un bambino di spalle nella natura

Non è la fine del mondo, ecco come un futuro sostenibile è (ancora) possibile

Il libro della ricercatrice di Oxford Hannah Ritchie è una vera e propria medicina contro l’eco ansia. Ricco di dati, notizie e informazioni, riesce a dare speranza, pur restando con i pedi per terra. Edito da Aboca Edizioni, nella collana Saggi Human Ecology

«Oggi è diventato normale dire ai nostri figli che il cambiamento climatico provocherà la fine dell’umanità». Si apre così l’introduzione di Non è la fine del mondo, saggio appena pubblicato da Aboca Edizioni nel quale Hannah Ritchie offre, dati alla mano, una medicina all’ecoansia che, soprattutto nei più giovani, rischia di paralizzare anche gli intenti più positivi confinati dalla forte incertezza verso il futuro. Anche Ritchie si sentiva così, minacciata e impaurita, angosciata dall’idea che questo pianeta non avesse un futuro. Per sopravvivere, ha messo in campo tutte le sue doti di ricercatrice accademica per dimostrare che, invece, non dobbiamo arrenderci e, anzi, è ancora possibile costruire un futuro migliore per tutti.

 

Hannah Ritchie
Hannah Ritchie durante un TED2023 a Vancouver, Canada (Foto: Ryan Lash / TED/ hannahritchie.com)

Hannah Ritchie, una ricercatrice al servizio dell’ambiente

Ricercatrice del Programma per lo sviluppo globale dell’Università di Oxford, Hannah Ritchie è vicedirettrice e capo del Dipartimento di ricerca del progetto Our World in Data, che riunisce i dati più recenti sui maggiori problemi del mondo e li rende accessibili al pubblico. Forte di queste competenze, in quello che è il suo primo libro spiega come invertire la rotta e perché, al suo punto di vista, potremmo essere la prima generazione a raggiungere la piena sostenibilità.

«Le emissioni di carbonio pro capite – scrive – sono diminuite, la deforestazione ha raggiunto il picco negli anni ’90, l’aria che respiriamo oggi è più pulita rispetto a secoli fa. Saremo la prima generazione a lasciare il mondo in uno stato migliore di come lo abbiamo trovato».

Le sette crisi ambientali

Partendo dal presupposto che il mondo non è mai stato sostenibile, e ribaltando quindi l’idea che i primi esseri umani vivessero in modo sostenibile in contrapposizione allo stile di vita contemporaneo, Ritchie analizza le sette principali crisi ambientali – inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, deforestazione, cibo, perdita di biodiversità, plastiche oceaniche, pesca eccessiva – che devono essere ad ogni costo risolte per raggiungere la sostenibilità. Sull’inquinamento atmosferico, ad esempio, apre una riflessione sulla scala energetica, che considera le fonti di energia più diffuse per uso alimentare e per il riscaldamento suddivise per classi di reddito.

Analizzandola, quello che emerge è la necessità di fermare la combustione dei materiali.

Trasformazioni che sono possibili e che possono realizzarsi anche velocemente, come ha fatto in tempi recenti la Cina che è riuscita a dimezzare il suo tasso di inquinamento in sette anni.

Il cibo, tra falsi miti e notizie vere

Soffermandosi sul tema del cibo, sfata il mito secondo il quale ci resterebbero solo 60 raccolti a disposizione a causa del deterioramento dei terreni, che entro il 2074 risulterebbero inutilizzabili, ma richiama l’attenzione sull’ineguaglianza e sul fatto che «ci preoccupiamo di sfamare bestiame e automobili, non le persone». E ancora, «non saremo capaci di risolvere il problema del cambiamento climatico, fermare il processo di deforestazione, proteggere la biodiversità, se prima – avverte – non cambiamo le nostre abitudini alimentari». Ma nonostante tutto è una buona notizia: «perché significa che abbiamo il potere di rimodellare il nostro sistema alimentare».

Catastrofisti o negazionisti?

Per ognuna delle crisi ambientali, fornisce dati e riscontri, ribalta falsi miti e individua soluzioni pragmatiche. Perché, osserva, «questi problemi sono enormi. Ma sono risolvibili». Per farlo occorre unirsi a chi punta nella stessa direzione, per concentrarsi sulla creazione di soluzioni che facciano progredire.

I catastrofisti si sono già arresi e, per Ritchie, spesso diventano dannosi quanto i negazionisti. «Ignorate chi dice che siamo condannati, perché non lo siamo. Abbiamo la possibilità di costruire un futuro migliore per tutti. Trasformiamola in realtà»

 

 

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Una miniera di dati preziosi

Definito da Margaret Atwood «una miniera di dati che ci fornisce non solo una guida per il futuro, ma anche l’ingrediente più importante di tutti: la speranza», Non è la fine del mondo, in corso di traduzione in numerosi Paesi, è il primo libro di Hannah Ritchie e ha debuttato al sesto posto della classifica del Sunday Times. Le sue analisi appaiono regolarmente su New York Times, Economist, Financial Times, New Scientist, Wired, Vox e BBC. Il New Scientist l’ha definita «la donna che ha fornito i dati sul covid-19 al mondo».

Saperenetwork è...

Marina Maffei
Marina Maffei
Giornalista e cacciatrice di storie, ho fatto delle mie passioni il mio mestiere. Scrivo da sempre, fin da quando, appena diciassettenne, un mattino telefonai alla redazione de Il Monferrato e chiesi di parlare con l'allora direttore Marco Giorcelli per propormi nelle vesti di apprendista reporter. Lì è nata una scintilla che mi ha accompagnato durante l'università, mentre frequentavo la facoltà di Giurisprudenza, e negli anni successivi, fino a quando ho deciso di farne un lavoro a tempo pieno. La curiosità è la mia bussola ed oggi punta sui nuovi processi di comunicazione. Responsabile dell'ufficio stampa di una prestigiosa orchestra torinese, l'OFT, scrivo come freelance per alcune testate, tra cui La Stampa.

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