Il portavoce di Amnesty International Italia, Riccado Noury

Guerra e diritti negati. Intervista a Riccardo Noury di Amnesty International

La ong è attiva anche in Ucraina con attività di ricerca sul campo e di denuncia delle violazioni dei diritti umani, per favorire la giustizia internazionale. Nelle parole del portavoce, l’urgenza di un negoziato, il tema dell’accoglienza dei rifugiati e altri temi caldi di questi mesi: diritto alla salute, respingimenti, attacchi alla libertà di espressione e alla democrazia

«Da più di tre mesi in Ucraina si stanno verificando gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, in particolare attacchi contro obiettivi civili, trasferimenti forzati di popolazioni, uccisioni sommarie, torture, stupri, tutto questo a carico delle forze russe. Una situazione dunque catastrofica».

Con queste parole Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, descrive ciò che sta subendo la popolazione ucraina. Uno scenario sempre più inquietante in cui la giustizia e i diritti non trovano spazio.

 

 

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Riccardo Noury, i media parlano spesso di diritto alla resistenza possibile solo con le armi. Eppure ci sono tanti cittadini ucraini e russi che non condividono le scelte di Putin e di Zelensky, e che invocano il diritto alla pace. Non dovremmo forse prendere in considerazione anche le loro istanze?
Non dobbiamo rassegnarci all’idea che in guerra comandano soltanto le armi. Non è chiaro quanta opposizione ci sia in Ucraina alla guerra, quello che sappiamo è che molte persone russe non condividono le scelte di Putin. Certamente dovremmo prendere in considerazione le istanze di pace e le istanze di negoziati.

Una guerra infinita è inimmaginabile. Ogni guerra si chiude perché si negozia. E allora è bene farlo il prima possibile.

 

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Putin è stato accusato di crimini di guerra. Cosa rischia ora?
Se l’indagine del Tribunale penale internazionale permanente produrrà un mandato di cattura per crimini di guerra a nei confronti del presidente russo, allora Vladimir Putin rischia innanzitutto un processo. Il Tribunale non ha una forza di polizia che possa eseguire il mandato di cattura. Pertanto il compito spetterà alla comunità internazionale, vale a dire a 123 Paesi che hanno un vincolo: arrestare le persone ricercate qualora mettano piede nei loro territori.

Quali sono le iniziative che Amnesty International sta adottando in difesa dei diritti umani nei territori coinvolti nel conflitto armato?
Ci siamo recati in diverse occasioni in Ucraina compiendo ricerche sul campo a Kiev, Kharkiv e in altri luoghi. Abbiamo prove materiali dei crimini commessi dai soldati russi, sia con le bombe grappolo sia con armi di precisione, che inevitabilmente producono danni e devastazioni nei confronti della popolazione civile. E che sono a loro volta crimini di guerra. Con le nostre iniziative di ricerca e denuncia vogliamo favorire la giustizia internazionale.

 

 

Ci sono anche delle responsabilità della Nato?
Noi non accertiamo le responsabilità politiche. Possiamo commentarle. Ci concentriamo sulle responsabilità giudiziarie. Si può discutere, e ha avuto senso farlo fino al 23 febbraio, su tutte le ragioni soggettive e oggettive che riguardano la Federazione Russa o altri Paesi in relazione a quanto sarebbe accaduto ventiquattro ore dopo. Però dal ventiquattro febbraio in poi discutere delle responsabilità terze o del perché siamo arrivati a questo punto è un discorso un po’ sterile. Dobbiamo occuparci di ciò che sta accadendo adesso.

Mentre continuano i bombardamenti nel cuore dell’Europa, altri popoli sono ancora sotto attacco. Non sembrano però esserci dei segnali di solidarietà da parte della comunità internazionale. Come mai?
È evidente che una guerra in Europa produce un algoritmo emotivo più forte rispetto a tanti altri conflitti. Amnesty International auspica che questo modo di accogliere diverso che si è dimostrato nei confronti degli ucraini e delle ucraine diventi uno standard e che non si torni al passato – un passato anche recente – in cui nella stessa Europa persone che fuggivano da conflitti più lontani venivano respinte, trattenute o scaricate tra i confini della Polonia e della Bielorussia, perché considerate non desiderate.

 

 

Nel Rapporto sui diritti umani 2021-2022 di Amnesty si legge che nonostante le promesse fatte durante la pandemia i governi non hanno affrontato seriamente importanti questioni: la salute, il respingimento di rifugiati e migranti, gli attacchi alla democrazia. La ricostruzione di un mondo migliore è ancora lontana?
Dopo due anni di pandemia e oltre tre mesi e mezzo di guerra un mondo migliore è un obiettivo abbastanza utopistico. È così perché sono state perse delle occasioni nei mesi precedenti. Dalla pandemia si sarebbe potuto uscire bene insieme tutti se fossero state condivise tecnologie, informazioni sulla produzione di vaccini, e invece le grandi aziende farmaceutiche hanno fatto profitti vendendo vaccini a prezzi elevati a chi poteva comprarli. E quindi ai Paesi ricchi. Si poteva affrontare il tema dell’impunità dei conflitti ancora in corso facendo funzionare ancora meglio la giustizia internazionale. In questo modo forse non saremmo arrivati a quel ventiquattro febbraio. A questo aggiungiamo che aumentano i Paesi nei quali vengono respinti i migranti, aumentano i Paesi in cui si usa la forza eccessiva nei confronti di chi manifesta, aumentano i Paesi dove è vietato protestare pacificamente. Siamo dunque in una fase fondamentalmente negativa.

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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