Sergio Ferraris

Sergio Ferraris

Storie di donne che hanno innovato le scienze ambientali. E di come sono state ignorate. Intervista a Sergio Ferraris

Il giornalista è autore, insieme a Mirella Orsi, di “Prime. Dieci scienziate per l’ambiente”. Un libro che ricostruisce la storia delle donne che hanno contribuito alla comprensione della natura, ma che sono rimaste per lo più sconosciute

Sono donne e si sono occupate di questioni ambientali. Ecco perché le protagoniste di Prime. Dieci scienziate per l’ambiente non sono passate alla storia. Il libro, curato dal giornalista Sergio Ferraris e dalla divulgatrice Mirella Orsi, rende loro giustizia riconoscendo i contributi scientifici e ricostruendo, attraverso le loro storie, le barriere sociali e culturali che hanno dovuto affrontare.

«Il libro ha una doppia valenza: mettere sotto un’altra luce il ruolo delle donne e quello delle scienze ambientali», spiega Sergio Ferraris.

«Parliamo di scienziate che hanno dato contributi essenziali, ma sono rimaste nell’ombra sia durante la loro epoca che dopo. E parliamo di scienze ambientali, spesso considerate figlie di un dio minore rispetto ad altri ambiti, come l’informatica o la ricerca di base in fisica, perché non hanno o non hanno avuto risvolti applicativi sotto il profilo tecnologico con ricadute sul mercato». Dalla rosa-condominio di Maria Sybilla Merian alle cronache marine di Sylvia Earle, dalla futuristica casa nel bosco di Maria Telkes alle esplorazioni di Jeanne Baret, le ricerche e le scoperte delle dieci protagoniste emergono sullo sfondo di scontri accademici e politici, usi e costumi di epoche e culture, al di qua e al di là dell’oceano, che le hanno penalizzate.

 

Com’è nata l’idea di questo libro?
Da una chiacchierata con Mirella Orsi, che ha scoperto che l’effetto serra è stato teorizzato per la prima volta da una donna, Eunice Newton Foote, vissuta a metà dell’800. Molto osteggiata durante la sua epoca, di questa scienziata si conosce poco, e per di più non esiste una sua fotografia: l’immagine che la rappresenta, secondo il parere degli storici che l’hanno analizzata, è un ritratto della figlia. Riflettendo su questo abbiamo deciso di raccontare la storia di dieci scienziate che sono passate in second’ordine rispetto all’establishment scientifico della loro epoca, che poi è lo stesso di oggi. Il denominatore comune di queste figure è che sono state grandi innovatrici nel campo delle scienze ambientali: parliamo di scienziate donne che si sono occupate di questioni ambientali, sostanzialmente una doppia barriera che ha impedito il riconoscimento dei loro meriti.

Il messaggio che volete trasmettere è l’importanza di integrare il punto di vista femminile con quello maschile. Quali sono le peculiarità del pensiero femminile che emergono dalle storie delle protagoniste?
Ce ne sono due fondamentali. La prima è la tenacia. Sono tutte donne che hanno dovuto confrontarsi con ostacoli enormi, dalle famiglie che non volevano che intraprendessero la carriera scientifica al mondo accademico che le osteggiava. Io ho scritto di Dane Fossey, che prima è stata ostacolata dalla famiglia, poi non ha ricevuto fondi dal National Geographic e ha dovuto pagarsi da sola le ricerche.

Nonostante i notevoli risultati sul campo, non ha avuto i riconoscimenti accademici che meritava.

La seconda è l’attenzione ad aspetti sociali che spesso la scienza non considera. Laura Conti, considerata la pioniera dell’ecologia in Italia, come medico del lavoro si è occupata del disastro di Seveso battendosi anche per il diritto all’aborto per le donne di Seveso, perché la diossina provoca malformazioni e all’epoca l’aborto era vietato. Come Laura Conti, le scienziate di cui parliamo hanno sviluppato un pensiero laterale inedito per la loro epoca e particolarmente prezioso. Punti di vista differenti producono risultati migliori.

 

Guarda il video con Mirella Orsi, coautrice di “Prime”

 

 

La stesura del libro ha coinvolto cinque autrici e cinque autori, in perfetta parità di genere.
Sì, perché è importante la rappresentazione e la sensibilità di entrambi i sessi, altrimenti c’è il rischio di cadere dalla padella alla brace. Qualcuno potrebbe obiettare che, dopo secoli di predominio da parte degli uomini, adesso è il turno delle donne. Ma io e Mirella abbiamo scelto la parità di genere perché servono entrambi gli approcci, ognuno con le sue peculiarità: sono una ricchezza, è questo il segnale che abbiamo voluto dare. Già la questione della parità è complicata, se mettiamo ulteriori paletti non risolviamo niente.

 

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Affrontando la questione più in generale, il mio punto di vista è quello del ministro norvegese che, alla nascita del figlio, ha preso un congedo di paternità di sei mesi ritirandosi dalla politica attiva. Il problema dello stop della carriera delle donne esiste ed è reale, ma la parità si raggiunge rispettando le esigenze di entrambe le parti. Se si vuole davvero far progredire la società e attivare meccanismi che compensino un problema che è fondamentalmente biologico, ma non deve diventare sociale, la soluzione non è aiutare le donne a fare multitasking…no: è dare la possibilità agli uomini di mettere in pausa la loro carriera.

 

 

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La parità tra autori e autrici non è solo una questione di genere, ma anche la risposta a un problema di informazione ambientale che ritenete in crisi, come sottolineate nelle pagine iniziali del volume.
Oggi sono disponibili tecnologie a basso prezzo e accessibili a tutti che offrono enormi possibilità per l’informazione ambientale. Per esempio, anni fa per produrre un documentario televisivo servivano 100mila euro in attrezzature, mentre oggi spendendo 6/7 mila per un buon PC e una buona telecamera è possibile realizzare un lavoro professionale. Per non parlare delle potenzialità dell’intelligenza artificiale.

Nonostante questo, il giornalismo in Italia non riesce a trovare modelli economici e sociali validi, e in particolare il giornalismo ambientale recepisce queste istanze di crisi, è frammentato, l’offerta non è adeguata con i tempi.

I grandi giornali internazionali stanno facendo cose interessanti, i media ambientali italiani, con lo scarso utilizzo di multimedia, grafica e dati, sono fermi a dieci anni fa. Eppure, l’Agenzia spaziale europea (Esa) mette a disposizione dati e immagini satellitari gratis, Climate Central fa cose spettacolari riguardo ai cambiamenti climatici mettendo a disposizione i codici, solo per citare qualche esempio.

Le dieci scienziate non si conoscevano tra loro, ma le loro storie hanno caratteristiche comuni. Ci sono altre attinenze tra loro?
C’è una stretta connessione tra il lavoro di Rachel Carson e quello di Diane Fossey. Carson si è battuta contro il DDT e grazie a lei le industrie chimiche hanno trovato un insetticida di origine naturale, il piretro, che si ricava da una particolare specie di crisantemo. Già alla fine degli anni ’70 ci si avviava a sostituire il DDT con il piretro. Piccolo problema: il piretro si coltivava molto bene in alcune zone dell’Africa dove Fossey studiava i gorilla di montagna. Diane Fossey si mise contro gli abitanti locali, che disboscavano la foresta per coltivare le piante da cui ricavare il piretro.

 

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Questo ci dà la misura di come esperienze anche diversissime siano connesse. Fossey e Carson non si conoscevano, ma poiché viviamo in un pianeta dove tutto è connesso, ecco che la ricerca scientifica che porta benefici da una parte diventava lesiva verso un altro territorio. Questa esperienza ci porta a fare i conti con il fatto che dieci anni dopo l’esperienza di Diane Fossey abbiamo dato un corpo a quello che è lo sviluppo sostenibile, dove la questione ambientale è fondata su questioni economiche e sociali.

Se non facciamo nostre le peculiarità del pensiero femminile, e le integriamo con il pensiero maschile, ci mancano questi strumenti per agire in maniera efficace.

 

Saperenetwork è...

Sara Brunelli
Veneta di origine e milanese d’adozione, dal 2003 scrive di scienza e tecnologia, con particolare interesse per robotica, intelligenza artificiale, impatto del digitale sulla società e sull’ambiente. Dopo la laurea in Matematica e un Master in Comunicazione Scientifica ha collaborato con l’Università di Milano per la mostra “Simmetria, giochi di specchi”, il Museo della Scienza e Tecnologia “Leonardo da Vinci”, la rivista di divulgazione scientifica “Newton” e altre testate e siti siti web. Accanto all’attività giornalista è docente presso un ente di formazione professionale, dove insegna matematica e informatica e re-impara a vedere il mondo attraverso gli occhi di ragazze e ragazzi. I loro sogni e le loro aspettative sono ispirazione per costruire ogni giorno un mondo migliore e mettere le parole al servizio di un futuro più sostenibile.

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