Una classe in visita alla mostra "Terra: che sorpresa!" (Foto: Enrico Nicosia)

Un viaggio attraverso i segreti del nostro pianeta. È questa la missione del Museo Universitario di Scienze della Terra (Must). Il nuovo museo naturalistico della Sapienza – Università di Roma, ideato dai ricercatori per raccontare i meccanismi che regolano l’evoluzione del pianeta, svelare i minerali e le rocce che lo compongono e presentare le creature che lo abitavano milioni di anni fa. Un unico spazio dove conoscere le straordinarie collezioni di fossili, minerali e rocce della Sapienza, storicamente ospitate in tre distinti musei dell’Ateneo.

«Con oltre 4000 metri quadrati di esposizione, disposti su più piani, migliaia di reperti ed esperienze interattive, il Must sarà il più grande museo di Scienze della Terra del nostro paese e uno dei più importanti d’Europa»

dice Raffaele Sardella, docente di paleontologia e direttore del Museo. “Sarà” perché, per aprire i battenti in tutti i suoi spazi, al Must mancano ancora pochi passi. Intanto, l’esposizione temporanea “Terra: che sorpresa!”, offre un’anteprima di quello che sarà il nuovo museo delle Scienze della Terra, con decine di fossili, minerali e reperti geologici che già adesso raccontano le sorprese della storia del nostro pianeta.

 

Raffaele Sardella, paleontologo e direttore del Must
Raffaele Sardella, paleontologo e direttore del Must

Cristalli giganti, dinosauri, elefanti nani e simulazioni sismiche

Allestita in quello che sarà l’Atrium del nuovo museo, “Terra: che sorpresa!” mostra alcuni dei preziosi reperti che da anni i ricercatori della Sapienza raccolgono e custodiscono. Nella sala dei minerali, rare meteoriti, una delle quali proveniente da Marte, e giganti cristalli di quarzo, pirite e silicati danno il benvenuto ai visitatori. Fra pietre magnetiche ed esotiche rose del deserto, curiosi, appassionati e studenti di ogni grado possono incontrare, e in alcuni casi addirittura toccare, le rocce del pianeta, e scoprire come ognuna entra a far parte della nostra vita quotidiana.

Quali minerali vengono usati per produrre i dentifrici? Quali, invece, compongono le schede madri dei nostri, sempre più inseparabili, computer? Sono solo alcuni dei modi in cui le scienze della Terra hanno in qualche modo definito il nostro modo di abitare il pianeta.

Campione di quarzo ialino
Campione di quarzo ialino (Foto: Enrico Nicosia)

 

La vita pietrificata del passato, invece, è nella sala di paleontologia. Antichi invertebrati marini dalle forme convolute fanno da cornice ai resti del cranio di un mosasauro, rettile marino risalente al Cretacico superiore (circa 70 milioni di anni fa) con denti spessi e acuminati, e alle orme che alcuni dinosauri hanno lasciato nel nostro territorio. A rappresentare le creature estinte che film come Jurassic Park hanno reso famose è uno dei dinosauri forse più conosciuti: il Velociraptor. Agile predatore del Cretacico superiore, riprodotto da un calco nei minimi dettagli.

Dai fossili al mito

Imponente la riproduzione del cranio di mammut che sembra sorvegliare una delle perle paleontologiche della mostra: il Palaeoloxodon falconeri, l’elefante “nano” della Sicilia. Diffuso sull’isola del Mediterraneo intorno ai 500.000 anni fa, rappresenta il risultato di un meccanismo evolutivo noto in tutte le isole del mondo e definito endemismo insulare, secondo cui l’isolamento di alcuni luoghi della Terra innescherebbe con il tempo dei processi evolutivi in grado di guidare lo sviluppo di dimensioni anomale in alcuni animali. Mammiferi solitamente piccoli evolvono in grandi dimensioni, mentre animali che siamo abituati a vedere come “giganti” evolvono in forme più piccole. Nel caso del Palaeoloxodon falconeri, questi meccanismi evolutivi hanno prodotto in passato il più piccolo elefante mai esistito, alto appena un metro di altezza alla spalla.

 

Palaeoloxodon falconeri
Riproduzione virtuale di Palaeoloxodon falconeri (Foto: Enrico Nicosia)

 

«A questi animali, scoperti in Sicilia negli anni ’50, è associato il mito dei ciclopi» racconta Sardella. «Migliaia di anni fa, gli abitanti delle isole del sud Italia trovavano spesso, nelle grotte che abitavano, crani di grandi dimensioni con un foro tondeggiante al centro. Gli antichi interpretarono questi crani come i resti di umani giganteschi e con un solo occhio. I ciclopi della mitologia greca. Ora sappiamo che l’ampia apertura al centro del cranio serviva per la proboscide dell’elefante». Oltre all’esemplare esposto alla mostra temporanea, il Must ospita un’intera famiglia di questi leggendari elefanti. Simbolo degli intricati percorsi evolutivi della natura, entrati a far parte anche della nostra storia.

«Un esempio di come, all’interno del Museo, storiche leggende continuino in qualche modo a vivere e vengano spiegate con le corrette basi scientifiche», aggiunge Sardella.

Alle collezioni di fossili, minerali e rocce di “Terra: che sorpresa!” sono affiancati, infine, diorami interattivi che mostrano l’evoluzione del nostro pianeta, simulazioni sismiche con le quali conoscere i pericoli della Terra e i rischi dovuti al nostro modo di abitarla, ed esperienze di realtà aumentata per osservare come i processi geomorfologici modellino costantemente il paesaggio che ci circonda.

 

diorama raffigurante l'interno della terra secondo Kircher
Diorama raffigurante l’interno della terra secondo Kircher (Foto: Enrico Nicosia)

 

La ricerca si mette in mostra

Alla base di tutto questo c’è la ricerca e il rigore scientifico. Gli oltre 100.000 fossili, 35.000 minerali e 10.000 reperti geologici custoditi nei depositi della Sapienza, che verranno selezionati dagli esperti per gli allestimenti del Must, sono il risultato del lavoro condotto negli anni dai ricercatori. «La ricerca è il motore nascosto del museo», spiega Sardella. «Molti reperti sono frutto di studi del passato, mentre diverse ricerche attuali si basano sui reperti museali. È un legame stretto quello che unisce museologia e ricerca». Un esempio è la recente scoperta del lupo di Ponte Galeria, alle porte di Roma. Il più antico lupo d’Europa.

«Frammenti fossili di un cranio, indicato genericamente come Canis, erano custoditi nei depositi del museo. Unendo i saperi della paleontologia, che ci ha permesso di attribuire alla specie Canis lupus il reperto, e della geologia, con cui siamo riusciti a datarlo, abbiamo scoperto uno dei più antichi lupi conosciuti»,

racconta Sardella, che ha coordinato la ricerca. Nello studio, pubblicato su Scientific Reports, i paleontologi della Sapienza hanno scansionato i frammenti dell’antico cranio usando una tecnica di diagnostica per immagini basata sui raggi X, la tomografia assiale computerizzata (TAC). Hanno così ricostruito la struttura originale del reperto. Successivamente, l’analisi di un sedimento vulcanico – la piroclastite – che ricopriva i frammenti del fossile ha permesso di stabilire con precisione l’età del cranio. È così emerso che il lupo di Ponte Galeria risale a circa 400.000 anni fa, nel Pleistocene medio. Centomila anni prima dei più antichi lupi precedentemente conosciuti.

 

Tecniche di studio dei fossili
Tecniche di studio dei fossili (Foto: Enrico Nicosia)

«Sono reperti che descrivono gli ecosistemi dei nostri territori migliaia di anni fa. I resti del lupo di Ponte Galeria, come altri fossili che stiamo valutando, potrebbero trovare il loro spazio nel nuovo museo, mostrando a tutti le storie che hanno da raccontare», dice Sardella.

Un laboratorio per “farsi le ossa”

Il nuovo museo non sarà però solo un luogo dove curiosi e appassionati potranno incontrare le scienze della Terra. Secondo Sardella, «Il Must, con le sue collezioni, sarà un punto di riferimento per tutti i ricercatori che si occupano di scienze della Terra e, per favorire lo scambio di conoscenze, saranno previsti spazi per ospitare gli studiosi interessati ai nostri campioni». Un centro di ricerca internazionale quindi e, al tempo stesso, un “laboratorio” per gli studenti dell’Ateneo.

«Con la supervisione dei ricercatori più esperti, gli studenti di paleontologia, mineralogia e geologia avranno un contatto diretto con i reperti delle loro discipline, anche gli studenti di restauro potranno crescere in questi spazi e aiutarci a preservare le collezioni».

Il restauro rappresenta infatti una componente scientifica vitale per le realtà museali, in grado di cambiare le sorti di un reperto. «In passato si tendeva a nascondere la parte restaurata dei reperti fossili. Adesso, invece, il restauro viene dichiarato, evidenziando ciò che è originale e ciò che è frutto di interventi altamente specializzati. Questo è un vantaggio anche per la ricerca, che evita così di prendere in considerazione caratteri diagnostici errati», spiega il paleontologo, sottolineando quanto sia preziosa la collaborazione fra restauratori e ricercatori di scienze della Terra.

 

Riproduzione di un velociraptor
Riproduzione di un velociraptor (Foto: Enrico Nicosia)

 

Al momento in cui tutto questo sarà in funzione a pieno regime manca poco, i lavori sono in corso. «Anche durante la pandemia, quando tutto era fermo, il Museo viveva. È stato un momento fondamentale per restaurare i reperti che avranno la loro nuova casa negli spazi del Must», racconta Sardella. Intanto, però, diverse iniziative e mostre temporanee anticipano l’apertura definitiva del Museo. «Oltre a ‘Terra: che sorpresa!’, diversi eventi aperti a tutti accompagneranno l’inaugurazione del Museo. In primavera, per esempio, ospiteremo i resti dell’elefante di colle Velia (ora esposti ai Mercati di Traiano, ndr). Uno dei mastodontici esemplari che abitavano migliaia di anni fa l’area di Roma e che danno un’idea di quante sorprese riservi il ricco passato naturalistico del nostro territorio».

Saperenetwork è...

Enrico Nicosia
Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare

Sapereambiente

Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!


Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella di posta per confermare l'iscrizione

 Privacy policy


Parliamone ;-)