Piante alla riscossa, stiamo finalmente imparando a vederle?

Boom editoriale di libri e autori sulla botanica, aumento delle visite (Covid permettendo) ai giardini, e trend biofilo di quarantenni, trentenni e ventenni. Sta finalmente finendo la nostra “cecità alle piante”? Se persino la Lego ha da poco presentato due giochi con protagonisti “vegetali”, forse siamo finalmente sulla strada giusta…

All’inizio del 2021, il marchio inventore dei famosi mattoncini per costruzione, ha lanciato due giochi per adulti. Sono stati infatti presentati due kit Lego, della serie Botanical Collection, dedicati alle piante: uno, di 878 pezzi, permette di ricostruire il bonsai di un albero di ciliegio che può essere ricoperto di fiori rosa o di foglie a seconda della stagione, e un secondo di 756 pezzi per costruire un colorato bouquet floreale. Se da una parte può sembrare bizzarro scegliere di avere in casa un mazzo di fiori finti invece che delle piante viventi, dall’altra è evidente che anche l’azienda danese si è accorta di una nuova tendenza: la riscoperta delle piante.

 

 

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Plant blindness, che cos’è?

Per lunghissimo tempo si è infatti parlato di cecità alle piante, cioè dell’incuranza rispetto al verde intorno a noi, considerato spesso il fondale della scena, per dare importanza solo alle specie vegetali che potevano portare un vantaggio come alimenti, materiali di costruzione o per soddisfare esigenze estetiche. Plant blindness è un’espressione coniata nel 1998 da due botanici statunitensi, Elizabeth Schussler, del Ruth Patrick Science Educator Center di Aiken, nella Carolina del Sud, e James Wandersee, della Louisiana State University di Baton Rouge ed è stata definita come una inclinazione cognitiva che ci spinge a non focalizzare l’attenzione visiva sulle specie vegetali. Probabilmente l’inclinazione deriva dalla tendenza ancestrale a badare a ciò che può essere un pericolo in movimento, un animale che potrebbe attaccarci, che non a individui sessili e, sostanzialmente inoffensivi. Alla distorsione della nostra capacità visiva, si è sovrapposto il fattore culturale, che ha privilegiato l’attenzione nei confronti del mondo animale rispetto a quello vegetale nell’apprendimento, ma anche nella cultura popolare. Gli animali sono usati come mascotte delle squadre sportive, basti pensare a nostrani tori, zebre, lupi o aquile. Antropomorfizzati in favole e fumetti, diventano anche metafora dei caratteri umani: astuti come volpi, scorbutici come orsi, delicati come uccellini. Siamo infatti stati fin da piccoli più abituati a imparare il nome degli animali e riconoscerne le differenze interspecie che a distinguere le diverse specie botaniche, che pur in grande quantità si presentano sotto i nostri occhi.

L’estinzione di massa riguarda anche (e soprattutto) le piante

Probabilmente molti di noi sanno che il tilacino e il dodo sono animali estinti e ne potrebbero nominare almeno altri dieci in via d’estinzione, ma in pochi saprebbero citare una pianta che non esiste più. Eppure, perdiamo più velocemente le specie vegetali che animali.  Da uno studio dell’Università di Stoccolma e dei Royal Botanic Gardens Kew di Londra si è evidenziato come negli ultimi 250 anni siano andate perse 571 specie vegetali, contro, le 217 di uccelli, mammiferi e anfibi insieme.  I ricercatori hanno infatti esaminato le piante effettivamente estinte, non solo quelle stimate, arrivando a identificare il numero a tre cifre. Hanno anche valutato che le aree tropicali e le isole sono state quelle più coinvolte nelle estinzioni, e che molto si deve all’attività umana. La deforestazione e l’impianto di monocolture e colture intensive hanno infatti pesato sull’estinzione. Alcune specie poi sono state definite come dei “morti viventi”, esistono infatti degli esemplari sopravvissuti che non saranno in grado di dare progenie perché non potranno essere fecondati o perché si sono estinti gli animali che servivano a diffonderne i semi. In pratica, abbiamo perduto, dalla metà del ‘700 ad oggi, due specie vegetali ogni anno, e questa potrebbe essere una cifra sottostimata visto che il ritmo di perdita è di 500 volte più elevato rispetto a quello che ci si aspetterebbe. Anche l’ultimo rapporto IPBES, ripreso con enfasi dagli organi di stampa come l’annuncio della sesta estinzione di massa, ha avuto più risonanza per il numero di specie animali in pericolo che vegetali, ma in realtà si stima che siano 60.000 le  specie di piante per le quali temere.

 

L’agricoltura intensiva, insieme alla deforestazione, ha influito tantissimo sull’estinzione di alcune specie di piante

 

Qualcosa sta cambiando…Precarietà e nuova biofilia

Ci allarmiamo infatti quando le piante perdute possono avere un forte impatto sulla nostra alimentazione, senza considerare che sono circa 28.000 le specie vegetali fonti di principi attivi usati in medicina, che le piante sono fondamentali per mantenere gli habitat animali e per garantire la stabilità dei territori dal dissesto idrogeologico.  Senza contare la loro funzione fondamentale nel ciclo del carbonio. Ma il nuovo giocattolo Lego, interamente in plastica vegetale da canna da zucchero, è l’indice di un segno dei nostri tempi che passa anche attraverso i social media. È infatti da alcuni anni in atto un cambiamento, soprattutto fra i Millennials e i giovani della Generazione Z, che hanno riscoperto la passione per le piante, in particolare per la cura delle piante d’appartamento. Figlia in parte anche dello stile hipster, la tendenza a riscoprire e appassionarsi alle piante e a riconnettersi all’ambiente è soprattutto legata alla instabilità economica di individui che coprono un ampissimo range di età, dai neoquarantenni ai giovanissimi. L’impossibilità spesso di avere un proprio posto, la necessità di cambiare spesso appartamento e la scelta, consapevole o forzata, di non avere figli li ha spinti a questa forma di cura, che ha molto a che fare con la biofilia, che non richiede impegni che non sono in grado di sostenere.

Nuovi sguardi sul mondo vegetale

Poter spostare la propria “giungla da interno” a ogni trasloco serve a conservare un senso di appartenenza e di familiarità; per molti di loro vedere crescere le proprie piante dà il senso di appagamento che non riescono a trovare nei loro lavori sempre più precari e nelle relazioni poco improntate alla prospettiva. Non mancano gli elementi rassicuranti dati da una routine confortante e distensiva. C’è poi il fattore social: una foto con una bella pianta è molto più “instagrammabile”; da qui il successo di profili Instagram e di canali YouTube dove si danno consigli per curare le piante o dove si raccolgono foto di ambienti domestici immersi nel verde. In alcuni casi, si è persino arrivati al contrabbando di specie rare ricercatissime dai giardinieri da social, in modo particolare delle piante succulente. Ma per molti, in realtà, avere delle piante d’appartamento è il solo modo di portare un po’ di natura nelle loro vite.

 

Guarda il video tutorial de “I Giardini di Ellis” sulla cura delle piante

 

Boom editoriali e giardini botanici

Questa riscoperta del mondo vegetale passa anche attraverso le sempre più frequenti pubblicazioni e il successo e notorietà di alcuni autori, come Stefano Mancuso. Ciò ha portato, prima della pandemia, a un numero maggiore di incontri pubblici e a una più frequente e partecipata apertura dei giardini botanici. In un circolo virtuoso, i giardini botanici stessi si sono rinnovati, ricercando nei propri erbari rarità, pensando  di riprogettare gli spazi riportandoli a come erano stati ideati dai loro fondatori, studiando percorsi di riscoperta adatti ai più giovani e agli adulti per incentivarne le visite. Ma per arginare la perdita di specie vegetali, vi è la necessità di dare  un nome a tutti i nuovi vegetali scoperti e avvalersi delle operazioni di citizen science, come quella dei cacciatori di specie o dell’Università di Harvard che ha chiesto il contributo dei volontari per aiutare a catalogare tutte le immagini di vegetali presenti dell’Arnold Arboretum, il museo degli alberi dell’università. 

 

App ed “edutainment”

La comparsa poi delle applicazioni per cellulare per l’identificazione delle piante e quelle che si arricchiscono delle specie postate e riconosciute dagli utenti stessi dell’app sono un altro mezzo per avvicinarsi alla conoscenza più approfondita delle specie vegetali e per trasformare una passeggiata in campagna in una occasione di scoperta. In questa nuova valorizzazione del mondo vegetale si inseriscono anche altri giochi, stavolta per bambini, proprio per far familiarizzare i più piccoli con le piante. Attraverso i giochi da tavolo si può vincere la cecità alle piante. Anche in questo caso gli studi preliminari hanno portato alla luce i vantaggi dell’ “edutainment”, includendo il gioco nell’istruzione e nell’ apprendimento. Nel caso dei nuovi giochi studiati allo scopo, è importante la rappresentazione accurata delle piante, cercando di evidenziarne la complessità e sfruttando le capacità dei designer di rendere i giochi avvincenti ma scientificamente validi, in modo da passare dall’apprendimento attivo attraverso il gioco allo sviluppo dell’interesse per la botanica. 

Immergersi nella conoscenza

D’altronde il fattore culturale sembra essere predominante nel superare la plant blindness che non è uguale per tutti, ma è meno evidente in popolazioni che danno importanza alle piante, che le raccolgono come rimedi naturali, che vivono di più a contatto con la natura o che sono soliti vederne rappresentazioni artistiche. La strada è nello sviluppo di insegnamenti non più zoocentrici ma immersivi, per formare finalmente una conoscenza del mondo naturale nella sua interezza.

Abituarsi a vivere in un mondo che attraverso le forme artistiche e la partecipazione collettiva dia importanza alle specie vegetali, può aiutare a sensibilizzare sulla loro perdita e attirare maggiori investimenti necessari per la loro salvaguardia

Saperenetwork è...

Maria Luisa Vitale
Maria Luisa Vitale
Calabrese di nascita ma, ormai da dieci anni, umbra di adozione ho deciso di integrare la mia laurea in Farmacia con il “Master in giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza” dell’Università di Ferrara. Arrivata alla comunicazione attraverso il terzo settore, ho iniziato a scrivere di scienza e a sperimentare attraverso i social network nuove forme di divulgazione. Appassionata lettrice di saggistica scientifica, amo passeggiare per i boschi e curare il mio piccolo orto di piante aromatiche.

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