antartico clima

Sul clima perderemo. Ed è un’ottima notizia

Le previsioni per il futuro prossimo venturo sono tutt’altro che rosee, eppure non tutti i mali vengono per nuocere: di fronte alla prevedibile sconfitta sul fronte della riduzione delle emissioni si dovrà per forza agire con nuove strategie eco-sociali. L’unica possibilità d’uscita dalla doppia crisi, climatica ed economica, sarà necessariamente un aumento della democrazia reale

 

 

Nel 1987 uno scienziato di nome Jim Hansen relazionò al Congresso Usa circa l’esistenza dei cambiamenti climatici e la comunità politica d’allora reagì immediatamente. Nel 1992 a Rio i grandi della Terra si riunirono per confutare l’allarme sullo stato del Pianeta e da quell’incontro prese il via il processo del Protocollo di Kyoto che nei primi anni andò a una velocità non indifferente, ma che naufragò nel 2009 con il salto dell’accordo sul clima di Copenhagen, di cui furono responsabili gli Stati Uniti guidati da Barack Obama. Quella è stata l’ultima fermata possibile. Già nel 2010 i ghiacciai della Groenlandia arretravano alla velocità di un chilometro l’anno, la quantità di CO2 era, come oggi, in costante aumento e i climatologi mondiali, a partire da Jim Hansen incominciarono a studiare i tipping point – i punti di non ritorno che riguardano fenomeni innescati dai cambiamenti climatici mai osservati prima nella storia dell’umanità.

James Hansen
L’astrofisico e climatologo James Hansen

Nel 2015 Parigi fu un timido tentativo di mettere una toppa al disastro di Copenhagen, ma il processo è debole e non funziona. E quattro anni dopo le uniche due nazioni allineate con l’Accordo di Parigi sono il Gambia e il Marocco.

La realtà è che la battaglia per il clima, sul fronte della mitigazione, ossia sulla riduzione delle emissioni è persa. Le stime sulla riduzione delle fonti fossili al 2040 secondo l’Agenzia Internazione dell’Energia divergono in maniera tangenziale da quelle sulla riduzione delle emissioni realizzate all’Ipcc.

E oggi, nel 2020, sono tre i numeri fondamentali, tutti negativi: 84%, la percentuale di energia prodotta da fonti fossili; 91% la percentuale di materie prime vergini non riciclate; 408,55 le parti per milione di CO2 nell’atmosfera. Tre numeri che  rappresentano il fallimento delle politiche climatiche, con il clima che nel frattempo incalza.

La temperatura media del Pianeta è aumentata del 0,9°C rispetto all’epoca preindustriale, dovrebbe essere contenuta entro gli 1,5°C al 2100 e nel 2035, questi ritmi avremo esaurito lo stock di CO2 per restare entro questo limite, mentre con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 andremo a 3,2°C. Al netto dei tipping point.

Insomma l’umanità assomiglia al maratoneta che al 39° chilometro pensa ancora di vincere nonostante sia in ultima posizione.

Lavoro a picco

E fino a qui le cattive notizie. La buona notizia è che di fronte alla sconfitta si dovrà per forza agire, e non solo sul fronte ecologico, ma soprattutto su quello sociale, creando un rapporto tra ecologia e sociale.

Sul fronte sociale, oltre la tempesta climatica, si sta abbattendo la crisi del lavoro, compreso quello legato alla forse nascente economia circolare. Il centro ricerche internazionale McKinsey, infatti, già da un paio d’anni vede una riduzione mondiale dei posti di lavoro al 2040 per oltre il 50% – a causa della robotica e dell’intelligenza artificiale, percentuale che in questi due anni è stata vista al rialzo.

E la soluzione non saranno né le rinnovabili ne l’economia circolare. Le rinnovabili, infatti, nell’improbabile ipotesi dello scenario 100% rinnovabili al 2050 produrranno 35 milioni di nuovi posti di lavoro a livello mondiale, mentre la forse nascente economia circolare sarà tutta basata su Industria 4.0, quindi a bassa intensità di lavoro.

E la salvezza non arriverà nemmeno dall’auto elettrica, l’unico vero mercato in ascesa visto che si dovranno sostituire 1,2 miliardi di “stufe mobili fossili”, ossia le auto endermiche. Le auto elettriche, infatti, sono a bassa intensità di lavoro, hanno una componentistica altamente standardizzata e sono realizzate con Industria 4.0. Risultato: già ora un colosso come Mercedes annuncia oltre 10.000 esuberi causa auto elettrica. E siamo solo all’inizio.

Quotazioni democratiche

E quindi, le buone notizie? La buona notizia è che un quadro composto dalle due estremità della tenaglia, l’ecologia con il clima e il sociale con il lavoro avranno due effetti. Il primo è rappresentato dalla reazione dal basso delle persone a queste due crisi che imporranno alla politica da un lato l’adozione di provvedimenti di adattamento climatico, oltre che quelle di mitigazione nelle quali le popolazioni sono scarsamente coinvolte, che saranno le più sentite, e diventeranno essenziali anche provvedimenti per la redistribuzione del reddito di fronte all’emorragia dei posti di lavoro.

L’adattamento climatico e la redistribuzione del reddito imporranno un aumento della spesa pubblica che a sua volta dovrà attingere dai redditi più alti, diminuendo la forchetta tra i redditi che oggi ha raggiunto i livelli precedenti alla prima guerra mondiale. E la politica democratica dovrà per forza adeguarsi, pena lo sviluppo esponenziale dei populismi.

Quindi sotto la spinta della doppia crisi a tenaglia, clima e lavoro, l’unica via d’uscita sarà un aumento della democrazia reale, intesa come difesa dagli effetti dei cambiamenti climatici, difesa del reddito e difesa dalla disuguaglianza.

Le crisi, sia quella ambientale che quella sociale, potranno quindi essere le leve che costringeranno la politica di oggi, subalterna al capitale, a occuparsi nel concreto e in primo luogo delle persone. E questa è un’ottima notizia. Poi ci si dovrà occupare della sostenibilità dei 2,5 miliardi di persone in più che al 2050 vivranno sul Pianeta.

Guarda l’allerta Onu sul cambiamento climatico

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Sergio Ferraris
Sergio Ferraris

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