi.

Il tasso di crescita è quindi una stima abbastanza precisa dell’andamento del contagio. In particolare, Rt si può determinare direttamente a partire dal tasso di crescita con una semplice formula. E, in modo naturale, un tasso di crescita positivo corrisponde ad Rt>1, un tasso di crescita negativo ad Rt<1, mentre un andamento costante corrisponde ad Rt=1.

Se però vogliamo passare dal tasso di crescita all’indice Rt, dobbiamo introdurre una serie di incertezze ulteriori, dovute alla stima del tempo che impiega la malattia a trasmettersi da una persona all’altra. Questo tempo è stato valutato dall’Iss in 6-7 giorni, con un’incertezza ampia, di circa un paio di giorni. E questa incertezza si propaga alla stima di Rt. Non è nemmeno ovvio che le nuove varianti abbiano tutte lo stesso tempo di trasmissione medio.

Quindi, alla luce di queste incertezze, perché Rt viene utilizzato in via preferenziale?
Perché, comunque, resta un parametro molto importante soprattutto per valutare l’epidemiologia dell’infezione.

Dice, in sostanza, un malato quante altre persone potrebbe contagiare. Ma se si vuole utilizzare questo indice per capire di quanto crescerà la curva dei nuovi infetti, delle terapie intensive, degli ospedalizzati, eccetera, non è necessariamente la scelta più efficace.

Noi, sul nostro sito, guardiamo i dati, misuriamo i tassi di crescita di diversi indicatori, e in base a questi abbiamo un’idea del livello di crescita o di calo dell’infezione. Se si osserva che i positivi crescono ad un tasso di diversi punti percentuali al giorno (al picco della seconda ondata si è arrivati ad una crescita del 10% al giorno), la situazione è preoccupante. Quando invece il tasso di crescita è negativo, situazione che corrisponde necessariamente ad Rt<1, significa che stiamo sulla strada giusta. 

Il tasso di crescita potrebbe quindi sostituire l’indice Rt?
Rt dà informazioni diverse rispetto al tasso di crescita, e sicuramente è utile per comprendere aspetti epidemiologici. Potremmo, però, senza dubbio utilizzare il tasso di crescita come indicatore per comprendere in maniera più diretta l’evoluzione della pandemia rispetto ad Rt. Inoltre, nel caso della determinazione dei colori delle regioni, riteniamo che, se il tasso di crescita sostituisse Rt, si avrebbe forse anche una valutazione più precisa.

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In conclusione, mi è parso di capire che l’Rt dia buone informazioni su quando sia necessario adottare misure più stringenti ma non su quando sia il caso di allentarle. È corretto?
Il problema di determinare i colori delle regioni, e quindi dove e quando adottare l’una o l’altra restrizione, è che quando si osserva una crescita, è chiaramente necessario intervenire per frenare i contagi. Ma quando si ha una decrescita le scelte su quanto allentare le misure restrittive dovrebbero dipendere da un obiettivo ben preciso.

In Italia, la strategia che stiamo seguendo di fatto ci sta facendo accettare di avere circa 400-500 decessi al giorno che, francamente, mi sembra un costo molto alto da tollerare. Se invece fossimo in grado di mantenere le restrizioni più severe per un tempo più lungo, potremmo arrivare a numeri talmente bassi per cui ogni contagio potrebbe essere tracciabile.

La crescita del contagio è un fenomeno esponenziale. Se scendessimo, ad esempio con un lockdown mirato, a 50 decessi al giorno, le stesse misure di prevenzione che seguiamo ora ci porterebbero a degli incrementi o decrementi, magari uguali in percentuale, ma su un valore di base 10 volte più piccolo. A parità di sacrifici potemmo quindi attestarci su valori molto più bassi di decessi. Dovremmo però accettare che anche pochi casi sono una motivazione valida per un lockdown stretto. Come nel caso della Nuova Zelanda o dell’Australia. Qui è stato possibile ripartire grazie ad un efficace sistema di tracciamento, reso a sua volta possibile da un basso numero di nuovi casi giornalieri. In quei paesi, anche con pochissimi casi, tracciano gran parte dei contatti, effettuano ferree chiusure, ma solo a livello locale, e poi, quando tornano a zero casi, ripartono da una condizione molto vicina alla normalità pre-pandemia.

Quest’estate abbiamo raggiunto un livello di contagi molto basso anche in Italia, ma poi non abbiamo mantenuto restrizioni sufficientemente rigorose. La valutazione costi-benefici e la scelta della strategia da prendere andrebbe fatta su una prospettiva di lungo termine, e dovrebbe anche tenere in conto il ritmo a cui procederà la campagna vaccinale.

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Simone Valeri
Simone Valeri
Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna

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