Geografie sul Pasubio, reportage ad alta quota
Tra memoria, sconfinamenti e ridefinizioni, torna il festival organizzato da Keller Edizioni. Al centro la montagna come luogo di incontro e confine poroso. Tanti gli appuntamenti per parlare di storia, clima, guerra e attualità, dal 14 al 17 luglio. Ce ne parla l’ideatore, Roberto Keller
Dalle vette al cuore dell’Europa. Dal 14 al 17 luglio torna Geografie sul Pasubio, il Festival organizzato da Keller Edizioni con i comuni di Posina, Terragnolo, Trambileno, Vallarsa e Valli del Pasubio e in partnership con il settimanale Internazionale. Giunta alla quinta edizione, la kermesse pone al centro il Pasubio come luogo di memorie, sconfinamenti e ri-definizioni, facendosi teatro di incontri e riflessioni sul territorio, laddove i confini geografici si intersecano con le narrazioni storico-sociali. Tutti gli incontri, a partecipazione libera e gratuita, si tengono in prossimità di alpeggi e rifugi, da raggiungere a piedi percorrendo itinerari di durata variabile. Al centro, come ogni anno, il reportage spiegato da grandi scrittori italiani e internazionali, dagli scenari di guerra in Ucraina allo scioglimento dei ghiacciai. Ne abbiamo parlato con Roberto Keller, ideatore della kermesse.
Crocevia di storie e memoria. Il monte Pasubio racchiude in sé l’idea di frontiera, il confine come luogo di incontro e separazione, come soglia da cui osservare il mondo che cambia. Questo è lo spirito del Festival, che dei luoghi attraversati coglie il carattere vivo, costantemente ri-declinabile. Come nasce l’idea?
L’idea è nata ovviamente dal vivere in queste terre, dai racconti delle generazioni precedenti in cui si riproponeva sempre l’idea di un confine subito. La mia stessa generazione è cresciuta immersa in questa narrazione.
Ci piaceva però l’idea di interpretare il confine come qualcosa di attivo e positivo, un terreno poroso in cui le cose scorrono e si contaminano e non restano divise per sempre. Poi la montagna. Penso sia ormai incalcolabile l’apporto della montagna allo sviluppo delle pianure.
Non solo in termini di materie prime (legname, pietre, acqua…) ma anche e soprattutto di persone, sogni, esseri umani… Le montagne in questo Paese hanno continuato a cedere alla pianura, si sono spopolate perché la pianura offriva lavoro, città, relazioni, opportunità… Mi piace pensare che tutto questo patrimoni di generazioni possa in qualche modo rendere qualcosa alla montagna anche solo in archi di tempo limitato. Geografie sul Pasubio è il tentativo di riportare in quota pensiero, storie e ascolto. Infine le tante esperienze internazionali legate al reportage che si confrontano nei giorni di Geografie possono anche donarci gli spunti per raccontare in modo diverso la montagna e il paesaggio nel senso più ampio possibile.
Correndo verso #GeografiesulPasubio ❤
14-17 luglio https://t.co/z6L2Aqjoy5 pic.twitter.com/PYL0olNhvm
— Keller Editore (@KellerEditore) July 12, 2022
Coniugare trekking e reportage consente – anche – di riflettere sul senso del camminare come pratica “rivoluzionaria”, per riappropriarsi del tempo e dello spazio al fine di esperire nuove relazioni, di disporsi all’ascolto…
Chi va per montagne non conta mai le distanze in chilometri ma solo in ore di cammino. Gli stessi dislivelli, i metri di altitudine che si consumano passo dopo passo vivono nella connessione di tempo e cammino. La montagna e la natura ci offrono opportunità diverse per gli eventi: anzitutto il silenzio e i suoni diversi (i passi sull’erba, il vento, le parole da cogliere senza grandi impianti di amplificazione); ci chiedono di “conquistare” ciò che andiamo ad ascoltare: salire, sedersi su un prato, ascoltare, scendere…; poi c’è la vita e il tempo dei rifugi alpini: una vita di condivisione (non esistono camere singole) e semplice che ci riporta a cose più essenziali.
In un contesto del genere e anche con la fatica di ore di cammino in salita… gli incontri e le relazioni che si instaurano hanno un valore in più.
Ma come si possono raccontare i luoghi, le persone che li animano? C’è tutto questo nel Festival, l’idea che dall’interazione possa nascere un racconto condiviso e potenzialmente interminabile.
In questo festival c’è l’idea che sul Monte Pasubio possano arrivare persone e storie da tutto il mondo. Ma anche l’opportunità di uscire da stereotipi a cui noi personalmente e anche le stesse “letterature” nazionali rischiano di legarsi con vincoli inconsapevoli. Vedere come altre letterature, altri giornalisti fanno il proprio mestiere e raccontano il mondo può aprire anche il nostro sguardo sull’Italia o le mille Italie da cui proveniamo.
Un’urgenza a cui Geografie sul Pasubio risponde è quella di scavare nei luoghi dell’oblio, della memoria sepolta. Quanto è importante tutto questo?
Il Pasubio è il luogo ideale. Credo che in quasi tutte le città italiane di media e grande dimensione ci sia una via Pasubio. Qui ì segni della Grande guerra sono ancora evidentissimi. Il paesaggio è “contaminato” dalla storia del Novecento. Allo stesso tempo Geografie ci chiede anche di guardare a quei luoghi in modo diverso. Quelle trincee oggi non possono raccontarci solo del conflitto del 1915-1918 ma anche, tanto per rimanere nell’attualità e nel programma del 2022, del Donbas. I grandi alpeggi punteggiati di malghe ormai mezze vuote raccontano di un Paese diverso che si è allontanato dal legame profondo con la natura che avevano generazioni precedenti. Qui allora ha senso ad esempio riflettere, come farà, Uwe Rada su cosa rappresentano i fiumi per un territorio o sullo spopolamento di ampie parti di un Paese (ne parlerà Sergio del Molino)
Questa edizione si prospetta densa di attualità. Quali ospiti e temi ci attendono?
Si parlerà di molte cose. Ovviamente di Est nel senso più ampio. L’Ucraina e il Donbass con Tomas Forro; la transizione dai regimi comunisti a quelli liberali con Albin Biblom, Witold Szablowski e Andrea Pipino. Valerio Pellizzari toccherà alcuni nervi scoperti delle relazioni tra Russia e il resto del mondo parlando delle isole Curili e dell’Alaska. Valentina Parisi invece ci porta in una delle aree più calde del momento con l’incontro dedicato a Kaliningrad. Uwe Rada ci parla del fiume Oder e di tanti fiune dell’area baltica che da luoghi di confine sono diventati rete di cooperazione. Con Sergio del Molino invece esploreremo lo spopolamento della Spagna interna e con Szablowski incontreremo i cuochi di alcuni dei grandi dittatori del Novecento. Infine Gabriele Battaglia e Junko Terao ci portano tra Cina e Asia per ragionare su quali saranno gli sviluppi probabili del post crisi ucraina, ossia i decenni a venire.
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Ginevra Amadio si è laureata con lode in Scienze Umanistiche presso l’Università Lumsa di Roma con tesi in letteratura italiana contemporanea dal titolo Raccontare il terrorismo: “Il mannello di Natascia” di Vasco Pratolini. Interessata al rapporto tra letteratura, movimenti sociali e
violenza politica degli anni Settanta, ha proseguito i suoi studi laureandosi con lode in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con tesi magistrale dal titolo Da piazza Fontana al caso Moro: gli intellettuali e gli “anni di piombo”. È giornalista pubblicista e collabora con webzine e riviste culturali occupandosi prevalentemente di letteratura otto- novecentesca, cinema e rapporto tra le arti. Sue recensioni sono apparse in Oblio (Osservatorio bibliografico della letteratura otto-novecentesca) e sulla rivista del Premio Giovanni Comisso. Per Treccani.it – Lingua Italiana ha pubblicato un contributo dal titolo Quarant’anni fa, anni di piombo, sulle derive linguistico-ideologiche che segnano l’immaginario dei Settanta.
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