Una mamma copre gli occhi dei bambini

Nel Reame del Sospetto e della Paura

Regole e prescrizioni nate per proteggerci hanno davvero preso il posto di una sorta di “competenza relazionale” che ci manca? Esiste il rischio di contagiare i più piccoli con le nostre paure? Parte da una foto pixelata la riflessione, personalissima, di Paolo Beneventi…

 

Accade dunque, durante le ultime olimpiadi, che tutti vediamo la foto dopo la bella medaglia d’oro nella marcia: il campione, la moglie, la bambina di pochi mesi… No, cioè, alla bambina hanno praticamente cancellato gli occhi, riducendoli a un ammasso di pixel confusi.

Diciamo francamente quello che molti di noi istintivamente provano: è un’immagine orribile! Viviamo da tempo – e ormai siamo talmente assuefatti e rassegnati che non ce ne rendiamo neanche conto – dentro una fiaba brutta e triste in cui un re mago cattivissimo sistematicamente cancella, deturpa, deforma, e nasconde alla vista degli abitanti del villaggio gli occhi, le facce, i sorrisi dei bambini. Quelle che una volta erano immagini di speranza, gioia, fiducia nel futuro, nelle menti ormai contorte dei sudditi di quel mago re evocano per lo più sospetto e paura.

 

foto dell'atleta olimpico Massimo Stano con moglie e bimba
Massimo Stano, vincitore della medaglia d’oro nella marcia alle Olimpiadi di Tokyo. Questa la foto da cui Paolo Beneventi avvia la sua riflessione

 

Pensano, i sudditi, l’uno dell’altro il peggio possibile, si guardano in cagnesco, e molti nel chiuso delle loro case, al riparo da occhi indiscreti, riversano proprio sui figli piccoli frustrazioni e ansie crescenti. Ma quella è una questione privata, non richiede nulla osta o autorizzazioni da esibire in pubblico per la buona pace della comunità, e niente interessa al mondo del riso o del loro pianto di quei bambini. .. almeno fino a quando a scuola non vengono riscontrati comportamenti strani, e allora li si affida nelle mani di specialisti, medici, psicologi, e li si cura come malati.

Regole a sostituire sensibilità e coscienza

«Mamma, papà, nonno, maestra! Perché gli occhi di quella bambina sono cancellati!»

«Devi sapere, piccolo mio, che abbiamo delle leggi sulla privacy, che proteggono i minori»

«Allora, i bambini come me nella nostra società sono “minori”, cioè contano di meno? E il sorriso di un bambino è qualcosa che nei grandi come te provoca, paura, allarme, insicurezza?»

Certo non erano quelle le intenzioni dei solerti legislatori, come di tutti coloro che negli ultimi anni – nell’assenza sempre maggiore di dialogo tra le persone e di ciò che un tempo veniva chiamato buon senso nelle relazioni – si rassegnano al proliferare di regole, scritte o anche no, immanenti, oggettive, invasive e pedanti, che si sostituiscono alla nostra coscienza e al senso di responsabilità, alla sensibilità, alle emozioni, alla ricchezza e varietà della vita con anche le sue debolezze e contraddizioni.

La paura come pensiero dominante

Trovo che ciò sia individualmente e socialmente devastante, altro che i possibili sguardi morbosi all’indirizzo della foto dei nostri innocenti bambini! Perché il risultato è che questa ossessione di nascondere, proteggere, proibire, non solo non “combatte” in questo caso la pedofilia e la violenza sui bambini – che nei fatti ben altrove si consumano, spesso proprio in famiglia – ma le eleva di fatto a pensiero dominante, sporcando tendenzialmente ogni cosa, anche i pensieri e i giochi più innocenti. Il risultato è che educhiamo i nostri figli, tutti, alla diffidenza e alla paura.

 

mamma chiude gli occhi ai bambini per proteggerli

 

In modo analogo, parole come “negro” o “razza”, la cui connotazione negativa nella nostra lingua è sempre dipesa dal contesto (mi vien da pensare al modo sprezzante come mio zio pronunciava, in milanese, la parola “aucatt”!), sono automaticamente bandite dal vocabolario. Mentre contro le vere o supposte discriminazioni di genere (per non “offendere” le donne, i gay, i trans, e poi chi, i mancini, i presbiti, gli albini, quelli che hanno l’alluce valgo?), si diffonde la simpatica usanza di censurare le desinenze di genere, così che dalla penna e dalla tastiere dei politicamente corretti ci si aspetta che escano frasi come «La mamma, il papà, ?l* zi*, ?* nonn*».

Ci faremo dei bei dettati in classe con questa roba? Oppure, molto banalmente, come la leggiamo? E magari sugli “dei negri di Bahia” di Jorge Amado (quanta profondità di cultura in quella parola!) stendiamo una bella mano di pece, così che diventano semplicemente neri?

Iniziò con una sistematica auto censura preventiva del pensiero, e i sudditi del re mago sempre più soffocavano nei reticolati angusti delle loro paure. Nessuno li obbligava. Ma la preoccupazione di apparire sempre dalla parte giusta e di cogliere in fallo chi poteva non esserlo si sostituiva alla curiosità di essere, sentire, eventualmente sbagliare, in altre parole vivere. E si ritrovarono, senza nemmeno rendersene conto, a soccombere inermi sotto la più triste delle dittature.

Saperenetwork è...

Paolo Beneventi
Paolo Beneventi
Laureato al Dams di Bologna nel 1980, lavora sulle aree di conoscenza ed espressione attraverso cui soprattutto i bambini (ma non solo) possono partecipare da protagonisti alla società dell'informazione: Animazione teatrale, Video e audio, Fotografia, Libri e storie, Pubblicità, Ambiente, Computer, Web.
Cura laboratori e progetti in collaborazione con scuole, biblioteche, enti pubblici e privati, associazioni culturali e sociali, manifestazioni e festival, in Italia e all’estero. È autore di di video e multimediali, e di libri sia legati alla propria attività che di letteratura per bambini.
Alcuni libri: I bambini e l’ambiente, 2009; Nuova guida di animazione teatrale (con David Conati), 2010; Technology and the New Generation of Active Citizens, 2018; I Pianeti Raccontati, 2019; Il bambino che diceva le bugie, 2020. Video: La Cruzada Teatral, 2007, Costruiamo insieme il Museo Virtuale dei Piccoli Animali, 2014; I film in tasca, 2017; Continuavano a chiamarlo Don Santino, film e backstage, 2018.

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