Janusz Korczak e i diritti dei bambini

Il monumento dedicato a Korczak nel cimitero ebraico di Varsavia (Foto: Wikimedia Commmons)

Janusz Korczak e i diritti dei bambini

A 80 anni dalla morte, avvenuta mentre accompagnava i bambini del suo orfanotrofio al campo di sterminio di Treblinka,  ricordiamo questo grande pedagogista. Collaborazione, fiducia, tatto, nonviolenza furono la base del suo approccio, nel pieno della tragedia della Seconda Guerra Mondiale

Un bambino su sei, più di 450 milioni, vive in una zona di conflitto e, tra questi, circa 200 milioni vivono nelle 13 aree di conflitto più letali al mondo. Una cifra cresciuta del 20% negli ultimi dieci anni al pari del lavoro minorile: 152 milioni di bambini e adolescenti ridotti alla schiavitù. Consola poco che ci siano molti Janusz Korczak in tutte le guerre: medici, educatori, volontari che lavorano fino al sacrificio per alleviare il dolore dei bambini e sommessamente urlano al mondo sordo la tragedia terribile e vana dei conflitti armati.

Perché Korczak scrisse nel suo diario dal Ghetto di Varsavia: «Non ci è concesso di lasciare il mondo così com’è».

Dieci anni fa, in occasione dei settant’anni dalla sua morte, molte furono le iniziative organizzate in Italia e in Europa per ricordarlo. Oggi invece, oggi che la guerra è di nuovo tra noi, in una escalation prevedibile e tenacemente perseguita, nell’estate siccitosa e rovente tutta dedicata all’emergenza elettorale, nell’autunno oscurato dalle minacce nucleare, economica ambientale e sociale, nessuno ha speso una parola per Pan Doktor, un uomo mite e mitico, ancora sconosciuto ai più.

 

Janusz Korczak, pedagogo, scrittore e medico polacco di origine ebraica (Foto: Wikimedia Commmons)

 

Korczak è il medico che nell’agosto del 1942 marcia per Varsavia con i 200 bambini del suo orfanotrofio sopravvissuti ai mesi di reclusione nel Ghetto fino ai vagoni del treno per Treblinka. Altri 4mila orfani camminano per le stesse strade insieme a decine di educatori, assistenti e dottori che fino all’ultimo decidono di non abbandonare i loro piccoli. Korczak era famoso a Varsavia, noto per il suo lavoro, i libri che aveva scritto, l’istituzione che aveva creato, e lungo quel percorso, diverse persone lo avvicinano per provare a salvarlo:

nonostante fosse stato riconosciuto dalle autorità, sarebbe stato autorizzato a lasciare la colonna e a fuggire. Sale invece sui vagoni con loro,

e continua a raccontare la storia che aveva fatto mettere in scena qualche giorno prima, la storia de Il corriere, peraltro vietata dalla censura nazista, di Rabindranath Tagore, su un bambino malato, rinchiuso nella propria cameretta, che muore sognando di correre per i campi. Voleva «abituarli ad accettare la morte serenamente». Parte, Korczak, e a Treblinka non arriverà mai perché muore durante il trasporto, forse per il dolore.

 

Guarda il film Dottor Korczak diretto da Andrzej Wajda (1990)

 

Quella marcia, entrata ormai nella leggenda e nell’iconografia, l’hanno celebrata libri premiati come “L’ultimo viaggio” e film bellissimi come questo di Andrzej Warda del 1990, ma Korczak va ricordato per l’intera sua vita e opera perché è uno di quei pedagogisti che hanno, nel Novecento, profondamente rivoluzionato il modo di considerare l’infanzia e il bambino:

«Non ci sono bambini, solo persone. Ma con un’altra scala di nozioni, un altro bagaglio di esperienze, altre passioni, altri giochi di sentimenti. Ricorda, noi non li conosciamo».

L’idea di bambino come “mistero” da rispettare e osservare nel rispetto assoluto, come hanno poi ribadito pedagogisti importanti del nostro presente come Henning Köhler, non era solo un alto e poetico ideale, ma il fondamento della pratica quotidiana del suo lavoro di medico e di direttore.

 

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Il suo vero nome era Henryk Goldszmit ed era nato a Varsavia nel 1878 da una famiglia ebrea. Rimasto orfano giovanissimo, studia medicina a Berlino, Londra e Parigi, ma scrive anche molto di teatro con lo pseudonimo di Janusz Korczak, ispirato ad un famoso eroe popolare. Viene arrestato nel 1909 per le sue idee a favore dell’indipendenza polacca e proprio in carcere conosce il sociologo socialista Ludwik Krzywicki che lo aiuterà a concretizzare il grande anelito politico e sociale verso la costruzione di un orfanotrofio modello per i bambini ebrei.

 

Janusz Korczak e Misza Wróblewski nel 1934 con i bambini dell’orfanotrofio Dom Sierot a Varsavia (Foto: Wikimedia Commons)

 

La Casa dell’Orfano (Dom Sierot), da lui fondata con la stimata educatrice Stefania Wilczyńska viene inaugurata il 27 febbraio 1913. Non è un orfanotrofio ma una vera e propria “società dei bambini”, organizzata secondo i principi di giustizia, fraternità, uguaglianza dei diritti e dei doveri tra alunni ed educatori. Bandite le punizioni corporali e ogni violenza, così diffuse a quel tempo, perché ritenute “punizioni criminali”. Nella casa di Pan Doktor si cresce in una comunità educativa avanzatissima:

le regole sono note e uguali per tutti, in cui si fa giardinaggio e arte, teatro e matematica, in cui ognuno si sente visto, rispettato, amato, ascoltato e invitato alla partecipazione attiva e alla solidarietà, a cominciare dalla cura dei bambini più piccoli.

Tra le due guerre Korczak è attivissimo: scrive numerosi libri per l’infanzia, tra cui Il Re Mattia e Quando sarò di nuovo piccolo, libro prediletto del futuro premio Nobel Czeslaw Milosz. Crea una rivista per bambini. Collabora con una rubrica modernissima alla radio. Insegna Pedagogia all’università di Varsavia. Incontra in Palestina alcuni suoi vecchi alunni ora trasferitisi nei kibbutz e pubblica, nel 1929, un libro scritto nel 1914, Come amare un bambino in cui chiede apertamente l’istituzione di una Magna Charta dei diritti del bambino.

 

 

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Sarà poi il suo testo Il diritto del bambino al rispetto a diventare la base della Carta internazionale dei diritti del fanciullo redatta nel 1959.

«Non calpestare, non umiliare, non fare del bambino uno schiavo di domani, lasciar vivere senza scoraggiare né strapazzare né far fretta» si legge a p. 59 dell’edizione italiana, pubblicata dalla Luni che ha curato l’uscita delle sue opere nel nostro paese. E ancora: «Voi mi dite: “Siamo stanchi di stare con i bambini”. Avete ragione. E dite ancora: “Perché dobbiamo abbassarci al loro livello. Abbassarci, chinarci, piegarci, raggomitolarci”. Vi sbagliate. Non questo ci affatica, ma il doverci arrampicare fino ai loro sentimenti. Arrampicarci, allungarci, alzarci in punta di piedi, innalzarci. Per non ferirli». E se cominciassimo a leggere i suoi testi?

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Stefania Chinzari
Stefania Chinzari
Stefania Chinzari è pedagogista clinica a indirizzo antroposofico, counselor dell’età evolutiva e tutor dell’apprendimento. Si occupa di pedagogia dal 2000, dopo che la nascita dei suoi due figli ha messo in crisi molte certezze professionali e educative. Lavora a Roma con l’associazione Semi di Futuro per creare luoghi in cui ogni individuo, bambino, adolescente o adulto, possa trovare l’ambiente adatto a far “fiorire” i propri talenti.
Svolge attività di formazione in tutta Italia sui temi delle difficoltà evolutive e di apprendimento, della genitorialità consapevole, dell’eco-pedagogia e dell’autoeducazione. E’ stata maestra di classe nella scuola steineriana “Il giardino dei cedri” per 13 anni e docente all’Università di Cassino. E’ membro del Gruppo di studio e ricerca sui DSA-BES, della SIAF e di Airipa Italia. E’ vice-presidente di Direttamente onlus con cui sostiene la scuola Hands of Love di Kariobangi a Nairobi per bambini provenienti da gravi situazioni di disagio sociale ed economico.
Giornalista professionista e scrittrice, ha lavorato nella redazione cultura e spettacoli dell’Unità per 12 anni e collaborato con numerose testate. Ha lavorato con l’Università di Roma “La Sapienza” all’archivio di Gerardo Guerrieri e pubblicato diversi libri tra cui Nuova scena italiana. Il teatro di fine millennio e Dove sta la frontiera. Dalle ambulanze di guerra agli scambi interculturali. Il suo ultimo libro è Le mani in movimento (2019) sulla necessità di risvegliarci alle nostre mani, elemento cardine della nostra evoluzione e strumento educativo incredibilmente efficace.

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