Una bambina di spalle nel verde

L'analisi comparativa sui Pnrr si è focalizzata, tra le altre cose, anche sulle politiche ambientali, sulla cura e sull'infanzia

Pnrr, criticità e correzioni possibili (e necessarie) secondo il Forum DD

Sono stati presentati i risultati di analisi comparative tra i Piani nazionali di ripresa e resilienza di diversi paesi. Focus sull’impatto delle misure per il clima sul mercato del lavoro, politiche di cura, specificità dei luoghi. Per Fabrizio Barca:“È necessario un programma per rispondere in modo coordinato in tutta Europa al succedersi delle crisi”

«Non è solo una questione di spesa, per cui l’Italia è indietro rispetto agli obiettivi, ma di qualità ed effetti sociali ed economici. Pesano gli errori di costruzione, indicati sin dal 2020. Ma è possibile correggere, proprio tenendo conto di questi studi». Fabrizio Barca non ha dubbi; il Pnrr si valuta per correggerlo, per aiutare a migliorare. D’altronde è questo il senso del recente incontro al Cnel, co-organizzato dalla Feps (Fondazione per gli Studi Progressisti Europei), e dal Forum Disuguaglianze e Diversità, di cui lo stesso Barca è co-coordinatore. Quattro sono gli studi presentati dagli esperti, che hanno messo in comparazione i Pnrr di vari paesi. E hanno rilevato ovunque forti criticità. Per Barca: «Anche a causa di un abbassamento degli standard pretesi dall’Ue, c’è il rischio in tutta Europa che la Recovery and Resilience Facility non rappresenti un cambio di rotta. Ma sarebbe bello se tra un anno l’Italia indicasse agli altri come correggere la strada».

 

 

In che modo? Sono quattro le cose che, secondo il parere degli esperti, si possono fare ora: innalzare la qualità del monitoraggio luogo per luogo per fare pesare la voce dei cittadini; assicurare col bilancio ordinario che le infrastrutture realizzate col Pnrr siano usate; rafforzare il ruolo di tutte le aggregazioni di Comuni (dalle città metropolitane alle aree-progetto delle zone interne) nel connettere i diversi interventi, recuperando a livello locale la strategia integrata che è mancata a livello nazionale; realizzare davvero, con concorsi finalmente di qualità, il rafforzamento delle amministrazioni responsabili, assicurando dal centro l’accompagnamento di quelle più deboli.  

 

Fabrizio Barca
Fabrizio Barca, co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità (Foto: Wikipedia)

Gli studi presentati

Alessandra Faggian, Direttrice per le Scienze Sociali del Gran Sasso Science Institute ha presentato lo studio relativo all’attenzione riservata nella governance dei Piani di Italia, Portogallo e Spagna, alle specificità dei luoghi e al dialogo con parti sociali, società civile e amministrazioni locali. In nessun paese sono state definite le condizioni necessarie per predisporre una consultazione informata, aperta ed ampia sulla definizione dei bisogni (sia sociali che territoriali) e delle sfide da affrontare. Ma dall’analisi emerge che in Italia gli attori sociali sono stati meno coinvolti nel disegno del Piano che in Spagna e in Portogallo. Faggian raccomanda che la conoscenza, oggi dispersa, vada coordinata e raccolta, e che «la Commissione europea assicuri che ci sia partecipazione nella fase di attuazione a compensazione di quella che è mancata nella fase di costruzione del Pnrr».

Per una transizione ecologica giusta

Di strategie per una transizione ecologica giusta si occupa l’ultimo studio presentato da Maria Enrica Virgillito, Professoressa Associata in Economia Politica della Scuola Superiore Sant’Anna. Lo studio parte dalla considerazione che la transizione ecologica deve essere un processo che nel raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica garantisce stabilità occupazionale, sostenibilità ambientale e eguaglianza economica. Tra i paesi analizzati nello studio quelli che fanno meglio sono Svezia, Germania e Spagna perchè hanno già attuato politiche industriali e di mitigazione/adattamento per le competenze della forza lavoro negli anni precedenti al piano. In Italia invece c’è stata un’assenza di pianificazione da parte dei decisori nella capacità di creare cinture di protezione ai settori più esposti alla perdita di posti di lavoro.

 

Guarda il video della presentazione al Cnel 

Politiche di genere, infanzia, cura

Laeticia Thissen, Policy Analyst for Gender Equality della Feps è l’autrice di uno studio su otto Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza dal punto di vista delle politiche di genere e la cura. L’analisi mostra che tutti i piani si occupano di cura, anche se in misura inferiore rispetto ad altre misure e rispecchiando i regimi di assistenza preesistenti. La maggior parte dei piani però non riesce ad avere un’ottica intersezionale e transfontaliera della cura, mentre oggi, ha concluso Thissen, è molto importante un impegno per la costruzione di società della cura più forti e più unite. Sono 264 mila i posti da creare nei servizi e scuole per l’infanzia in Italia entro la fine del 2025 per ricevere un finanziamento di 3 miliardi di Euro del Pnrr, che si aggiungono ai 1.6 miliardi dei progetti in essere. Francesco Corti, Research Fellow, Centre for European Policy Studies (Ceps) ha presentato l’analisi delle misure contenute nei piani di ripresa e resilienza di cinque stati membri (Italia, Spagna, Portogallo, Germania e Slovacchia) concentrandosi in particolare sull’impatto del Pnrr sulla creazione di nuovi nidi. L’Italia, come la Spagna, utilizza il dispositivo per la ripresa e la resilienza per accrescere la disponibilità di servizi (misurata in numero di nuovi posti creati) e per ridurre le disparità interne tra regioni.

Tuttavia, nonostante il 40% di risorse siano destinate al mezzogiorno, e il fatto che l’Italia si sia impegnata a garantire la soglia di copertura del servizio del 33% in tutte le regioni, il target non viene raggiunto neanche considerando oltre ai posti pubblici anche i posti privati, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno, Campania e Sicilia in testa.

A questi problemi si aggiunge quello della distribuzione dei servizi all’interno delle regioni (criterio ignorato) e quello degli educatori (42 mila quelli potenzialmente da assumere), che non si trovano per via della mancanza di personale qualificato e delle condizioni di lavoro non attraenti e non omogenee nel nostro Paese.

 

Un'immagine del seminario “Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: valutare per migliorare”. che si è tenuto al Cnel
Un’immagine del seminario “Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza: valutare per migliorare”. che si è tenuto al Cnel

 

Insomma, una grande opportunità che, se non utilizzata in modo equo e razionale, rischia di divenire un boomerang. E uno dei modi per evitare che ciò avvenga è favorire la partecipazione e la conoscenza da parte di cittadine e cittadini. «Il Recovery non è un grande programma per scavare buche e riempirle, sostenendo nel breve termine salari e profitti e creando rendite, ma un programma per rispondere in modo coordinato in tutta Europa al succedersi delle crisi», sottolinea Fabrizio Barca. «Solo se questo avverrà e verrà percepito dalle cittadine e dai cittadini d’Europa potremmo giustificare l’accumulo di debito pubblico ulteriore e rendere permanente l’esercizio. Se non sarà così, andremo indietro».

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