artisti della Cruzada di giorno si esibiscono nelle scuole

Gli artisti della Cruzada di giorno si esibiscono nelle scuole (Foto: Paolo Beneventi)

La Cruzada teatral, gli attrezzi “casalinghi” e il documentario

L’evento è nato nel 1991 a Cuba come risposta culturale degli artisti alla crisi economica che svuotava i teatri. Il video che la documenta lo fa con strumenti accessibili anche ai non professionisti: e anche noi siamo invitati a sperimentare con i mezzi che abbiamo a disposizione

Ho caricato da poco su YouTube i sottotitoli in italiano del mio video la Cruzada Teatral, un documentario su un evento culturale molto particolare, che si svolge ogni anno a Cuba, dal 1991. In quell’anno il paese, costretto dal blocco economico totale dettato dagli Stati Uniti a dipendere sempre più dall’Unione Sovietica, dopo che questa si era dissolta, stava vivendo una crisi tremenda. Gli attori della provincia di Guantanamo, la più povera dell’isola, escono allora dai teatri deserti per mancanza di un pubblico che non può più permettersi nemmeno il pur minimo costo dei biglietti, e decidono di salire alla montagna.

Percorrono a piedi territori che non conoscono, “zone di silenzio” dove ancora non arriva la corrente elettrica e molti abitanti anziani non hanno mai visto un televisore.

 

Gli artisti si spostano nel camion (Foto: Paolo Beneventi)

 

All’inizio hanno il sostegno solo della FAR, l’esercito rivoluzionario, che fornisce loro i muli, le cucine da campo e tutta l’attrezzatura necessaria. Rafaél, veterano della campagna d’Angola, mi racconta che avevano tutto quello che serve per una spedizione militare, tranne il fucile. Una spedizione militare… per fare teatro!

Teatro nelle piazze e nelle scuole

Cruzada significa “crociata”, ma anche “attraversamento”. Dopo le prime due edizioni, per gli spostamenti ottengono un camion. Durante quella del 2007, a cui ho partecipato, in certe giornate ricordo che ne avevamo anche due. Ci si accampa per qualche giorno presso un villaggio, o nelle baracche dei lavoratori stagionali, e ci si sposta la sera in spazi dove si può raccogliere il pubblico, mentre di giorno si va nelle scuole.

Le scuole primarie sono spesso piccolissime, disseminate nel territorio, perché i bambini le possono raggiungere solo a piedi, e in ogni multiclasse ci sono un televisore e un computer, alimentati da pannelli solari sul tetto.

 

Una performance serale (Foto: Paolo Beneventi)

 

Io avevo un incarico praticamente ufficiale dal Ministero della Cultura, attraverso l’editore che aveva pubblicato la mia storia del teatro ragazzi, tradotta da Freddy Artiles e studiata a Cuba nelle scuole di istruttori di arte. L’editore aveva visto che sapevo girare i video «Non esiste ancora – mi aveva detto – un documentario che racconti la Cruzada». Mi ero organizzato allora per andarci con un piccolo e qualificato gruppo misto italo cubano ma, per una serie di inconvenienti e defezioni, alla fine mi ritrovai da solo. Ricordo che ero corso all’ultimo momento a comprare una seconda videocamera e ne avevo trovata una discreta in offerta, amatoriale ma valida, e poi batterie di lunga durata per le due macchine che, allora che non c’era Amazon, funzionanti le trovavi quasi solo originali e costavano uno sproposito.

Poi ho vissuto per 15 giorni in mezzo all’evento, documentando ogni cosa: il risveglio con il caffè nel secchio, gli spostamenti in camion, in jeep e a piedi, gli spettacoli, le prove, gli incontri con la popolazione, le pause, le feste.

Alla fine ne risulta un il film che dura esattamente un’ora e, a riguardarlo dopo tanti anni, sinceramente mi sembra che sia bello, che renda l’idea. O almeno esprime, come ha commentato in questi giorni su Facebook una compagna d’avventura cubana, un «punto di vista italiano» sulla Cruzada.

La realizzazione del documentario

So per esperienza che vedere con quali strumenti sono state fatte le cose può servire. Le attrezzature professionali offrono qualità, sicurezza e garanzie, ma oggi anche con hardware e software “casalinghi” si possono realizzare prodotti audiovisivi di qualità, in certi casi non distinguibili da quelli che pubblicano i professionisti in televisione e sul web. Per cui qui vado a fare i nomi degli attrezzi usati per realizzare il film sulla Cruzada, in modo che chiunque, volendo, possa andare a vederli in rete e, mutatis mutandis, farsi un’idea di quello che serve o basta per fare le cose anche abbastanza bene.

Si trattava di un video SD (standard video) in formato 4:3, dato che allora l’HD non era ancora molto diffuso (e io non potevo permettermelo) e pochi erano i televisori, soprattutto a Cuba, nel formato 16:9. Oggi, analogamente, potremmo usare macchine “casalinghe” che registrano video in HD o 4K, a cominciare dai telefonini, e poi macchine fotografiche o videocamere, a piacere.

Guarda il documentario La Cruzada Teatral

 

Avevo dunque due videocamere palmari a cassette mini DV, un treppiede e un registratore audio digitale. Del treppiede, va detto che era di quelli con testa intercambiabile, ma per sostenere dispositivi leggeri non serve chissà che cosa e l’importante è che abbia, per fare i video, una testa anche fissa ma con un bel movimento fluido. Per procurarsi un cavalletto buono poi, la mia idea è che valga la pena di spendere anche qualcosina in più, dato che, a differenza degli aggeggi elettronici, non servono poi continui upgrade! Quel treppiede, preso nel 2005 – visto che altri nomi poi li faccio, dirò che è un Manfrotto, con cui si va sul sicuro, ma ci sono anche altre ottime marche – non solo lo uso ancora, ma è proprio come nuovo! Delle videocamere, la Canon MV X100i era un po’ sopra la media del mercato casalingo:

ghiera per la messa a fuoco manuale che, ora come allora, porta un tocco di “professionalità”, possibilità di collegare un microfono esterno (che però durante la Cruzada non ho usato) e – cosa rara oggi – contatto a caldo per alimentare un faretto addizionale (compare una volta in una ripresa notturna!).

 

Una esibizione serale della Cruzada Teatral (Foto: Paolo Beneventi)

 

La Sony DCR-HC94, priva di accessori e connessioni professionali, aveva però uno Zeiss Sonnar che – chiedetelo a un professionista – è sempre un signor obiettivo, un sensore da 3MPixel, che per un video SD è un’esagerazione, e una funzione night shot a infrarossi, che quella sì l’ho usata in diverse occasioni. Trattandosi di acquisto recentissimo, ho scoperto tardi – i manuali sono noiosi, ma sarebbe utile leggerli! – che si poteva mettere a fuoco manualmente in qualsiasi punto toccando lo schermo tattile, come oggi ci siamo abituati a fare con i telefonini.

Il sonoro è quello dei microfoni stereo incorporati delle videocamere – e direi che non è affatto male! – mentre le voci fuori campo le avevo registrate con minuscolo Olympus WS-320M, che allora andava di moda tra i giornalisti (e costava anche piuttosto caro!).

Piccole mani sulle telecamere

In definitiva, ho girato il film praticamente da solo – salvo le poche riprese in cui compaio io, eseguite ovviamente da altri – con macchine da presa amatoriali, e l’ho montato poi con un computer casalingo e un software professionale d’occasione, non diffusissimo ma che a me piaceva, AIST MoviePack. Ricordo che feci poi portare il DVD a mano a Cuba da un amico perché – mi avevano detto – era più sicuro che mandarlo per posta.

 

 

Concludo con immagini di bambini. Nel film non si vede ma, mentre la pioggia cade fitta intorno alle baracche sperdute tra le piantagioni di banane e tutto è in pausa, una bambina prende in mano le mie videocamere e le prova, molto interessata e curiosa: «Non ho mai visto cassette così piccole!» mi dice. Poi mi racconta che le piace guardare CSI in televisione e da grande vorrebbe fare il chirurgo ma, confessa, «appena vedo una goccia di sangue mi sento male!». Invece, in un villaggio sperduto dove siamo arrivati letteralmente guadando un torrente, perché non c’era una vera strada (nel film si vede), sono invece inquadrato attorniato da un gruppo di bambini, che mi hanno chiesto di fargli vedere come si usa la videocamera. Con quel cappellino, la barba e gli occhiali, mi sembra di assomigliare a Steven Spielberg!

Saperenetwork è...

Paolo Beneventi
Paolo Beneventi
Laureato al Dams di Bologna nel 1980, lavora sulle aree di conoscenza ed espressione attraverso cui soprattutto i bambini (ma non solo) possono partecipare da protagonisti alla società dell'informazione: Animazione teatrale, Video e audio, Fotografia, Libri e storie, Pubblicità, Ambiente, Computer, Web.
Cura laboratori e progetti in collaborazione con scuole, biblioteche, enti pubblici e privati, associazioni culturali e sociali, manifestazioni e festival, in Italia e all’estero. È autore di di video e multimediali, e di libri sia legati alla propria attività che di letteratura per bambini.
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.

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