Alluvione cambiamenti climatici

Cambiamenti climatici, a rischio tutta l’Italia

Riduzione delle risorse idriche, instabilità dei suoli, incendi boschivi, consumo di suolo e desertificazione, sono solo alcuni dei fattori di rischio che hanno interessato il bacino del Mediterraneo negli ultimi decenni. Un recente report della Fondazione Cmcc punta i riflettori sulla vulnerabilità dell’Italia al cambio del clima

La temperatura media globale osservata è oggi di circa 1°C superiore rispetto ai livelli dell’era preindustriale, e le conseguenze di questa variazione sono già tangibili. La maggiore intensità e frequenza di eventi meteorologici estremi, in aumento in tutto il mondo come mostra una mappa interattiva di Carbon Brief, è, purtroppo, solo un’avvisaglia di quello che accadrebbe se le temperature medie del pianeta continuassero a salire. Con un riscaldamento che supera del 20% l’incremento medio globale e un’accentuata riduzione delle precipitazioni, il bacino del Mediterraneo, culla della civiltà e centro nevralgico della biodiversità mondiale, è tra le aree più a rischio.

 

Il report della Fondazione Cmcc

Per poter pianificare azioni strategiche efficaci che mitighino gli impatti sul territorio, disporre di dati chiari è indispensabile oltreché vantaggioso. Per questo la Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Cmcc) ha elaborato il report Analisi del rischio – I cambiamenti climatici in Italia. L’analisi integrata è stata condotta sulla base di due possibili scenari climatici espressi in termini di concentrazioni di gas serra (Representative Concentration Pathways, Rcp): Rcp 8.5, che prevede una crescita delle emissioni ai ritmi attuali, e Rcp 2.6, per cui le emissioni di gas serra si avvicinano allo zero più o meno in 60 anni a partire da oggi.

Scenari di rischio

Nel primo scenario, quindi, si assume che l’umanità non adotti nessuna strategia di mitigazione per fronteggiare il cambio del clima con il risultato che, entro il 2100, le emissioni di CO2 triplichino o quadruplichino rispetto ai livelli dell’era preindustriale. Il secondo scenario, invece, prevede strategie di mitigazione “aggressive” che scongiurino un aumento della temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali oltre i 2°C. Un esempio pratico: i ricercatori della Fondazione Cmcc hanno dimostrato che se le concentrazioni di emissioni seguissero un andamento in accordo con questi due scenari, a fine secolo, in Italia, si avrebbe un incremento della temperatura media di circa 1°C per l’Rcp 2.6 e di ben 5°C per l’Rcp 8.5.

I ghiacciai e il livello del mare

Nel report viene poi affrontato il tema dei ghiacciai, altro tema caldo (letteralmente) legato ai cambiamenti climatici. «La Terra si sta scaldando – scrivono gli autori dell’analisi in relazione ad un rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) – e questo riscaldamento produce impatti indiscutibili sui ghiacciai terrestri, che si stanno gradualmente riducendo, e sull’oceano che si scalda molto più velocemente di quanto non sia accaduto in passato, con un conseguente innalzamento del livello del mare». Rispetto al periodo 1986-2005, il livello del mare alla fine del secolo, infatti, potrebbe aumentare di circa 0,43 m nello scenario di riduzione consistente delle emissioni (Rcp2.6) e di circa 0,84 m nello scenario ad alte emissioni (Rcp8.5).

L’Italia che rischia

Approfondendo poi la situazione in Italia, attraverso l’utilizzo di specifici indici, è emerso che la probabilità del rischio di eventi meteorologici estremi è aumentata del 9% negli ultimi vent’anni. In questo senso, il rischio di ondate di calore, alluvioni e siccità prolungate, inteso come interazione tra vulnerabilità, esposizione e pericolo, è in aumento in tutta la penisola. La visione stereotipata del divario Nord-Sud viene poi superata anche in termini di adattamento al cambio del clima. Il Nord, sebbene più ricco e sviluppato, non è immune agli impatti dei cambiamenti né è meglio preparato per affrontarli.

«Al contrario scrivono nel reportparte delle province meridionali potrebbero essere premiate dall’aumento della loro capacità di ripresa e della capacità di adattarsi ai cambiamenti climatici».

 

Settori critici

Infine, il rapporto si è concentrato su cinque settori particolarmente critici, nei quali gli impatti dei cambiamenti climatici sono aggravati da più cause: ambienti urbani, rischio idrogeologico, risorse idriche, agricoltura e incendi boschivi. Ad esempio, in tutte le città d’Italia, come diretta conseguenza dell’aumento delle temperature, si prevede un incremento della mortalità per diverse cause legate allo stress termico e un incremento delle malattie respiratorie dovuto al legame tra concentrazioni di inquinanti e temperatura. Un maggior scioglimento dei ghiacci e l’aumento di precipitazioni intense localizzate, contribuiranno poi ad esacerbare il già elevato rischio di dissesto idrogeologico del nostro paese. Inoltre, la produzione agricola, in particolare a causa della progressiva riduzione della disponibilità idrica, potrebbe essere compromessa in modo irreversibile. Per non parlare del comparto forestale, a rischio collasso a causa dell’incessante ed esponenziale aumento nella frequenza ed intensità di incendi boschivi.

Catastrofe economica e diseguaglianze

Uno scenario catastrofico, ovviamente, anche in termini economici: «Se l’aumento della temperatura rimanesse al di sotto dei 2°C rispetto al periodo preindustriale – spiegano gli autori – le perdite economiche per il Paese sarebbero ragionevolmente contenute, pur presentando costi comunque non trascurabili (circa lo 0,5% del PIL nazionale), mentre – proseguono – aumenterebbero in modo esponenziale in caso di livelli di temperatura più elevati, con perdite di PIL pro capite superiori al 2,5% nel 2050 e tra il 7-8% a fine secolo, considerando lo scenario climatico ad alte emissioni di gas serra e, di conseguenza, con cambiamenti climatici maggiori». Sottolineano poi che gli impatti economici negativi tenderebbero ad essere più elevati nelle aree relativamente più povere comportando così un progressivo aumento della disuguaglianza tra regioni.

 

 

La sfida, tra innovazione e nuovi modelli

È evidente che quella dei cambiamenti climatici è una sfida complessa che – come concludono nel report – potrà essere vinta solo

«sfruttando le risorse economiche disponibili con competenza e innovazione, attraverso nuovi modelli di produzione e di impresa e nuove modalità orientate ad una gestione sostenibile del territorio che devono necessariamente entrare a far parte del bagaglio di imprese ed enti pubblici, locali e nazionali».

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Simone Valeri
Simone Valeri
Laureato presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza" in Scienze Ambientali prima, e in Ecobiologia poi. Attualmente frequenta, presso la medesima università, il corso di Dottorato in Scienze Ecologiche. Divulgare, informare e sensibilizzare per creare consapevolezza ecologica: fermamente convinto che sia il modo migliore per intraprendere la via della sostenibilità. Per questo, e soprattutto per passione, inizia a collaborare con diverse testate giornalistiche del settore, senza rinunciare mai ai viaggi con lo zaino in spalla e alle escursioni tra mare e montagna

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