persone in un museo

Anche un museo può diventare promotore di sostenibilità, secondo il XIII rapporto dell'Associazione Civita (Foto: Ahsen, Pexels)

Cultura e sostenibilità, l’importanza di evidenziare le buone pratiche

ll rapporto dell’Associazione Civita , giunto alla sua tredicesima edizione, è dedicato agli attori della filiera culturale. Vale a dire a istituzioni, imprese ed enti profit che sperimentano e promuovono l’ambiente, le comunità e i territori

Quali sono le attitudini delle imprese italiane, e i loro interventi, verso il settore della cultura? Negli ultimi anni l’Associazione Civita ha monitorato i comportamenti delle aziende nostrane e ha individuato cambiamenti e tendenze orientati a un modello di business attento ad ambiente e patrimonio culturale.

L’Associazione Civita lavora per la valorizzazione del patrimonio sia ambientale che culturale del nostro Paese e attua attività di ricerca che puntano a far incontrare in maniera innovativa tali settori con quello economico. Il XIII Rapporto elaborato da Civita “Quando la cultura incontra la sostenibilità” e presentato lo scorso luglio, è un interessantissimo spunto di riflessione per tutte le organizzazioni culturali italiane che ambiscono a sperimentare nuove pratiche di sostenibilità.

 

 

«L’Italia, con il suo immenso patrimonio di arte e cultura, costituisce un terreno straordinario per la sperimentazione di nuove pratiche di sostenibilità all’insegna del fattore culturale», inizia il rapporto. E se pensiamo agli Obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu che richiedono a tutte le imprese, compresi i musei, di lavorare ai fini di una diffusa sensibilizzazione all’ambiente, alle comunità e ai territori, l’Italia potrebbe effettivamente essere il fiore all’occhiello sia della “cultura della sostenibilità” che della “sostenibilità della cultura”.

I vantaggi aziendali nell’intraprendere strade sostenibili

Stando al rapporto, tra i vantaggi aziendali a medio/lungo termine riscontrati nell’apportare un cambiamento valoriale, troviamo il potenziamento del capitale reputazionale, l’attrazione di risorse professionali qualificate, l’abilitazione di processi open innovation e la capacità di affrontare efficacemente i cambiamenti repentini. Il tessuto produttivo italiano, inoltre, essendo caratterizzato da un’economia diffusa di piccole e medie imprese, sta vedendo una costante crescita di realtà che si applicano proprio in direzione di una più società aperta, plurale, sostenibile e inclusiva.

Le esperienze più significative monitorate lasciano intendere come le politiche innovative di sostenibilità, grazie alle quali la cultura ha contribuito a creare collaborazioni tra soggetti pubblici, privati, profit e non profit, non siano improntate solo verso il networking ma anche verso nuove forme di advocacy.

 

Per indagare questi aspetti, Civita ha portato avanti una doppia survey tra il 2021 e il 2022. La prima ha riguardato imprese che appartengono alla sua realtà associativa e la seconda – in collaborazione con l’Associazione Nativa – ha valutato un campione di B Corp e Società Benefit italiane.

In sintesi, la ricerca ha evidenziato che «Le iniziative realizzate negli ultimi anni si concentrano prevalentemente in area sociale (93%), seguita dalla formazione (84%) e dalla cultura (79%). Quest’ultimo ambito, come prevedibile, risulta strategico in particolare per le imprese associate a Civita, fra le quali raggiunge l’88% delle scelte. Per quanto concerne l’adesione ai 17 SDGs dell’Agenda 2030, sei sono gli Obiettivi che ottengono complessivamente oltre il 50% delle attribuzioni: Goal 8 – Lavoro dignitoso e crescita economica (71%); Goal 13 – Lotta al cambiamento climatico (70%); Goal 12 – Consumo e produzione responsabili (65%); Goal 9 – Imprese, innovazione e infrastrutture (59%); Goal 4 – Istruzione di qualità (55%); Goal 11 – Città e comunità sostenibili (54%)».

 

Società Benefit e B Corp

Come ben spiegato in “Quando la cultura incontra la sostenibilità”, ad oggi il terzo settore sta vivendo una totale evoluzione. Associazioni, fondazioni, organizzazioni non lucrative, imprese sociali e cooperative non possono essere più viste solamente come centri di imputazione di situazioni giuridiche ma come nuovi strumenti per incentivare delle attività benefiche, diventando attori preponderanti in campo sia sociale che economico. Proprio per questo si comincia a parlare piuttosto di quarto settore: «l’idea cioè che almeno alcuni di quei corpi intermedi nati e cresciuti per lo svolgimento di finalità lucrative (…) debbano farsi altresì carico della considerazione degli interessi collettivi e dei fini sociali». Parliamo di attività che hanno una visione ben più profonda e che sintetizzano i tre settori già esistenti.

Pertanto «il privato diventa fautore dell’economia sostenibile, il non profit si organizza con impostazioni imprenditoriali e il pubblico apre alla sussidiarietà».

Queste attività in Italia vengono definite Società Benefit grazie alla legge di Stabilità 2016 (L. 28 dicembre 2015, n. 208) e rappresentano, quindi, un modello imprenditoriale virtuoso e trasparente. Le B Corp, invece, sono quelle imprese che hanno ottenuto la certificazione dell’ente non profit B Lab. Questo verifica quanto effettivamente un’azienda lavori secondo i più alti standard di performance sociale e ambientale. La certificazione B Corp è riconosciuta a livello giuridico e legale come una Società Benefit a tutti gli effetti.

 

Musei promotori di sviluppo sostenibile

Nella seconda parte del rapporto vengono illustrati moltissimi esempi virtuosi di imprese che hanno fatto proprio il valore della cultura sostenibile e, facendo anche rete con il settore propriamente culturale, hanno creato solide realtà che incentivano il suddetto valore senza cadere nel Greenwashing. Un esempio? L’esperienza di A&A Studio Legale che, oltre a ridurre l’utilizzo di plastica sul luogo di lavoro, ospita ogni anno l’eco-rassegna “Della natura e dell’arte”.

Non solo Società Benefit che fanno rete con il settore culturale. Anche il settore stesso deve e può fare la sua parte per promuovere valori sostenibili. È tempo, quindi, di porre fine a quello che Gosh chiamava “La grande cecità” e che la cultura, in virtù del suo potere educativo, si faccia carico di promuovere la sostenibilità.

Secondo un’ulteriore ricerca condotta da Civita «un terzo degli intervistati considera la dimensione ambientale come uno dei criteri di scelta nella decisione di visitare o meno un museo. Il verde, dunque, diventa un elemento potenzialmente distintivo nell’immagine di un museo». E cosa deve fare un museo per considerarsi promotore di sviluppo sostenibile? Stando al rapporto, «per un museo, parlare di sviluppo sostenibile implica la necessità di riferirsi a tre sue diverse dimensioni – ambientale, sociale ed economica – che risultano ancorate a tre macro-obiettivi di fondo: contenere o arrestare il degrado ambientale, frenare l’impoverimento delle generazioni future e rendere migliore la qualità della vita e l’equità fra le attuali generazioni».

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Elisa Rossi
Laureata in Media, comunicazione digitale e giornalismo e in Comunicazione pubblica e d’impresa presso l’Università La Sapienza di Roma, sin da bambina sogna di diventare giornalista. Tra ruoli da web content writer e copywriter ha collaborato e collabora con alcuni siti di informazione online parlando di cultura e viaggi. Appassionata anche di tematiche ambientali e sociali, crede fermamente che cercare, raccontare e condividere storie sia una delle chiavi di miglioramento per una società civile. Ama esplorare nuovi luoghi e si sente a casa quando passeggia e poi si ferma a leggere a stretto contatto con la natura.

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