Nel centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, il libro di Dacia Maraini ne racconta l'umanità (Foto: Flickr)

Caro Pier Paolo. Il legame, oltre il tempo e la morte, tra Pasolini e Dacia Maraini

Il libro epistolare di Dacia Maraini racconta la sua amicizia senza tempo con un poeta silenzioso e severo, dallo sguardo non solo acuto e polemico ma anche dolce e disperato verso il mondo. Che non ha mai rinunciato a vivere le proprie idee

Copertina Caro Pier Paolo
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Odiato, amato, spesso frainteso. Pier Paolo Pasolini è stato uno degli intellettuali più eclettici del Novecento. I suoi interventi polemici, le sue produzioni letterarie e cinematografiche scandalose per i benpensanti, lo hanno reso una voce autentica e isolata rispetto all’intellighenzia del suo tempo. Una personalità con la quale ancora oggi dobbiamo confrontarci e fare i conti. Una vita con molti coni d’ombra. Come la sua morte, avvenuta nella notte tra il 1° e il 2 Novembre del 1975 all’Idroscalo di Ostia. Uno dei grandi misteri del nostro Paese.

Di Pier Paolo Pasolini se ne parla tanto, troppo. In ambienti accademici, fra studiosi, nella politica: tirato per la giacca a destra e a sinistra. Ci si interroga sulla rabbia dello scrittore verso il potere manipolatore di corpi, sull’attualità del nuovo fascismo della società dei consumi, sull’omologazione della società italiana.

Ma Pasolini non è stato soltanto un intellettuale polemico. Chi lo aveva conosciuto lo ricorda piuttosto come uomo che ha amato visceralmente la vita. Quella che non può fare a meno della forza dei sentimenti, del rapporto diretto con la natura, al di là della comodità del vivere. Esigenze che ha saputo ben descrivere Dacia Maraini nel suo libro epistolare Caro Pier Paolo (Neri Pozza, 2022). Nelle intense e raffinate pagine, la scrittrice rivive attraverso un sogno, infatti, la loro amicizia fatta di poesie, profumi, grazia, malinconia.

 

Dacia Maraini
La scrittrice Dacia Maraini (Foto: Wikimedia Commons)

 

Ci fa conoscere un poeta silenzioso e severo con uno sguardo dolce e disperato verso il mondo. Racconta i momenti vissuti insieme a Alberto Moravia, Maria Callas, Elsa Morante, Laura Betti. I viaggi in Africa e in India, i dialoghi sulla nuova lotta di classe che stava esplodendo alla fine degli anni Sessanta, sull’aborto e l’avvento della televisione. Il rapporto simbiotico con la madre Susanna, ritrovato poi nei ragazzi di vita delle borgate romane: ultimo brandello di una civiltà arcaica, contadina, costretta a subire gli effetti dell’ideologia edonistico-consumistica e del tecno-capitalismo che ha fatto scomparire le lucciole.

E poi l’individualismo anarchico che lo induceva a sospettare di ogni forma di associazionismo. Costringendolo a sopportare una disperata solitudine. La scrittrice delinea i tratti più intimi di Pasolini: un romanziere scomodo che dietro la ferocia della scrittura sembrava volesse lasciare anche le tracce del suo tragico destino.

«Tu lo sai bene, avendo ricevuto più di ottanta denunce. Tutte violente, ingiuste, persecutorie. Accusato di oscenità, di offesa alla religione, di perversione, di corruzione di minorenni. Io stessa ne ho avute diverse, per oscenità, per offesa alla religione, una volta per avere detto che Bagheria era una città mafiosa – si legge in una lettera – Siamo sempre stati assolti, ma quante noie e quante spese per gli avvocati, per le carte, per i dibattimenti che venivano continuamente rimandati. Ti ricordi quella volta che siamo apparsi tutti e due sulla copertina del Borghese col titolo urlato di “Scrittori Pornografi”? A quel punto non era più la censura di Stato ma un intero Paese, o per lo meno quella parte, la più ipocrita e aggressiva, che se la prendeva con te e la tua meravigliosa arte della provocazione».

 

 

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Un intellettuale bistrattato, quindi, che ha scelto gli ultimi. Un Cristo laico contro l’Italia democristiana e imborghesita. Scrive ancora Maraini: «Più dell’aristocrazia ormai perdente e in via di estinzione, più della potenza industriale, che ti era naturalmente nemica ma che consideravi lontana e sconosciuta, il piccolo-borghese, che indicavi come il sangue che scorre nelle vene del Paese, ti era odioso e lo pensavi spregevole». E così diventa più chiaro il motivo della difesa dei poliziotti (sottoproletari vestiti da pagliacci) durante gli scontri a Valle Giulia nel ‘68, nella poesia pubblicata sull’Espresso. O il perché della lettera pubblicata il 14 Novembre del 1974 sul Corriere della Sera: Cos’è questo golpe? Io so.

Un odio di classe che si univa all’antifascismo maturato attraverso le letture di Rimbaud (il meno politico dei poeti francesi), il decadentismo, il simbolismo e soltanto più tardi, con la maturità, dalla lettura dei testi di Karl Marx e Antonio Gramsci.

Un antifascismo – non di maniera – che è stato per lo scrittore il punto di riferimento culturale per affrontare e denunciare le ipocrisie della società del suo tempo e del potere senza volto. Lo stesso potere che è in grado di corrompere, escludere o uccidere ogni oppositore. Sono trascorsi cento anni dalla nascita di Pasolini, e Dacia Maraini ci invita a ricordarlo come un poeta che non ha rinunciato a vivere le proprie idee.

 

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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