Il seracco sulla Marmolada, in prossimità di Punta Rocca, distaccato a causa delle temperature troppo elevate (Foto: Corpo nazionale soccorso alpino)

Il seracco sulla Marmolada, in prossimità di Punta Rocca, distaccato a causa delle temperature troppo elevate (Foto: Corpo nazionale soccorso alpino)

Marmolada, la verità del giorno dopo

Ieri un’imponente valanga di ghiaccio e roccia sul massiccio delle Dolomiti ha travolto un gruppo di escursionisti, guide comprese. Ma da giorni le temperature sopra la media rappresentavano un campanello di allarme. E ancora una volta, grazie attraverso la tragedia, il clima finisce nel mainstream

Come al solito il giorno dopo è tutto chiaro. Stavolta tocca alla Marmolada, con il tragico crollo del seracco che è costato la vita a sei persone, in attesa di conoscere il destino delle altre decine che mancano all’appello, rivelare il punto cui siamo arrivati: fino a sabato, quando si era raggiunto il picco dei 10 gradi in vetta, il riscaldamento globale poteva attendere. Era soltanto un rilievo strumentale, una fredda (si fa per dire) cifra numerica destinata a cadere nel dimenticatoio. Forse l’ennesimo lamento di Cassandra.

Poi è capitata la tragedia a rendere spendibile quel dato, a trasformarlo in una storia.

Ben oltre la crisi idrica che pure era riuscita se non altro a portare la siccità, altro effetto di un male che si vuole ignorare, nel cosiddetto mainstream. E adesso quel morso campeggia nel cuore nella montagna, ci osserva quasi come l’occhio di Polifemo, con il suo atto di accusa. La verità conquista per qualche ora (vedrete, durerà poco, giusto il tempo di elaborare la fase critica) il primo piano:  certo, spiegano i giornali che si beano della transizione ecologica ammiccando ai ghiotti sponsor dell’economia verde, è stata un’imprudenza avventurarsi da quelle parti di questa stagione. Ma certamente, devono riconoscere, il calore anomalo degli ultimi mesi non ce lo stiamo sognando, qualche legame con quanto accaduto a Punta Rocca ce l’ha.

 

 

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Fioriscono nel frattempo le riprese della valanga di ghiaccio e roccia da ogni angolatura, nel segno di quel “climate porn” che un importante istituto di ricerca anglosassone aveva identificato svariati anni addietro. Si rincorrono gli esperti interpellati in fretta e furia per spiegare le cause, come se non fossero ormai facilmente intuibili. C’è chi va persino a farsi un giro con l’elicottero sopra le cime per spettacolarizzare l’inarrestabile arretramento dei ghiacciai, sei metri l’anno, come se il dato non fosse disponibile da tempo. Come se le istituzioni scientifiche ad ogni livello non avessero già certificato per filo e per segno questo andamento, direttamente proporzionale all’incremento del tenore di CO2 in atmosfera, provocato dallo sfruttamento delle fonti fossili in campo energetico. Compreso quel gas che adesso è divenuto strumento di guerra, più tutte le altre cause che conosciamo: un modello agroalimentare spietato verso il suolo, il clima e la salute, un sistema dei trasporti ancorato alla gomma e quant’altro ci portiamo appresso dal Novecento.

Vi ricordate la tempesta Vaia, sempre per restare sull’arco alpino?

Quant’è corta la memoria, sull’elicottero era salito il presidente Mattarella per portare lo sguardo del paese sopra una catastrofe del clima di segno diverso, provocata quella volta da venti sferzanti, senza precedenti in quei territori. Anche allora il racconto sul clima che cambia aveva tenuto banco, giusto il tempo di consumare la notizia.

 

Lo sguardo di Sergio Mattarella sulle foreste del Bellunese colpite dalla foresta Vaia, durante un sorvolo nel marzo 2019
Lo sguardo di Sergio Mattarella sulle foreste del Bellunese colpite dalla tempesta Vaia, durante un sorvolo nel marzo 2019 (Foto: Instagram/Quirinale)

 

Oggi, appunto, tocca alla Marmolada svolgere questo ruolo, con un cedimento che porta la firma dell’uomo non meno di quello, terribile, del Mottarone. Date uno sguardo al sito dell’Aeronautica militare, c’è una pagina, www.meteoam.it/pubpage/3/9, che contiene la risposta. Però sono numeri, fredde rappresentazioni grafiche. Chissà se quelli che stamattina riempiono i palinsesti e aggiornano le ultim’ora con il conto delle vittime le hanno mai viste.

Saperenetwork è...

Marco Fratoddi
Marco Fratoddi
Marco Fratoddi, giornalista professionista e formatore, è direttore responsabile di Sapereambiente, insegna Scrittura giornalistica al Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Cassino con un corso sulla semiotica della notizia ambientale e le applicazioni giornalistiche dei nuovi media dal quale è nato il magazine studentesco Cassinogreen. Partecipa come direttore artistico all'organizzazione del Festival della virtù civica di Casale Monferrato (Al). Ha diretto dal 2005 al 2016 “La Nuova Ecologia”, il mensile di Legambiente, dove si è occupato a lungo di educazione ambientale e associazionismo di bambini, è stato fino al 2021 caporedattore del magazine Agricolturabio.info e fino al 2019 Direttore editoriale dell’Istituto per l’ambiente e l’educazione Scholé futuro-Weec network di Torino. Ha contribuito a fondare la “Federazione italiana media ambientali” di cui è divenuto segretario generale nel 2014. Fa parte di “Stati generali dell’innovazione” dove segue in particolare le tematiche ambientali. Fra le sue pubblicazioni: Salto di medium. Dinamiche della comunicazione urbana nella tarda modernità (in “L’arte dello spettatore”, Franco Angeli, 2008), Bolletta zero (Editori riuniti, 2012), A-Ambiente (in Alfabeto Grillo, Mimesis, 2014).

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