Il nuovo stadio di Tirana (Foto: Marina Maffei)

Correva l’anno 1991 quando l’Italia scoprì, all’improvviso, di essere diventata l’America di qualcun altro. In quella torrida estate, l’arrivo nel porto di Bari della nave Vlora, stipata all’inverosimile di giovani uomini in fuga dall’Albania, ebbe l’effetto di una apparizione, che a più di trent’anni di distanza è ancora viva nell’immaginario collettivo. L’episodio segnò l’inizio dell’esodo di massa da un paese di cui, all’epoca, si sapeva molto poco, benché Albania e Italia fossero state nella prima metà del Novecento in rapporti stretti, essendo stata la prima sotto la tutela della seconda ai tempi del fascismo per poi essere addirittura invasa per ordine di Mussolini nel 1939.

 

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Immigranti albanesi della nave Vlora, Bari 8 agosto 1991 (Foto: Luca Turi, Wikimedia Commons)

 

Se le tracce di quel legame sono visibili nell’architettura razionalista che caratterizza tuttora alcune aree di Tirana, la seconda guerra mondiale e la successiva presa di potere da parte del regime comunista crearono una cesura progressiva tra l’Albania e il resto del mondo, durata fino agli anni di instabilità seguiti alla morte del dittatore Enver Hoxha e alla forte ondata migratoria dei primi anni novanta. Oggi l’Albania, forte delle rimesse che gli emigrati spediscono a casa (sono circa 630 mila gli albanesi che vivono nella sola Italia), sta cercando, talvolta con fatica e non senza qualche contraddizione, di costruire il proprio futuro.

Dal 2014 ha intanto ottenuto lo status di paese candidato all’adesione all’Unione Europea, con la quale si è tenuta la prima conferenza intergovernativa nel luglio dello scorso anno.

Pur nella vicinanza geografica, un viaggio in Albania offre quindi la possibilità di addentrarsi in un paese dai lati ancora poco conosciuti, entrando a contatto con una straordinaria avventura iniziata al tempo degli Illiri e proseguita con le civiltà greca, romana, bizantina e ottomana.

Una capitale tra Occidente e Oriente

Punto di partenza di ogni viaggio in Albania è Tirana, che accoglie un terzo dei suoi abitanti. Se fino a pochi lustri fa era un agglomerato di bassi caseggiati, che ne rispecchiavano le origini contadine e ora quasi del tutto scomparsi, oggi pullula di cantieri che ne hanno completamente cambiato il volto. Resistono alcuni simboli dell’epoca comunista.

 

Tirana_Postbllok Memorial
Tirana, Postbllok Memorial (Foto: Marina Maffei)

 

Su tutti, la casa di Hoxha, un modesto palazzotto a pochi passi dalla piazza principale dedicata all’eroe nazionale Skanderberg e su cui affaccia il Museo Archeologico Nazionale, il mausoleo celebrativo a forma di piramide dedicato al dittatore e in attesa di nuova destinazione, il Postbllok Memorial, suggestiva installazione artistica dello scrittore Fatos Lubonja e dell’artista Ardian Isufi che inaugurato nel 2013 sul viale Dëshmorët e Kombit ricorda le atrocità della Repubblica Socialista Popolare d’Albania. Il Postbllok Memorial comprende tre parti: le travi di cemento che provengono dalla prigione di Spaç, dove Lubonja è stato imprigionato, un pezzo del muro di Berlino, una porzione di un bunker.

 

Tirana_i palazzi colorati
Tirana, i palazzi colorati (Foto: Marina Maffei)

 

Proprio i bunker sono uno dei segni più tangibili del regime che, ossessionato dal timore del nemico – l’Albania si considerava come l’unico Stato marxista-leninista rimasto e per questo si isolò progressivamente –, ne fece costruire un numero imprecisato (qualcuno ipotizza addirittura 300 mila bunker). Meta di visita a Tirana sono infine i murales e le decorazioni grafiche che hanno ridato vita con il colore ai grigi palazzi di alcuni quartieri. L’idea venne a Edi Rama, attuale primo ministro, che li fece realizzare dagli studenti dell’Accademia con l’obiettivo di riqualificare la città e il panorama urbano.

Alle radici dell’identità nazionale

Oggi Tirana è una città in trasformazione, con un’alta presenza di giovani, molti locali e un appeal europeo con un pizzico d’oriente. Chi è in cerca delle radici dell’identità nazionale albanese deve immergersi nella regione, visitando i piccoli villaggi che celano vecchie chiese ortodosse e moschee dal fascino mistico e toccando città come Berat, Gjirokastër e Scutari.

 

Berat, Albania
Berat (Foto: Marina Maffei)

 

Berat, nel centro sud, è ricca di monumenti, dal castello fino ai palazzi di colore chiaro, di gusto ottomano, con centinaia di finestre come tanti occhi spalancati che osservano la valle attraversata dal fiume Osum. Poco più a sud, Gjirokastër è dominata da una fortezza che sovrasta la vallata fra i monti Mali i Gjerë e il fiume Drino e protegge la teoria di tetti e abitazioni antiche incluse tra i patrimoni dell’umanità dall’Unesco. A nord, Scutari, sull’omonimo lago, è considerata la culla della cultura albanese. Per circa un secolo, tra la fine del 1300 e la fine del 1400, la città cadde sotto il comando di Venezia per poi passare sotto il dominio ottomano.

 

Gjirokastër
Gjirokastër (Foto: Marina Maffei)

 

Se passeggiando nei vicoli di Berat, Gjirokastër e Scutari il passato sussurra, è però ad Apollonia, Butrinto, Byllis e Antigonea che afferra per braccio il viaggiatore. Nell’età del Ferro il territorio montuoso dell’Albania era occupato da tribù di etnia illirica, mentre il litorale marittimo e il suo entroterra erano stati oggetto di una lenta colonizzazione da parte dei Greci. Secondo gran parte degli archeologi, i progenitori degli attuali albanesi sarebbero quindi le antichissime tribù illiriche che da tempo immemorabile popolavano la regione. La storia del paese venne poi inevitabilmente influenzata dall’incontro tra oriente e occidente e tra area di lingua latina e area di lingua greca. Non a caso, due grandi scontri come la guerra tra Cesare e Pompeo e quella tra Ottaviano, Antonio e Cleopatra si svolsero nel mare di fronte alla costa albanese.

 

Byllis
Byllis (Foto: Marina Maffei)

 

Tra i principali siti archeologici, le colonie greche di Apollonia e Butrinto e le rovine ellenistiche di Byllis e Antigonea sono un mondo che si disvela lentamente. In tutti e quatto i siti, gli scavi hanno rivelato solo una parte dello straordinario patrimonio preservato dallo scorrere del tempo.
Per farli conoscere, l’archeologo Sandro Caranzano, che dal 2011 al 2018 ha diretto la Missione Archeologica italiana in Albania presso il sito e la necropoli rupestre di Selca, propone viaggi mirati in collaborazione con il giornalista Benko Gjata.  Gjata in Italia presiede il Centro di Cultura Albanese.

 

Butrinto
Butrinto (Foto: Marina Maffei)

 

«Abbiamo messo in rete – spiega Benko Gjata – ventiquattro micro e piccole imprese artigianali per una proposta complessiva di oltre centotrenta prodotti nei settori agroalimentare, della cosmesi, del tessile e dell’artigianato. Sono tutte realtà nel nord del Paese, nelle province di Malësia e Madhe e di Zadrima, in un’area che va dalle rive dei laghi di Scutari e di Vau i Dejes alle Alpi albanesi». Il progetto, finanziato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Agenzia delle Nazioni Unite per le Migrazioni, con donatore l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, coinvolge attivamente la diaspora albanese in Italia e ha tra gli obiettivi anche la promozione del turismo.

 

Benko Gjata

«La nostra costa, anche per una questione di convenienza economica, attrae molti turisti. Ma abbiamo molto di più da offrire».

conferma Gjata, autore con Francesco Vietti anche di una guida edita da Morellini Editore. Un mix di cultura, tradizione, enogastronomia e storia di cui è vessillo la xhubleta, il costume femminile tradizionale albanese che si ritiene abbia più di 4000 anni e che l’Unesco ha deciso di preservare.

 

Immagine del 19esimo secolo di donna albanese che indossa la xhubleta
Immagine del 19esimo secolo di donna albanese che indossa la xhubleta (Foto: Wikipedia)

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Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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