Barbara-Mazzolai_Plantoid

La scienziata Barbara Mazzolai con un plantoide: un robot o un organismo sintetico progettato per apparire, agire e crescere come una pianta

La natura geniale. La robotica incontra la biologia (e viceversa)

Protagonista della rivoluzione tecnologica in atto Barbara Mazzolai, con il suo primo libro, ci conduce, con rigore scientifico e facilità divulgativa, in un’esplorazione dell’ambiente, tra bizzarri animali, piante dalle capacità misteriose e enigmi naturali

natura geniale
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Un ingegnere osserva le lappe attaccate al pelo del suo cane, e dopo averci ragionato su realizza il velcro, una versione sintetica dello stesso principio. È successo negli anni ‘50 a George de Mestral, ed è uno degli esempi classici di biomimetica, cioè la progettazione di tecnologie ispirate al mondo vivente. Non è un’idea nuova, come ci insegnano i disegni di Leonardo, ma ha cominciato a maturare solo nel secolo scorso. Ora però abbiamo le conoscenze, sia biologiche che ingegneristiche, per andare addirittura oltre. Non solo nuovi materiali, design e processi ispirati alla natura, ma anche robot che mimano funzioni viventi. Con La Natura geniale (Longanesi,2020) Barbara Mazzolai, che nasce come biologa marina, si forma come biofisica e infine approda alla robotica, schiude le porte su un campo che si fonda sulla multidisciplinarietà e sul rompere gli schemi.

 

 

barbara mazzolai
Barbara Mazzolai dirige il Centro di Micro-BioRobotica (Cmbr) dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Pontedera (Pisa)

Natura magistra scientiae

Tutto comincia, ovviamente, dall’evoluzione. Nel primo capitolo, infatti, troviamo una citazione di Charles Darwin:

«Più studio la Natura più rimango colpito con sempre maggior vigore da come i congegni e i meravigliosi adattamenti lentamente acquisiti in ogni parte trascendano in modo incomparabile i congegni e gli adattamenti che persino la più fertile immaginazione umana sarebbe in grado di inventare».

Perché se è vero che l’uomo osserva da sempre la natura, è con Darwin (e Wallace) che si comincia a capire il processo cieco che ha portato, tra le altre cose, a quegli adattamenti che potremmo imitare. Anche la robotica parte da lontano. Dopo i marchingegni di Erone di Alessandria (I secolo d.C.) la storia è stata punteggiata di automi sempre più complessi. Ma la parola robot arriva solo un secolo fa, presa in prestito dalla fantascienza, ed è appunto nel XX secolo che, grazie all’informatica, avviene quel salto di qualità che dona agli automi sempre più autonomia.

 

Guarda il video sulla storia della robotica “Robot”

 

 

Da allora la robotica mira a costruire oggetti al servizio dell’uomo con capacità di movimento, percezione e cognizione, ma è solo nel terzo millennio che il terreno diventa maturo per la robotica bioispirata. Gli animaloidi, cioè robot che imitano gli animali (uomo incluso) sono una realtà. Insetti, polpi, pesci, cani, gechi sono solo alcuni degli animali di cui esiste una versione robotica che ne imita alcune funzioni. Ma, meraviglia a parte, a cosa ci servono? Per rispondere basta pensare ai robot che sono già intorno a noi, dai robot industriali agli elettrodomestici, fino ai veicoli autonomi e agli agri-bot. Queste macchine hanno un campo di azione limitato ad ambienti ben definiti e con loro regole. Un animaloide, invece, è potenzialmente in grado di operare anche in ambienti naturali o dove le regole sono state sconvolte (come in un disastro). Pensiamo a uno scarafaggio robot: non esiste un ostacolo che non possa superare, o un pertugio che non possa raggiungere. E grazie alla soft robotics, che permette di creare parti meccaniche molli e deformabili, le possibilità aumentano ulteriormente.

 

Guarda il video “All’acquario di Genova il polpo gigante e il polpo robot”

 

Non è lontano il momento in cui entreranno nelle nostre vite, ma nel frattempo questi robot hanno anche aiutato la biologia, dimostrando la fecondità della multidisciplinarietà cara all’autrice. Gli ingegneri infatti, nel cercare di imitare questa o quella funzione hanno scoperto nei loro modelli caratteristiche che erano sfuggite ai biologi, per esempio il meccanismo di adesione delle ventose del polpo. Il robo-plesiosauro Madeleine, invece, ci ha insegnato che nuotare con quattro pinne non è energeticamente conveniente, anche se aumenta la manovrabilità e l’accelerazione iniziale. Forse è per questo che i vertebrati acquatici attuali ne utilizzano solo due, usando le altre come timone: nell’evoluzione è stata privilegiata l’efficienza e la velocità rispetto al controllo. Probabilmente i grandi rettili acquatici cacciavano per agguati.

Abbattere il “pregiudizio verde”

Gli animaloidi servono all’autrice anche per prepararci a quello di cui ci vuole parlare davvero: i plantoidi, cioè le piante robotiche. Scrive Mazzolai:

«Abbiamo visto come la robotica bioispirata si proponga di studiare alcune proprietà degli esseri viventi, soprattutto animali, per riprodurle in macchine autonome che riescano a operare con efficacia in ambienti naturali. È pensabile realizzare un robot che si muova, percepisca l’ambiente, comunichi con altri organismi e prenda decisioni sulle direzioni di crescita, ispirandosi alla biologia delle piante?»

Prima però deve smontare il probabile scetticismo del lettore che, ci racconta, era condiviso anche da molti suoi colleghi. Le piante soffrono infatti del diffuso pregiudizio secondo il quale le loro funzioni sarebbero limitate. Non è un caso che esista una sgradevole espressione per chi non reagisce agli stimoli: “come un vegetale”. Torna utile il buon Darwin, che dopo la pubblicazione dell’Origine delle specie produsse lavori di botanica rivoluzionari, come quelli sulle piante carnivore e sul movimento delle piante. Le piante non hanno nulla da invidiare al regno animale, ma è difficile per Homo sapiens rendersene conto. Per esempio, il più delle volte, per vedere i loro movimenti dobbiamo filmarle e accelerare il video. E mentre gli animali si affidano a muscoli, uno dei motori principali delle piante è l’acqua. Il movimento nasce cioè dalla capacità delle piante di regolarne il contenuto nei loro tessuti. Per quanto siano lente al nostro occhio, consumano poca energia e sono capaci di esercitare una forza notevole: basta pensare ai marciapiedi (e non solo) distrutti dalle radici degli alberi. Inoltre, anche se prive di sistema nervoso, le piante possono essere considerate un esempio di intelligenza di sciame, o distribuita. Possiedono milioni di apici vegetativi e radicali, che rispondono a segnali dell’ambiente esterno, e il “comportamento” emerge dall’integrazione di semplici regole, un po’ come accade nelle colonie di insetti sociali o nei branchi di animali. Inoltre le piante comunicano tra loro, per esempio rilasciando sostanze chimiche nell’ambiente. Quindi sì, anche le piante sono perfetti modelli per robot, come i plantoidi a cui lavora Mazzolai.

 

Guarda il video sui plantoidi “La natura ci ispira”

 

Tra le funzioni che interessano di più agli scienziati c’è, per esempio, la capacità delle loro radici di attraversare il suolo, lentamente ma inesorabilmente, dirigendosi nella direzione migliore per assorbire acqua e nutrienti. Questo movimento prevede anche la crescita, una novità per il mondo della robotica, ma che gli ingegneri sono stati in grado di tradurre in tecnologia: le radici robotiche dei plantoidi sono effettivamente in grado di cambiare la loro forma nel tempo e allungarsi. Le foglie del plantoide non servono ad alimentarlo autonomamente (almeno per ora), ma imitano un’altra caratteristica delle piante reali, cioè percepire le variazioni ambientali di temperatura, umidità, luce, sostanze chimiche. Tra le applicazioni di questi robot viene subito in mente il monitoraggio ambientale, ma Mazzolai ci fa notare che le piante e i loro derivati robotici ci possono insegnare qualcosa di ancora più profondo, cioè lo sfruttamento sostenibile delle nostre risorse naturali: «Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia nasce con una obsolescenza programmata, ovvero basata su una strategia industriale che prevede la “morte prematura” del prodotto per sostenere i consumi».

E aggiunge: «Ormai sappiamo che questo utilizzo dissennato delle risorse naturali non è più sostenibile sul lungo periodo e che tecnologie e fonti energetiche ecologiche, non inquinanti e rispettose dell’ambiente devono rappresentare una delle sfide chiave a livello mondiale per la società futura. Le piante sono maestre anche in questo: sono infatti «progettate» per sfruttare le risorse disponibili nel loro habitat, in modo da ridurre al minimo lo spreco energetico».

Saranno proprio i robot a farci vedere con altri occhi il verde intorno a noi?

Saperenetwork è...

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive su Wired.it, Il Tascabile e altre testate. Collabora dalla sua fondazione con Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione. Ha scritto col pilota di rover spaziali Paolo Bellutta il libro di divulgazione Autisti marziani (Zanichelli 2014), uscito nella collana Chiavi di Lettura di cui cura le uscite

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