Maurizio Panseri, alpinista e scrittore, in un momento del film La bicicletta e il Badile

Alpinismo e bicicletta, un film sulle orme di Buhl. Intervista a Maurizio Panseri

La bicicletta e il Badile, di Alberto Valtellina e Maurizio Panseri, documenta un viaggio di scoperta e incontri. I rapporti umani base della cura del territorio, il cambiamento climatico in montagna e l’importanza delle piccole scelte di ciascuno sono alcuni degli spunti del film, affrontati nel nostro incontro col protagonista e co-regista al Festival Cinemambiente

Nel 1952, prima di diventare un alpinista conosciuto a livello internazionale, Hermann Buhl compie un’impresa: lascia Innsbruck in bicicletta, percorre 150 chilometri sino alla parete nord-est del Pizzo Badile, la scala in solitaria, scende e torna verso casa per essere al lavoro il lunedì mattina.

Nell’estate 2021, Maurizio Panseri e l’amico Marco Cardullo prendono ispirazione da questa esperienza e la ripercorrono, in un suggestivo viaggio su due ruote sulle orme di Hermann Buhl. Nasce così La bicicletta e il Badile (Italia, 2022, ’83), documentario di Alberto Valtellina e Maurizio Panseri presentato al Festival Cinemambiente nella sezione Made in Italy. Abbiamo incontrato il protagonista e co-regista del film, Maurizio Panseri, per sapere qualcosa in più su questo percorso alla scoperta dei luoghi grazie alle voci, soprattutto femminili, che li abitano.

 

L’austriaco Hermann Buhl, uno dei più grandi alpinisti di tutti i tempi (Foto: Wikipedia)

 

Maurizio Panseri, nel film ripercorrete le orme di Buhl, ci può spiegare da dove è nata l’idea?
L’idea nasce dalla combinazione tra la lettura alpinistica, grazie alla quale mi sono formato, sognando e immaginando avventure, e un importante momento catartico. I due libri fondamentali sono stati “È buio sul ghiacciaio”, in cui Buhl racconta la sua impresa sul Badile del ‘52, e “Mio padre Hermann Buhl”, scritto dalla figlia maggiore Kriemhild dopo la morte di Hermann. Il momento che ha fatto scattare l’idea si riconduce invece alla pandemia. Abito ad Alzano Lombardo, uno dei tragici epicentri, e in quel periodo ho capito che dopo il dramma non avrei potuto tornare a vivere come prima. Ho pertanto deciso di iniziare da piccole azioni personali, senza grandi pretese. Non appena c’è stata l’occasione sono partito con l’amico Marco per questa avventura che ha combinato la bicicletta all’arrampicata, esattamente come Buhl.

Si tratta di una riscoperta del valore della bicicletta anche in chiave di benessere del Pianeta? 
Sì, assolutamente. Se per gli alpinisti degli anni ’50 la bicicletta era una necessità – Buhl non fece la sua impresa per sensibilità ambientale ma solo perché la bici era l’unico mezzo a disposizione – per noi diventa una scelta. Ho fatto alcune riflessioni e mi sono reso conto che in passato percorrevo anche 500 km in macchina solo per affrontare una determinata ascesa. È comune pensare che andare in montagna sia un’attività sostenibile, ma qual è realmente il nostro impatto se raggiungiamo la parete in automobile? Io, spostandomi in bicicletta, alleggerisco la mia impronta. È vero, è solo la mia, ma questo basta e mi fa stare bene. Si tratta di un lavoro di eliminazione del superfluo, fare meno ma farlo con maggiore consapevolezza e attenzione.

 

Guarda il trailier de La bicicletta e il Badile

 

Oggi la montagna subisce il cambiamento climatico. Quali sono i rischi dati dall’inquinamento e dallo scioglimento dei ghiacciai, anche in base alla sua esperienza personale?
Le fluttuazioni climatiche in montagna sono sempre esistite, ma è chiaro che in questo periodo l’essere umano sta contribuendo ad un’accelerazione dei cambiamenti. In ormai quarant’anni di attività alpinistica ho potuto vedere con i miei occhi i mutamenti del paesaggio alpino e, di conseguenza, il mutamento dell’accesso alla montagna. Alcune salite non sono più in condizioni, è cambiato e si è ristretto il periodo di fruizione, bisogna sapere cogliere l’attimo. Gli effetti maggiori, anche in termini di rischio, derivano dall’aumento delle temperature, con regressione dei ghiacciai e calo dell’innevamento. Altro tema è quello delle grandi frane alpine delle quali, però, per quanto a volte l’innesco derivi dall’instabilità del permafrost, non c’è stato un peggioramento in relazione al cambiamento climatico.

 

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A proposito di frane, nel film si accenna a quella del Cengalo del 2017, durante la quale ci sono state anche delle vittime. Perché avete scelto di non approfondire questo argomento? 
Si tratta di un tema delicato e complesso e per questo motivo, come altri argomenti nel film, viene solo tratteggiato. La causa dei famigliari delle vittime al Comune è ancora in corso e, pertanto, non abbiamo approfondito.

La montagna di quali tutele ha bisogno circa i rischi derivanti dal turismo di massa?
Il turismo in montagna andrebbe regolamentato poiché ha un elevato impatto ed è più opportuna una modalità di turismo dolce, diffusa su tutto l’anno, legata alla valorizzazione dell’attività e della produzione locale. È necessaria una programmazione verso il futuro perché solo così si attiva il circolo virtuoso che porta i giovani e le famiglie a ripopolare la montagna.

 

 

Ritornando al film, durante il viaggio avete scelto di fermarvi a incontrare le persone e ascoltare le loro voci, qual è il significato di questa scelta?
I luoghi li racconti tramite le voci di chi li vive. È sempre importante far parlare i luoghi tramite le persone e non dal punto di vista del viaggiatore, poiché non è il viaggio a essere importante, lo sono tutti gli incontri, le relazioni che si creano. Il turismo mordi e fuggi, se mai ha avuto un senso, adesso certamente non lo ha, si tratta al contrario di un’esperienza che consente di fissare un presente ricordando il passato, ma con una prospettiva al futuro. L’ambiente diventa così un’esperienza di comunità, la cura della cosa pubblica e del territorio passa anche e soprattutto dalle relazioni.

Tra le voci ve ne sono molte appartenenti a donne, è questo un esempio di un nuovo ruolo assunto da protagonismo e partecipazione femminile in montagna?
In realtà questa più ampia presenza femminile è casuale, ma sicuramente significativa. Le donne hanno in passato subito l’attività alpinistica in modo passivo, oggi sono invece le protagoniste. Abbiamo incontrato Renata Rossi, la prima donna guida alpina in Italia, Caterina Bassi, fortissima alpinista che coniuga vita privata, lavoro e passione per la montagna insieme al compagno Martino Quintavalla, Rosa Morotti che lavora e vive la montagna nonostante la perdita del compagno, Smaranda Chifu, giornalista, alpinista e architetto. La montagna diventa uno strumento attraverso il quale le donne esprimono il proprio potenziale, emergendo in equilibrio con gli uomini.


L’articolo è stato realizzato durante il workshop condotto da Marino Midena nell’ambito del Corso di giornalismo ambientale e culturale di Sapereambiente

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Ilaria Bionda
Ilaria Bionda
Vive tra Trento e il Piemonte, appassionata di viaggi e lingue straniere è laureata magistrale in Mediazione Linguistica, Turismo e Culture. Coniuga la sua curiosità e la sua passione per natura, lettura, fotografia e scrittura con l’interesse per il mondo della comunicazione e del giornalismo, con un occhio di riguardo per le tematiche culturali e ambientali.

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