Riavviaitalia, con l’intelligenza connettiva. L’intervista a Carlo Infante

Carlo Infante ha ideato la piattaforma Riavviaitalia insieme all’autore multimediale Massimo Di Leo e alla performer Gaia Riposati

Riavviaitalia, con l’intelligenza connettiva. L’intervista a Carlo Infante

Una piattaforma di idee per ricostruire il nostro futuro  e superare l’emergenza sociale nell’epoca del Covid-19. A Sapereambiente, il già ideatore di Urban Experience ci parla del suo nuovo progetto per rilanciare il Paese

«L’emergenza Covid-19 non è una guerra, è peggio. Non solo ci si commisura con un’insidia virale imprevedibile ma sta fiaccando la tensione vitale dell’intero paese, bloccato in una sorta di quarantena, il lockdown, necessario per arginare il contagio. Stiamo vivendo un paradosso, la cura rischia d’essere peggiore della malattia». Con queste parole Carlo Infante, scrittore, giornalista, esperto di Performing  media e ideatore di Urban experience, riassume la fase che stiamo attraversando. Una fase certo non facile che contiene anche una sfida, quella di riavviare il paese su basi nuove, quelle della creatività. Ed è per questo che ha voluto lanciare via web (e non solo) Riavviaitalia: un progetto attento alla ricostruzione delle  nostre vite dopo la pandemia.

Visita il sito web di Riavviatialia

Come è nata l’idea di Riavviaitalia?
È nata dal brainstorming on-line, visto che non ci si può incontrare, insieme all’autore multimediale Massimo Di Leo e alla performer Gaia Riposati con cui da anni stiamo collaborando nei progetti di Urban Experience. L’idea è scaturita dalla necessità di metterci in gioco per sollecitare tutte le coscienze attive, con la massima urgenza, per misurarci con il “dopo”, cercando di trovare i modi migliori per contrastare un’inesorabile recessione economica e una depressione morale e sociale.

Per questo stiamo proponendo una piattaforma in cui raccogliere idee e progetti per rilanciare lo spirito vitale nel nostro Paese. Ci ha ispirato il “National Inventor Council” avviato dagli Stati Uniti prima di entrare in guerra, nel 1940, lanciando un proclama per attrarre idee per la vittoria, raccogliendo centinaia di proposte che solo in parte furono realizzate.


Raccogliere le idee per trasformare la società dal basso… È così?

Non proprio, questa storia del ripartire “dal basso” non mi ha mai convinto, la migliore progettazione è generata da una classe creativa che, per quanto libera nel suo professionismo e precaria, visto che certe competenze non vengono ancora pienamente valorizzate, sa misurarsi con le comunità territoriali. Una pratica di creatività civica tesa a creare le condizioni abilitanti per dare forma alla partecipazione e indirizzarla verso i processi della condivisione e della collaborazione, con l’obiettivo di mettere a punto forme di sussidiarietà per la co-progettazione e la gestione di nuovo spazio pubblico.

Si sente dire da più parti che siamo in un momento storico di svolta. Si parla di cambiamento epocale dettato dalla crisi economica, climatica e anche sanitaria. Pensa che l’intelligenza collettiva sia una possibile soluzione per affrontare queste emergenze?
Si tratta di qualcosa che sarà più forte di una svolta, non a caso abbiamo usato il termine reset. Si rischia di perdere molto di ciò che c’era già, mentre si prospetta uno scenario formidabile, anche se inquietante. Una crisi, per quanto devastante, può rivelarsi un’opportunità: può renderci migliori rispetto a ciò che pensiamo di essere. Per questo è necessario creare le condizioni abilitanti per dare forma al nostro potenziale.

È in questo senso che crediamo nelle possibilità dell’intelligenza connettiva, non proprio quella collettiva di cui parlava Pierre Levy, con il quale peraltro ci confrontammo già nel 1994 al Salone del Libro di Torino, perché è in  grado di esprimere forme di auto-organizzazione che possono rivelarsi efficaci mettendo in relazione diverse comunità, termine che mi piace di più se declinato al plurale.

Ma in cosa si differenzia l’intelligenza “connettiva” da quella “collettiva”?
Intelligenza connettiva è un concetto che ha coniato Derrick De Kerckhove nel 1996, interpretando il valore della connessione propria del web nato pochi anni prima, come una dinamica di scambio d’informazioni e relazioni tese ad evolversi in una interattività che presuppone feedback, in un gioco serrato di relazione che riguarda la percezione, la presenza di spirito e l’elaborazione cognitiva. Si tratta di un esercizio che comporta un riequilibrio corpo-mente, in contesti che sappiano produrre teoria prossima all’azione, sollecitando empatia. In tal senso chi governa i processi decisionali dovrà misurarsi sempre più con le comunità senzienti che  – attraverso Laboratori Esperienziali sul campo, attraversando e conoscendo i territori, raccogliendo la molteplicità dei punti di vista, utilizzando il web – possano esprimere un’interconnessione naturale con gli ecosistemi e nella sussidiarietà gestionale dello spazio pubblico.

 

Guarda l’intervista a Derrick de Kerckhove

 


Fra le vostre iniziative c’è quella di recuperare e interpretare gli spazi pubblici. Può chiarirci cosa significa esattamente?
Tra le buone pratiche che seguiamo da vicino c’è quella della Fondazione Riusiamo l’Italia che si sta occupando di mettere a punto le forme adeguate per favorire la creatività giovanile e nel contempo per fare progettazione economica e territoriale presso policy maker e stakeholder in tema di rigenerazione urbana. È impegnata nel creare Beni Comuni grazie all’attivazione di percorsi di progettazione partecipata, la cui finalità è di re-inventare nuove funzioni d’uso per quegli spazi abbandonati oggi a vocazione incerta, sospesi, ormai fuori dall’interesse del mercato immobiliare.

 

Carlo Infante durante uno dei Walkabout che conduce
Carlo Infante durante uno dei Walkabout che conduce

 

Nella lettera aperta indirizzata al governo si parla di futuro senza futuro. Ci viene in mente lo slogan “No future” degli anni Settanta. Rischiamo di trovarci davvero di fronte a un orizzonte nero, come allora, senza direzione?
Quell’appello arriva dal mondo delle start up, lo abbiamo semplicemente rilanciato, proprio perché quell’ambito delle imprese innovative è cruciale per il futuro del Paese. Quel tuo riferimento rimanda allo slogan “No Future” del movimento Punk inglese, in quello stesso tempo, nel 1977, in Italia, oltre il conflitto terribile e senza destino, emergeva la consapevolezza che il sistema s’incardinava nella separazione tra “garantiti” e “non garantiti”, il mondo del proletariato giovanile era lasciato andare alla deriva. Gran parte dell’intelligenza creativa è rimasta fuori dai giochi che hanno poi scandito un mondo insostenibile e senz’anima. In quella fase storica la Thatcher, premier inglese, diceva “L’economia è il metodo, l’obiettivo è cambiare l’anima”. Si stava delineando lo scenario di un capitalismo che non vedeva in faccia nessuno, sottraendo di continuo risorse all’economia fondamentale, come quella della Sanità Pubblica. È per questo che subiamo ora questa emergenza virale.

Ed è per questo che risulta decisivo un cambio di paradigma. Il futuro è una risorsa da ridistribuire in quanto opportunità. È desiderio e questa parola ci ricorda nel suo etimo, vale a dire “de-sideris”, mancanza di stelle, che a partire da una mancanza, da ciò che abbiamo perso, dobbiamo esercitare uno slancio vitale per rimetterci in cammino per creare un futuro sostenibile e resiliente.

Saperenetwork è...

Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

Sapereambiente

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2 thoughts on “Riavviaitalia, con l’intelligenza connettiva. L’intervista a Carlo Infante

  1. Discorso fondamentale quello accennato sopra da Derrick de Kerckhove, del rapporto tra l’intelligenza connettiva e l’intelligenza artificiale che oggi ne sta prendendo il posto ma che – questo andrebbe sottolineato meglio – non è un fatto tecnico, ma sostanzialmente sociale e politico. Cioè, le soluzioni applicate ai diversi problemi – problemi ipotizzati, standardizzati, previsti e prevedibili – dall’intelligenza artificiale, in realtà sono dettati dagli umani che programmano o – e può essere molto peggio – commissionano il software. Possono quindi essere il frutto di una intelligenza connettiva inclusiva, orizzontale, aperta, che naturalmente corregge strada facendo (come accade per es. con tanto software libero), oppure di intenzioni commerciali, burocratiche, di gestione e controllo dell’esistente, con tutti i suoi rapporti di potere dati. Per questo a volte l’intelligenza artificiale ci appare così limitata e ottusa, e complica la vita delle persone invece di semplificarla. Per questo affidare le proprie scelte a un telefonino – quando i criteri provengono soprattutto da produttori che soddisfano i supposto bisogni dei “clienti” – può rivelarsi molto pericoloso, perché esclude la responsabilità dei singoli e – a meno che non si tratti di app di vera interconnessione, ma allora non è il “telefonino” che decide! – limita la cittadinanza attiva. Pericoli che emergono con evidenza in questi tempi di emergenza, quando ai dispositivi mobili si incomincia per esempio ad affidare compiti di “tracciamento” degli spostamenti delle persone, sotto il controllo di una autorità centrale.
    Rivalutare l’importanza dell’intelligenza connettiva, cioè la partecipazione responsabile delle reti di “gente comune” alle decisioni che riguardano la vita dei singoli e delle comunità, e anche all’elaborazione dei criteri che orientano l’intelligenza artificiale, può essere la sfida del tempo presente. In anni non troppo lontani, non da illuminate aziende globali che benevolmente ci mettono a disposizione “una app per tutto”, ma da reti di persone qualunque, addirittura contro le previsioni e i piani dei Grandi Fratelli di turno, sono nati il Personal Computer e il Web, scusate se è poco!

Parliamone ;-)