La Madonna d'Alba di Raffaello

La Madonna d'Alba di Raffaello (1510)

Se si domanda: a cosa pensi quando senti la parola Raffaello? La maggior parte di noi menzionerà i ritratti, le Madonne con il bambino o gli affreschi allegorici, tutte opere che hanno reso famoso il maestro urbinate, cui è dedicata la mostra che riapre domani alle Scuderie del Quirinale. Molto spesso l’occhio umano, e di conseguenza la nostra memoria visiva, percepisce le figure o gli oggetti in primo piano perché hanno una proporzione più grande rispetto al resto dell’opera.

Tuttavia, se con più attenzione pensiamo a uno dei lavori di Raffaello, possiamo vedere che dietro a queste figure ci sono dei paesaggi, dei paesaggi riprodotti tanto fedelmente da poterli considerare quasi delle fotografie.

 

 

Scenario verosimile

Paragonare una veduta pittorica a una fotografia è come paragonare un libro al film da cui è tratto, anche se non sempre questo accostamento risulta dispregiativo. Ciò nonostante, la maniera con cui il pittore urbinate dipinse questi paesaggi sembra proprio precedere l’invenzione fotografica o per lo meno il dipingere “en plen air”. La natura rappresentata da Raffaello non è affatto romantica, i suoi studi classici lo guidano ad una sempre più attenta verosimiglianza dello scenario. Case, colline, alberi e laghi sono sospesi tra il cielo e la terra declinati rispettivamente nell’azzurro e nel verde. Il soggiorno del maestro a Perugia, fra il 1502 e il 1505, fu di grande ispirazione per tutti i suoi paesaggi. Le vedute, sempre dolci e oniriche come le colline umbre – a differenza di Leonardo con le sue aspre montagne – hanno conferito alle sue opere la perfetta grazia tra i suoi personaggi e l’ambiente a loro circostante.

 

 

Il paesaggio urbano e naturale della “Madonna del Belvedere” (1506) è molto verosimile al luogo d’ispirazione, vale a dire il lago Trasimeno, veduta che ritornerà anche ne “Il Sogno del cavaliere”. La suggestione così evocativa è data dalla prospettiva aerea, rappresentazione ideata da Leonardo da Vinci per infondere negli spazi naturali una maggior profondità realistica.

Osservando ad occhio nudo un paesaggio, ci si accorge di come l’aria che s’interpone tra l’osservatore e l’oggetto in lontananza tende a modificarne la visione, l’oggetto risulta sempre più chiaro, più sfumato nella profondità.

Quest’atmosfera sognante è data dal continuo mescolarsi dei toni del verde della terra in primo piano con quelli dell’azzurro del cielo, come se fosse un acquarello. Le ridotte dimensioni de “Il Sogno del Cavaliere” (1504), appena 17 per 17 centimetri, hanno forse conferito all’opera un’aria molto più nordica, se non addirittura fiamminga per la minuziosità dei dettagli. La spontaneità del paesaggio rimane però invariata: il delicato equilibrio di linee e piani fa emergere le armoniose colline che quasi emulano la stessa inclinazione del cavaliere dormiente. Tutto il dipinto, apparentemente semplice, trasuda quindi di una classicità assai studiata e ricercata.

 

Guarda il video di Marzia Faietti sullo stile pittorico di Raffaello

Custode di cultura

Ma un ruolo importante Raffaello lo svolse anche nella conservazione del patrimonio umano, in particolare quello dell’arte classica. La sua morte a Roma, il 6 aprile 1520, fu un evento clamoroso perché insieme al lui scomparve non solo il suo ideale di classicità ma l’intera città in cui si era trasferito nel 1509 su chiamata di papa Giulio II, il fondatore dei Musei Vaticani. Quella Roma che aveva visto in lui la possibilità di emulare i grandi fasti della città antica attraverso una “Renovatio urbis” ben diversa dalle precedenti. I pontefici, infatti, avevano mirato soprattutto a creare opere grandiose che permettessero alla città e a loro stessi di risplendere in eterno. Una fra tutte la rinascita a cui diede avvio il pontefice Sisto IV, che chiamando a raccolta i migliori artisti del momento, associò il suo nome a quella che è oggi la cappella più famosa al mondo, la Sistina appunto.

Guarda il video di Anna Lisa Genovese sulla morte di Raffaello 

 

La “Renovatio” che aveva in mente Raffaello però era lontana da questi modelli. La sua idea, infatti, fu innanzitutto quella di salvaguardare i monumenti e le opere antiche. Rinnovare per lui era quasi un ossimoro, significava custodire il passato. Il pittore urbinate si può considerare perciò un precursore dell’odierna tutela dei beni culturali. Alla base vi è sì la consapevolezza dell’immenso valore che custodiscono le opere ereditate dagli antichi ma anche il suo smisurato amore d’artista verso queste, come dimostra tutto il suo lavoro: dalla “Stufetta del cardinal Bibbiena”, alle logge dipinte a grottesche alla maniera della Domus Aurea, al celeberrimo affresco della “Scuola di Atene”.

 

Roma da salvare

Ma più che la pittura fu l’architettura ad essere la protagonista di questo legame. Nel 1514, infatti, Raffaello diviene sovrintendente della fabbrica di San Pietro, dopo la morte del Bramante, e nell’anno successivo commissario delle antichità. Studia inoltre la teoria dell’architettura, i testi antichi fra cui quelli di Vitruvio. E nell’Incendio di Borgo”, all’interno dell’omonima stanza vaticana, ci pone davanti ad un eclettismo architettonico dato da templi dorici e corinzi, serliane cinquecentesche e facciate medievali.

 

 

La sua concreta adorazione per le vestigia dell’antichità presenti nell’Urbe si concretizzerà nel suo ambizioso progetto di rilevare e ricostruire graficamente l’intera città imperiale. Nel realizzare questo suo desiderio, Raffaello studiò la perfetta combinazione tra rilievo, disegno architettonico e studio delle fonti individuando le stratificazioni e cercando di riedificare le forme di quegli edifici ormai andati in rovina. Utilizza le proiezioni ortogonali e associa alla pianta e al prospetto, già usati da Leon Battista Alberti, la sezione, che permette così di rappresentare simultaneamente l’esterno e l’interno di un edificio. Inoltre, sperimenta la bussola da rilevamento grazie alla quale riporta in pianta le inclinazioni delle pareti. Circa la prospettiva, che tiene sempre in considerazione nelle sue opere pittoriche, ne scoraggia l’uso nel disegno tecnico a causa delle dimensioni falsate. Scriveva infatti nella lettera a Leone X del 1519, redatta insieme all’amico letterato Baldassare Castiglione:

«Perché lo architecto, dalla linea diminuita, non può pigliare alcuna giusta misura, el che è necessario a tal artificio, che ricerca tutte le misure perfette in facto, e tirate con linee parallele, non con quelle che paiono, e non sono».

 

Leone X con i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi, di Raffaello (1518)
Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, di Raffaello (1518)

 

Tuttavia, ne dichiara la validità solo nel caso si volesse avere una rappresentazione d’insieme o mostrare i progetti a persone non del settore. Raffaello enuncia così con grande chiarezza, all’insegna della nuova “cultura della rinascita”, il senso culturale di questo suo lavoro: ricucire lo strappo sempre più grande tra mondo antico e mondo contemporaneo. Ed è qui, proprio in questa lettera, che emerge con tutta la sua forza una necessità di tutela ante litteram, attraverso la condanna dei comportamenti che hanno portato al disfacimento della Roma di un tempo:

«Quanti Pontefici, Padre Santissimo […] hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato che solamente per pigliar terra pozzolana si sieno scavati dei fondamenti, onde in poco tempo poi gli edifici sono venuti a terra! Quanta calce si è fatta di statue e d’altri ornamenti antichi! che ardirei dire che tutta questa Roma nuova che ora si vede […] tutta è fabricata di calce e marmi antichi».

 

Maestro contemporaneo

Dunque la responsabilità non risiede esclusivamente nelle invasioni barbariche ma nell’incuria di quanti, compresi i pontefici, hanno sottovalutato l’importanza del lascito antico per farne poi cava di materiali. E non a caso la sua ultima volontà fu quella di essere sepolto nel Pantheon, simbolo del suo monumentale amore verso l’architettura dei padri del passato. La sua tomba è la dichiarazione assoluta del suo vivere secondo i dettami classici, come testimonia il suo epitaffio redatto da Pietro Bembo:

«Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori». Ovvero: Qui giace Raffaello, da lui quando visse la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto teme di morire.

 

Anche per questo, nonostante il divario temporale, culturale e sociale che lo divide dalla nostra epoca, Raffaello si può considerare un reale modello di riferimento. Perché rimane un monito sul privilegio che abbiamo noi italiani nell’essere nati nella terra di Giotto, Perugino, Michelangelo, Leonardo e dello stesso Raffaello. Ma anche sulla necessità di tutelare tutto questo, di riconoscere il valore del paesaggio urbano e naturale di cui siamo custodi. E la mostra che riapre nella Roma che lui tanto amava rappresenta il miglior messaggio verso una rigenerazione profonda, nel segno delle arti, dell’ambiente, della cultura per il nostro paese che ricomincia a guardare avanti.

Raffaello 1520-1483, la mostra a Roma

Le Scuderie del Quirinale aprono le porte per l'attesa mostra dedicata a Raffaello in coincidenza con le celebrazioni per la Festa della Repubblica

Ulteriori informazioni »
Scuderie del Quirinale,via XXIV Maggio numero 16
Roma,Italia
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Chiara Cingolani e Sara Triozzi
Chiara Cingolani e Sara Triozzi
Le autrici sono iscritte al Biennio di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Macerata. La biografia completa è accanto all'articolo che hanno realizzato a doppia firma.

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