Antonello Pasini è fisico e climatologo del Cnr

Antonello Pasini è fisico e climatologo del Cnr

Coronavirus e cambiamento climatico hanno qualche punto in comune? Se sì, quale? Pur non potendo parlare di una relazione causa-effetto (le fake news al riguardo sui social non sono mancate) le conseguenze che derivano dai due fenomeni si possono descrivere tramite un’equazione simile. A evidenziarlo è Antonello Pasini, climatologo del Cnr nonché autore del volume “L’equazione dei disastri”, tramite un post via Facebook pubblicato nelle scorse ore. Lo abbiamo intervistato per capirne di più.

Professor Pasini, quale equazione lega cambiamento climatico e coronavirus?
Mi sembra chiaro che la dinamica dei due fenomeni presenti molte similitudini, al punto da poterne descrivere i rischi attraverso una stessa equazione, in cui la formula che esprime il rischio sulla popolazione dovuto ad eventi estremi di carattere meteo-climatico viene introdotta costruendo un’equazione che possa calcolare il rischio di contrarre un virus con le sue conseguenze. Di fatto, l’equazione è la stessa e anche le dinamiche dei due fenomeni sono molto simili. Ad esempio, in situazioni in cui sia i contagi, sia la temperatura globale del pianeta sono in crescita, le azioni per fermare queste ascese devono essere rapide e decise, perché i due sistemi hanno grandi inerzie. I risultati delle azioni che prendiamo per ridurre i contagi li vedremo tra 10 o 15 giorni, perché il coronavirus ha un lungo periodo di incubazione. Allo stesso modo, i risultati delle riduzioni di gas serra li potremo apprezzare tra 10 o 30 anni, perché l’anidride carbonica ha un lungo tempo di permanenza in atmosfera e noi assisteremo ancora alle conseguenze di quanto emesso negli ultimi decenni.

Alcuni rappresentanti dell'Ipcc
La reazione dell’opinione pubblica difronte agli allarmi sul cambiamento climatico è ben diversa rispetto a quella che deriva dal coronavirus. Eppure la curva dei rischi è molto simile


In entrambi i casi il ruolo della comunità scientifica è centrale. Però quali sono state le differenze nei due casi? Pensiamo, per esempio, alla risposta da parte dell’opinione pubblica, che ha avuto – e continua ad avere – due reazioni molto diverse. Cosa ne pensa?
È chiaro che se i calcoli del rischio sono molto simili, la sua percezione da parte della popolazione è molto diversa nei due casi. Da un lato c’è un timore immediato per la salute e la nostra stessa vita, dall’altro un rischio, forse anche più grande, ma che vediamo lontano nel tempo. La soluzione del problema coronavirus richiede probabilmente un cambiamento delle proprie abitudini solo per un periodo di emergenza limitato. Nel caso del cambiamento climatico si tratta di rivoluzionare un intero modello di sviluppo. La grande resistenza ai cambiamenti dell’animo umano, insieme ai tanti interessi che ci sono dietro l’attuale modello di sviluppo, non aiuta a raggiungere la soluzione del problema dei cambiamenti climatici. In questo senso, anche la risposta delle persone agli appelli degli scienziati sono state e sono molto diverse nei due casi.

 

Abbiamo visto come i politici temano la recessione, sia quando si parla di virus, sia – e ancora di più – quando si affronta il tema del riscaldamento globale. Ma davvero contenere gli effetti del cambiamento climatico significa fermare l’economia?
Ovviamente no. Lo si capisce bene dal preambolo dell’Accordo di Parigi, dove è scritto chiaramente che se vogliamo evitare i guai peggiori del cambiamento climatico dobbiamo far sì che la seconda parte di questo secolo sia ad emissioni nette di carbonio zero. Questo è ovviamente un messaggio fortissimo rivolto a politici, economisti e businessmen, in cui si fa capire che carbone, petrolio, gas naturale non hanno futuro. Se volete fare buisiness – si legge tra le righe – dovete farlo su qualcos’altro! Il capitale naturale deve entrare a pieno titolo nei discorsi economici e non solo per salvaguardare il clima ma le risorse, i beni comuni, la salute e il benessere di tutti gli abitanti del pianeta.

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Nel caos comunicativo di questi giorni sono circolate notizie su alcuni effetti collaterali della pandemia in corso: si sta osservando, nelle zone della Cina più colpite, ma anche nella nostra Pianura Padana, un miglioramento delle situazioni di inquinamento e una riduzione delle emissioni di CO2. Secondo lei è una buona notizia? Non rischia di diventare questo un elemento a favore di chi sostiene che il prezzo da pagare per la sostenibilità sia appunto la catastrofe economica?
Come accade spesso, i dati scientifici vengono letti e interpretati per supportare la propria visione del mondo o i propri interessi. Così è successo anche in questo caso da parte di chi vuole sostenere la tesi che vivere in un ambiente sano debba significare forzatamente ricadere nella povertà dell’era preindustriale. Ovviamente non è così: questa visione è figlia di una concezione di sfruttamento dell’ambiente, inteso come inerte e plasmabile a piacere, da parte dell’uomo. Oggi la scienza ci dice che, lungi dall’essere inerte, la natura ha una precisa dinamica che risponde alle nostre azioni, per cui l’unico modo corretto di rapportarsi con essa è quello di raccordare armonicamente la nostra dinamica con la sua. Impariamo dai cicli naturali: l’economia circolare, ad esempio, va su questa strada. E così pure l’abbandono dei combustibili fossili che ha perturbato il naturale ciclo del carbonio e con esso il clima della Terra. Una volta finita questa emergenza coronavirus, dovremo metterci seriamente ad affrontare il problema dei cambiamenti climatici, imparando da questi giorni cosa vuol dire essere uniti e solidali per il bene comune.

 

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Maurizio Bongioanni
Classe 1985, giornalista freelance. Ha collaborato e collabora con molte testate nazionali (L'Espresso, La Repubblica, Lifegate, Altreconomia e altre) su temi ambientali ma anche sociali. Laureato in Scienze della Comunicazione, lavora come project manager in A.I.C.A. (Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale). Autore di documentari indipendenti e musicista per passione.

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