Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) e direttrice di Arcs

Le voci della pace e dell’accoglienza. Dialogo con Silvia Stilli

Nel giorno della marcia Perugia-Assisi, la testimonianza della presidente dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale. Corsa al riarmo, crisi umanitarie, fallimento della diplomazia. Ma anche carovane della pace, cooperazione dal basso e una società civile che chiama ai negoziati sia la Russia che l’Ucraina

«È lecito che l’Ucraina non voglia uscire da eventuali conferenze di pace con la dignità calpestata, è il Paese aggredito e invaso e colpito duramente, che ha il diritto di difendersi. Questo non lo contestiamo, è giusto. Il punto attuale è lo stallo di qualsiasi trattativa, anzi il rifiuto di entrambe le parti, che porta all’escalation di vittime civili e alla distruzione dell’Ucraina stessa. Occorre riprendere ogni sforzo invece per chiedere a Russia e Ucraina di sedersi ad un tavolo che sia presieduto dalle Nazioni Unite e supportato dall’Europa. Europa che invece è concentrata adesso solo sul supporto in armamenti ai militari ucraini». Per Silvia Stilli, presidente dell’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) e direttrice di Arcs, la marcia della pace Perugia-Assisi di oggi, 21 maggio, vuole essere un nuovo e decisivo messaggio rivolto alla comunità internazionale per costruire un concreto percorso di pace, oltre le logiche del profitto e del realismo politico.

 

 

«Siamo vicini alla popolazione ucraina, a prescindere  dalle diverse posizioni espresse sulla questione degli aiuti militari, sappiamo che anche per le persone coinvolte loro malgrado nel conflitto la pace è la speranza», ha aggiunto Silvia Stilli durante il nostro dialogo. L’Arcs (ong dell’Arci che fa parte dell’AOI), aderente a RIPD (Rete Italiana Pace Disarmo) e a #StopTheWarNow, durante la Carovana della pace ha ascoltato le voci di chi ogni giorno è costretto ad affrontare la disperazione di aver perso tutto. E proprio dalle  testimonianze dirette di chi lavora nelle ong possiamo cogliere un punto di vista alternativo a quello di certa propaganda fatta da giornalisti e politici.

Silvia Stilli, può raccontarci la sua esperienza con la Carovana della pace nel territorio ucraino?
All’inizio dello scorso aprile, con Arcs, AOI, Arci Solidarietà, Forum Terzo Settore del Lazio, Amedeo Ciaccheri, Presidente dell’VIII Municipio e Andrea Fassi del Palazzo del Freddo, insieme a Ansa e giornalisti indipendenti, volontarie e volontari, abbiamo organizzato la Carovana della pace. Abbiamo raggiunto con un camper e un pulmino carico di aiuti alimentari Odessa, Mykolaiv, e le zone vicino al fronte di Kerson. Insieme a noi anche 70 mezzi provenienti da Padova. Questo sciame di viaggi solidali è iniziato esattamente un anno fa, nelle stesse date di aprile, raggiungendo Leopoli. Siamo tornati in Italia con più di 200 profughi ucraini. Arcs, AOI e Arci Solidarietà si sono occpuati dell’accoglienza e della cura di 47 persone ucraine a Roma, 1/3 delle quali disabili, che sono in gran parte seguite ancora oggi. In un anno abbiamo costruito un filo di contatto con le zone di provenienza e costruito relazioni.

 

 

Grazie a Condivisione fra i Popoli, ong della Comunità Papa Giovanni XXIII, abbiamo mantenuto una vicinanza vera con le varie zone del Paese martoriato dai bombardamenti e dalle violenze dell’esercito russo. Anche i caschi bianchi, le volontarie e i volontari in solidarietà attiva hanno organizzato le carovane di aiuti. Quest’anno la nostra presenza nella giornata della domenica delle Palme è stata  importante per veicolare il messaggio di solidarietà e pace: ripeto, al di là davvero delle diverse posizioni sull’impegno militare. Il dialogo, lo scambio, il confronto basato sul rispetto e sulla vicinanza, sono le fondamenta per ricostruire, speriamo presto, un Paese oggi distrutto che deve recuperare la dimensione comunitaria e trovare investimenti nella coesione sociale, oltre che nel lavoro e nell’economia. Le ong come Arcs, che operano in emergenza e per la ricostruzione, sono attive adesso con fondi propri oltre che con un progetto consortile di emergenza del MAECI, ma lo saranno di più nella fase della ricostruzione. Insieme a organizzazioni e cooperative sociali, sindacati, privati e anche le nostre istituzioni, a partire agli enti locali. A Odessa abbiamo consegnato un grande generatore per l’ospedale pediatrico, donato da CEI-Conferenza Episcopale Italiana e CGIL.

Mi domando davvero: dove sono le risorse che sono state impegnate per gli aiuti umanitari con le organizzazioni internazionali e i governi europei, se queste esigenze essenziali sono poi garantite da raccolte private?

Aumentano le spese militari, il 3 maggio il commissario per il Mercato unico Thierry Breton ha presentato l’Act in Support of Ammunition Production, per incrementare la produzione di armi impiegando fondi UE. Un segnale che indica che la pace è sempre più lontana?
L’esigenza di ‘riarmarsi’ è evidente: è economica per rilanciare l’industria bellica nei mercati internazionali, è di strategia politica per misurarsi tra potenze a livello mondiale, è la scelta facile per non scendere a mediazioni e negoziazioni che vedano una regia ’super partes’ dell’ONU.  Non è la nostra esigenza e non deve essere la scelta per dirimere i contrasti e i conflitti. Non lo dico io, lo dice Papa Francesco. L’incertezza sull’evoluzione di questo conflitto non può però farci credere che non si possano aprire spazi di mediazione: si tratta di continuare a chiederli unitariamente come gente di buon senso, con i governi e l’Europa. Facciamolo anche alla Perugia-Assisi quindi.

Il reindirizzamento delle risorse economiche per far fronte alle crisi umanitaria in Ucraina rischia di andare a discapito del Paesi più poveri del mondo?
In Italia abbiamo un osservatorio che purtroppo ha rivelato il mancato raggiungimento dell’obiettivo stabilito dall’Agenda ONU 2030, se pur sottoscritto formalmente, secondo cui i paesi industrializzati devono destinare lo 0.7% del reddito nazionale lordo per  l’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) ai Paesi meno sviluppati. La percentuale nel nostro Paese sta ben al disotto, oscilla tra 0,22 e 0,28%, mentre nel 2017 aveva raggiunto lo 0,30. Incredibile e preoccupante. Non solo, ma sono conteggiati all’interno della percentuale i costi spesi in Italia per rifugiati e richiedenti asilo. Un netto quindi ancora minore. Gli aiuti si tende inoltre a distribuirli, anche a livello europeo, ai Paesi dell’APS più coinvolti nelle migrazioni, quindi lasciando fuori Paesi altamente impoveriti ed aumentando povertà e disuguaglianze.

 

 

Viviamo ormai in una Terza guerra mondiale a pezzi. Pensiamo ai conflitti armati in Sudan, Tigray, Yemen, Afghanistan, Siria. Ma la fuga da questi territori, che devono fare i conti anche con i danni dei cambiamenti climatici, non viene giustificata dai governi occidentali, che preferiscono attaccare le ong e rinnovare memorandum. Siamo di fronte a una crisi della cultura dell’accoglienza?
Che vi sia un’insofferenza verso chi denuncia le gravità di uno sviluppo negato a gran  parte del Pianeta, impoverito e sottoposto allo sfruttamento indiscriminato nel nome del profitto, è un dato di fatto. Vi è intolleranza nei confronti di chi salva vite nel Mediterraneo, e  di chi porta alla luce le conseguenze gravi di accordi con governi antidemocratici in nome di interessi di grandi gruppi economici e finanziari. Si vogliono favorire gli approvvigionamenti di energia e i respingimenti di chi fugge dalle violenze, si vuole silenziare chi chiede a gran voce la pace. Non si tratta a mio parere soltanto di ‘crisi della cultura dell’accoglienza’, quanto invece di una volontà di far tacere chi si oppone alle logiche del profitto indiscriminato che causa ingiustizie, morte e indebolimento della democrazia. Che distrugge, sottolineo, il futuro per noi e il Pianeta.

La guerra in Ucraina sta rivelando anche la fragilità delle democrazie europee e la mancanza di autonomia decisionale dei governi?
Certamente. Il ruolo diplomatico dell’Europa è stato messo in discussione e reso debole dalla NATO. E quindi non da un altro Paese, bensì da un’alleanza militare di cui di fatto l’Europa fa parte. Le divisioni interne all’Europa stessa tra chi è ancora attento al potere della Russia, l’Ungheria per esempio, e chi spinge per intervenire militarmente in Ucraina sono evidenti. Se l’Europa non riprende l’autonomia diplomatica che egemonicamente le spetta, considerando che geograficamente l’Ucraina è in Europa, e non sceglie la via del dialogo a fianco delle Nazioni Unite, ‘raccoglierà presto i cocci’.

 

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Michele D'Amico
Michele D'Amico
Sono nato nel 1982 in Molise. Cresciuto con un forte interesse per l’ambiente.Seguo con attenzione i movimenti sociali e la comunicazione politica. Credo che l’indifferenza faccia male almeno quanto la CO2. Giornalista. Ho collaborato con La Nuova Ecologia e blog ambientalisti. Attualmente sono anche un insegnante precario di Filosofia e Scienze umane. Leggo libri di ogni genere e soprattutto tante statistiche. Quando ero piccolo mi innamoravo davvero di tutto e continuo a farlo.

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