Dal 2020 la regione del Tigray è nel pieno di un conflitto spietato, ignorato da gran parte dei media e della politica occidentali

Dal 2020 la regione del Tigray è nel pieno di un conflitto spietato, ignorato da gran parte dei media e della politica occidentali

«Il 4 novembre 2020, mentre i riflettori di tutti i media internazionali erano proiettati verso le elezioni degli Stati Uniti d’America, l’amministrazione di Abiy Ahmed e quella del regime dittatoriale di Isaias Afewerky completavano la loro preparazione e occupavano militarmente il Tigray».  Tomas Giusti, attivista Diaspora Tigray, racconta i fatti che hanno portato all’escalation militare in Etiopia e denuncia il genocidio contro la popolazione tigrina dimenticato della comunità internazionale.

 

 

Tomas Giusti, attivista della Diaspora Tigray
Tomas Giusti, attivista della Diaspora Tigray

 

«Con lo scoppio della pandemia Covid-19 alla popolazione è stato negato il diritto di proteggersi dal virus. Ai bambini è stato impedito di accedere al materiale di base necessario per curarsi –  continua l’attivista –  Anche quando abbiamo assistito all’invasione delle locuste nel Corno d’Africa, gli aerei Wfp che spruzzavano insetticidi, una volta raggiunto il confine del Tigray ritornavano indietro sotto l’ordine di Ahmed e dell’amministrazione della regione Amhara. Semplici segnali da parte del governo Etiope che continuava a portare avanti l’isolamento del popolo del Tigray». 

Tomas Giusti, cosa sta accadendo nel Tigray?
La vittoria delle elezioni regionali da parte del Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (Tplf), nel 2020, ha fatto salire la rabbia del primo ministro dell’Etiopia, che ha accelerato i tempi per aggredire il Tigray. Ma dobbiamo ricordare che l’assedio è iniziato nel 1998.  Il 4 novembre è stato sferrato soltanto l’attacco militare, con l’alibi di difendersi dagli attacchi del Tplf, accusato di aver aggredito il comando federale settentrionale. Cosa che è stata confutata dai membri del comando stesso. Questa è stata la scusa per unire le forze militari dell’Eritrea e dell’Etiopia. A loro si sono uniti 6000 soldati somali, mandati dal presidente Mohamed Formajo, convinti di ricevere l’addestramento per lavorare durante i mondiali del Qatar.

Invece si sono trovati nel mezzo di una guerra fascista, con una chiara e netta matrice genocida.

Una guerra dichiarata da più fronti. Anche le milizie delle nove regioni dell’Etiopia si sono schierate ai confini del Tigray.

 

   Guarda il video Ispi sulla Guerra in Etiopia 

 

 

Quali sono le motivazioni che hanno portato alla destabilizzazione di questa area dell’Etiopia?
Il presidente del Fronte di Liberazione, Debretsion, ha scritto a 62 nazioni per denunciare l’enorme presenza di armamenti e soldati. Ma nessuno ha risposto all’appello.

Il primo ministro dell’Etiopia, insignito del premio Nobel per la pace nel 2019, ha avuto carta bianca per scatenare la guerra e armarsi fino ai denti.

Il suo obiettivo è quello di prosciugare il mare per pescare i pesci grandi. Eliminare cioè tutti i tigrini a partire dai bambini di 5 anni. Un vero e proprio genocidio. La comunità internazionale non si era resa conto della gravità degli addestramenti militari in Eritrea, che andavano avanti da oltre 30 anni. Servizi militari senza tempi di scadenza, uomini e donne costretti a fare lavori forzati, persone cresciute con l’odio nei confronti dei tigrini. È stata sottovalutata questa polveriera enorme a cielo aperto in Eritrea (la Corea del Nord africana). L’Eritrea non aveva come obiettivo quello di entrare in Etiopia per portare la pace, ma soltanto di destabilizzare l’area. Una vendetta per i passati attriti politico-sociali nei confronti del Tplf.

La popolazione ha cercato di fermare le violenze e l’aggressione militare con la resistenza attiva.

Ma i combattimenti sono stati stravolti dalla presenza di tecnologie militari sofisticate: droni e armi di precisione che hanno destabilizzato le forze militari del Tigray e favorito l’ingresso nella regione di soldati eritrei ed etiopi. Le armi sono state fornite con il supporto di una alleanza internazionale subdola, ancora da chiarire, creata da Abiy e Afewerky con gli Emirati Arabi, Arabia Saudita, Turchia, Azerbaigian.

Come si presenta il Tigray dopo i lunghi mesi di occupazione?
Durante  l’occupazione militare abbiamo visto il totale accerchiamento e isolamento della regione, privata di tutti i beni necessari e delle comunicazioni. Senza internet era impossibile mostrare cosa stava accadendo.

La Diaspora del Tigray in tutto il mondo ha fatto delle lotte nelle piazze di tutte le città per cercare di portare la voce di questo popolo.

In breve tempo siamo riusciti a realizzare una massiccia e compatta organizzazione per cercare di far rispettare i diritti essenziali, e aprire dei corridoi umanitari per il nostro popolo. Dopo gli otto mesi di occupazione sono stati riscontrati danni di alta portata: uccisioni di civili tramite artiglieria pensante e droni, rastrellamenti in tutte le zone dell’Etiopia. E poi lo stupro nei confronti di 120 mila donne e bambine, a partire dai cinque anni fino ai 75 anni, 500 mila civili uccisi, 6.8 milioni di persone si trovano in emergenza di cibo, 900 mila tigrini si trovano in condizioni di carestia Livello 5. Sono 120 mila i bambini senza cibo e tantissimi uomini sono stati imprigionati illegalmente. 63 mila persone sono riuscite a fuggire nel Sudan dalle aggressioni da parte dei soldati “Fanno” della supremazia Amhara, che considerano i tigrini demoni e impuri e vogliono impossessarsi di tutti materiali culturali e storici del Tigray, per diventare i veri custodi della storia etiope. Un genocidio culturale, un attacco alla culla della civiltà dell’Etiopia.

Con i droni sono state bombardate le università statali (75 per cento), le strutture sanitarie (85 per cento).

In otto mesi è stato fatto tutto questo per annientare soprattutto la parte attiva della resistenza tigrina, che si è organizzata militarmente con l’appoggio della popolazione, come è avvenuto durante le lotte per cacciare il regime del Derg.

 

 

Un'immagine del Tigray
Il Tigray è una zona settentrionale dell’Etiopia, ai confini con l’Eritrea. Nel territorio è in corso una guerra, ufficialmente iniziata nel 2020, ma che ha radici molto più lontane. aggravate dai conflitti etnici e politici(Foto: Wikipedia)

 

Il presidente Abiy Ahmed ha avuto un forte sostegno interno in questa guerra…
In molte zone dell’Etiopia ci sono state manifestazioni e azioni contro il sistema politico. Il Tplf dopo aver resistito alle mobilitazioni di studenti e di altri ceti sociali, che volevano il cambiamento, si è ritirato per dare spazio al governo di transizione di Ahmed. È bene ricordare che il presidente è stato responsabile dell’istituto per la sicurezza dei dati sensibili dell’Etiopia. Aveva molte informazioni che ha fornito all’Eritrea per allontanare gli uomini del governo di cui faceva parte, in particolare i rappresentanti del Tplf. Siamo di fronte a una deumanizzazione facilitata dal lavaggio del cervello del popolo etiope compiuto dai media privati e statali.

Per molti politici etiopi il popolo tigrino è un cancro da estirpare.

Nel resto dell’Etiopia abbiamo assistito a un cambiamento. Il popolo del Tigray veniva isolato, perseguitato per aver parlato la propria lingua, privato delle risorse al fine di eliminare ogni forma di progresso. Molti intellettuali etiopi e rappresentanti ecclesiastici e di tante religioni non hanno fatto altro che incoraggiare le aggressioni, invitando i giovani a liberare l’Etiopia dal “diavolo”.

Il federalismo etnico è in contrasto con le politiche di Abiy Ahmed Ali?
La destabilizzazione nasce dalla volontà del presidente di centralizzare il sistema di governo, in alternativa al federalismo etnico che voleva portare il Paese fuori dalla povertà. Un federalismo che prevedeva la possibilità di usare la propria lingua, professare la propria religione, la propria cultura. Diritti sostenuti dal Tplf e soppressi dalla supremazia Amhara e dalla monarchia Amhara. Il presidente dell’Etiopia ha impedito l’autogoverno dei popoli e la loro autodeterminazione. I tigrini si sono ribellati, non potevano rinunciare alle conquiste sociali ottenute con 17 anni di lotta partigiana, che ha coinvolto anche le donne.

Non potevamo accettare l’imposizione di un modello neoliberista e capitalista, che favorisce l’ingresso delle multinazionali e che fa aumentare il gap tra ricchi e poveri.

L’Etiopia si trova nel baratro, riportata indietro di decadi, non solo a livello economico ma anche per la stabilità politica.

 

 

Abiy Ahmed Ali
Abiy Ahmed Ali, primo ministro etiope dal 2018. Insignito del Nobel per la Pace nel 2019, nel 2020 ha contribuito a iniziare ufficialmente la guerra nel Tigray (Foto:Wikipedia)

 

 

Da chi viene finanziato il conflitto armato?
Molte guerre sono finanziate da entità invisibili. Nel Tigray si pensava di fare una guerra lampo di quattro giorni, proprio durante le elezioni americane. Ora siamo al 23 esimo mese, e continua la lotta partigiana. Le teste pensanti del Tplf non sono state eliminate. Intanto prosegue l’addestramenti di giovani e allo stesso tempo si sta creando una rete di diplomazia per favorire il dialogo politico e la fine della guerra. Il Tplf, come testimoniato da molti analisti, non ha alcun finanziamento esterno, l’esercito di difesa del Tigray ha la capacità di strappare gli armamenti al governo etiope che viene aiutato non solo dai Paesi prima citati, ma anche da Iran, Ucraina, Russia, Bielorussia, Spagna, Francia (con un contratto di 40 milioni di euro per  dare approvvigionamenti militari  all’Etiopia).

Anche l’Italia con un contratto quinquennale ha sostenuto il presidente etiope. Ha esportato armi tecnologiche. 

Nonostante la promessa del Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, di sospendere gli addestramenti, ancora continuano queste pratiche nelle caserme, e sono stato un testimone oculare, perché lavoravo come interprete e autista per l’ambasciata Etiope, quindi accompagnavo i diplomatici etiopi durante le loro visite di incoraggiamento a questi soldati presenti nel territorio italiano. Ci sono state visite ufficiali da parte di politici italiani, come quella della Vice Ministra degli affari esteri, Marina Sereni, nel pieno del genocidio del Tigray, che faceva accordi di cooperazione di sviluppo per installare fabbriche e industrie nel pieno del genocidio. Il Ministro Di Maio, in una sua visita ufficiale, con il pretesto di dover fare un progetto agroalimentare di 22 milioni di euro, ha concesso al governo etiope questi soldi che senza dubbio ha utilizzato o utilizzerà per comprare armi.

Anche l’Italia sta avendo quindi un ruolo importante…
L’Italia ha avuto una posizione chiara e netta a favore del regime genocida dell’Etiopia. La partecipazione dell’Italia c’è stata anche in Eritrea, dove c’è un regime dittatoriale conosciuto in tutto il mondo. Lì i governi italiani hanno venduto materiali bellici e tecnologici.

Tutto il mondo ha sostenuto quindi questo genocidio. Ma le vittime non sono soltanto i tigrini. Sono stati colpiti anche gli oromo e tanti altri popoli anche nel sud dell’Etiopia. Uno scenario simile a quello del Ruanda.

Noi continuiamo, come popolo del Tigray, a resistere. A un anno dal genocidio, a Washington è stato fatto un accordo fra gruppi etnici federalisti e confederalisti, dove hanno aderito nove gruppi etnici che vogliono una propria autonomia, una propria autodeterminazione, e si sono uniti al Tplf per cercare di buttare giù il governo o democraticamente o combattendo. Il mondo intero sta assistendo allo scorrere di sangue, a una grande ingiustizia politica. C’è un governo che ha tradito la propria costituzione, i propri principi di convivenza tra i popoli rendendo il Paese un inferno. Questa tragedia dimostra che il mondo è diviso in due classi sociali, e noi lottiamo per l’uguaglianza, e per il rispetto reciproco per un quieto vivere in Etiopia, nel Corno d’Africa e in tutto il mondo. 

Si è parlato ad agosto di un possibile intervento da parte l’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo per evitare ulteriori catastrofi. Sono stati ottenuti dei risultati a vantaggio della popolazione tigrina colpita?
Durante questi 23 mesi di guerra regionale – impropriamente definita guerra civile, perché ha destabilizzato non solo il Tigray ma l’intero Corno d’Africa – molti personaggi, anche non di spicco, hanno cercato di portare la pace.  Tra questi l’ex presidente della Nigeria Olusegun Obasanjo, che ha avuto una posizione, come descrivono gli analisti, pro-governo etiope. Le sue richieste non portavano a una conclusione della guerra, non garantivano l’apertura dei corridoi umanitari. E nemmeno il ritiro dell’esercito eritreo dai territori del Tigray e il ritiro dei soldati etiopi  delle milizie Amhara.  Le sue proposte non assicuravano il ripristino delle comunicazioni e dei diritti di base. L’ex presidente delle Nigeria cercava di ottenere un cessate il fuoco senza alcun scambio da parte del governo di Ahmed. Per cinque mesi, nel periodo di tregua, a partire cioè da marzo, il governo non ha fatto altro che irrobustire le proprie capacità militari. Obasanjo era a tutti gli effetti un componente del governo Etiope, che aveva come obiettivo quello di ottenere il totale disarmo della difesa del Tigray.

 

Migranti in fuga
Il conflitto nel Tigray comporterà certamente nuovi flussi migratori verso l’Europa

 

Una guerra dimenticata che rischia di avere tuttavia delle conseguenze sul fronte delle migrazioni in Europa…
Questa guerra genererà un grande flusso di migrazione. Per adesso il popolo del Tigray non riesce ad uscire dalla propria regione, come in quelle dell’Amhara e dell’Afar. Qui c’è una carenza dei diritti di base, di cibo, medicine e acqua.

Quando si raggiungerà una serenità, con l’interruzione di combattimenti, ci sarà anche un grosso flusso di immigrazione verso l’Europa.

Anche in Eritrea, per 30 anni, uomini, donne e bambini sono stati tenuti nelle carceri a cielo aperto. E anche nei 300 campi di concentramento sparsi nelle zone più calde dell’Eritrea, dove ci sono tantissimi detenuti. I quali vengono  liberati e aubito costretti ad andare a combattere in Tigray: carne da cannone! E quando questa trincea si romperà, il popolo dell’Eritrea andrà a cercare la fortuna altrove. La migrazione non è stata tamponata con l’assedio del Tigray, l’assedio del Tigray. Questo perché l’Etiopia stessa è tutta militarizzata. Gli stati confinanti, come il Sudan, il Kenya, Gibuti, sono tutti in allerta per questa esplosione di immigrazione. Le persone attraverseranno, appena ci saranno le condizioni, il deserto, il Sudan, la Libia e il Mar Mediterraneo, rischiando la vita per raggiungere un nuovo luogo dove dimenticare i traumi subiti in seguito all’esportazione della democrazia occidentale con le bombe e gli aiuti militari. I migranti sono i civili che amano la propria terra, e vorrebbero rimanere nei loro luoghi di origine. La pace non c’è a causa dei politici corrotti. 

Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi? E quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa e della comunità internazionale per riportare la pace?
La situazione, che non è per niente rassicurante per il popolo del Tigray, ha alimentato una escalation con un impatto notevole. Dal 24 agosto fino ad oggi vi è un combattimento continuo, con bombardamenti, colpi di artiglieria pesante. Tutto il confine eritreo e del Tigray è pieno di soldati armati che bombardano obiettivi civili. Dalla parte del sud e dell’ovest del Tigray, invece, si assiste a una alta concentrazione di bombardamenti per via di droni e per via aerea, che hanno colpito e colpiscono scuole, ospedali e persino asili nido, dove hanno perso la vita molti bambini. Fino ad ora sono stati contati 50 bombardamenti di droni in luoghi civili.

L’Unione europea e le Nazioni Unite dovrebbero intervenire presto per porre fine a questa guerra e a questo genocidio sistematico, praticato sotto l’omertà e il silenzio di tutto il mondo.

Il popolo del Tigray, nonostante la sofferenza, ogni giorno dimostra di battersi per la pace.  In nome della fratellanza vuole riportare il Paese nella condizione di poter lavorare, arare la propria terra, e vivere nel proprio territorio liberamente.

Saperenetwork è...

Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

Sapereambiente

Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!


Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella di posta per confermare l'iscrizione

 Privacy policy


Parliamone ;-)