Un coro dei Climate Choir Movement in azione nel dicembre 2023, alla City di Londra. I partecipanti indossano le iconiche bombette

Un coro dei Climate Choir Movement in azione nel dicembre 2023, alla City di Londra (Foto: www.climatechoir.com)

Climate Choir Movement, quando la musica colpisce al cuore

Si definiscono “il fianco moderato della protesta” e contano già 600 membri in 11 cori. Fondato a Bristol nel 2022, il movimento dei cori per il clima si sta diffondendo in tutto il Regno Unito. L’obiettivo è arrivare al cuore delle persone superandone l’ostilità. E finora sembrano riuscirci

C’è l’ottantenne che arriva in bici e la diciottenne che spegne il cellulare, lo studente di scienze della terra e il musicista professionista in pensione. Nella sala dove sono riuniti, risuona un pot-pourri di armonie, di canzoni rielaborate, dalle Spice Girls al Coro dell’Alleluia di Händel.

Su tutti incombe uno striscione che cita Kurt Vonnegut, il grande scrittore americano autore di Mattatoio n.5 e La colazione dei campioni: «Carissime generazioni future, per favore perdonateci. Eravamo ubriachi di petrolio».

Sono le prove mensili del London Climate Choir, l’unico posto al mondo dove un gruppo di donne anziane canta “Fermati adesso, sporca, sporca banca” sulle note di una hit anni ’90 delle Spice Girls, mentre un gruppo di giovani scandisce canti di protesta sulle note di Händel, e contemporaneamente sulle note di una canzone tradizionale dello Zimbabwe viene innestato il coro «Il clima sta cambiando, cosa stiamo facendo?». È il direttore d’orchestra a rispondere, tenendo alta la bacchetta. «Non c’è fine a questa canzone. Agiterò il bastone quando avremo finito».

 

Il Climate Choir di Bristol. Il gruppo si è formato nel 2022 ed è stato il primo fondato in GB
Il Climate Choir di Bristol. Il gruppo si è formato nel 2022 ed è stato il primo fondato in GB

Da Bristol con amore (per l’ambiente e non solo)

Il movimento dei cori per il clima è cresciuto rapidamente sin dal suo inizio nell’autunno del 2022. Tutto è partito da Bristol, per i musicofili, la città patria del trip-hop, il genere, detto anche Bristol Sound, che negli anni ’80 e ’90 ha mischiato sonorità elettroniche, due, reggae, dark e gothic diventando uno dei laboratori musicali più in fermento a fine millennio, con musicisti come Tricky, Massive Attack e Portishead.

Dal 2022 il movimento dei cori è cresciuto rapidamente: ora ci sono più di 600 membri in 11 cori per il clima in Inghilterra e Galles.

Il loro obiettivo è quello di sostenere le proteste degli ambientalisti attraverso la musica, veicolo d’eccellenza per diffondere la causa.

Come Jo Flanagan, co-fondatore del Climate Choir Movement, dichiara al Guardian: «Stiamo rafforzando il fianco moderato della protesta a sostegno di coloro che hanno il coraggio di incollarsi ai ponti. La gente sente parlare di proteste del genere e vuole fare qualcosa che non implichi il rischio di essere arrestati, ed è qui che entriamo in gioco noi».

 

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I cori che fermano le banche

Già, perché le loro sono proteste coreografiche, ironiche, esteticamente gradevoli ma efficaci: a dicembre, i cori hanno indossato abiti neri e bombette per fare una serenata ai decisori finanziari della City di Londra. Lo scorso ottobre hanno organizzato un coro flash di 100 voci al Museo della Scienza, sempre a Londra, per sottolineare che i soldi vengono dallo sponsor Adani, multinazionale indiana produttrice di carbone e gas. Ma ci sono stati anche canti in onore di “Gaia” all’Abbazia di Bath a settembre, e a maggio dozzine di cantanti da Londra, Bath, Stroud, Oxford e Southampton hanno interrotto il meeting annuale dei vertici della banca Barclays, proprio con la riformulazione della canzone delle Spice Girls di cui sopra.

 

 

Proteste climatiche: come colpire al cuore

Sono proteste che stanno attirando l’attenzione. Flanagan ritiene che delle voci che cantano in armonia possano superare l’ostilità delle persone con maggiore efficacia rispetto a tattiche più aggressive.

«Abbiamo un messaggio serio e cantandolo dolcemente possiamo farvi rizzare i capelli sulla nuca», dice. «In diverse azioni, ho visto amministratori delegati trattenere le lacrime o addirittura piangere apertamente per le nostre azioni. Ho fatto proteste tradizionali, senza canzoni, davanti a un pubblico simile e li ho visti spegnersi».

Un effetto emotivo più efficace, dunque? Dello stesso parere Gabriella Roe, studentessa dell’University College di Londra, che ha preso parte all’evento del Museo della Scienza: «Le proteste climatiche si sono guadagnate una cattiva reputazione. Questo metodo invece permette di raggiungere coloro che al vertice prendono le decisioni senza rischio di arresto. Mia madre è ancora nervosa a causa delle nuove leggi anti-protesta, ma è sollevata dal fatto che questa sia la strada della protesta che ho scelto».

 

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I Climate Choir, cambiare senza polarizzare

D’altronde spesso le persone non ascoltano ciò che viene urlato. Come dice Kay Gilkes, membro del Bristol Climate Choir: «Invece se canti, pensano all’armonia e le parole che stai cantando possono penetrare sottilmente nella loro testa mentre ascoltano i brani». E a quanto pare anche la polizia risponde diversamente. «Gli agenti di polizia che abbiamo incontrato nella City di Londra sono stati insolitamente solidali. Uno di loro ha anche chiesto se poteva ottenere una nostra registrazione».

E poi c’è un altro punto, messo in luce da Kate Honey, direttrice musicale del coro di Bristol: mentre i social media alimentano la polarizzazione politica, la musica depolarizza. «La protesta indurisce i cuori gridando, ma noi non vogliamo questo: è molto importante non litigare se vogliamo che il cambiamento avvenga».

La musica, una grande massa di persone che cantano in modo coinvolgente, diventa uno strumento per chiederci, semplicemente: perché mi sto commovendo? Ed è da qui, da questo momento che può scaturire la scintilla per il cambiamento, per la ricerca della verità. Aldilà della Manica, nel Regno dei Beatles, dei Rolling Stones, degli Who, della rivoluzione punk e, ca va sans dire, del Bristol sound, quelli dei Climate Choir ne sono convinti, ed è bello sentire la loro speranza mentre cantano tutti insieme.

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Valentina Gentile
Nata a Napoli, è cresciuta tra Campania, Sicilia e Roma, dove vive. Giornalista, si occupa di ambiente per La Stampa e di cinema e società per Libero Pensiero. Ha collaborato con Radio Popolare Roma, La Nuova Ecologia, Radio Vaticana, Al Jazeera English, Sentieri Selvaggi. Ha insegnato italiano agli stranieri, lingua, cultura e storia del cinema italiano alle università americane UIUC e HWS. È stata assistente di Storia del Cinema all’Università La Sapienza di Roma. Cinefila e cinofila, ama la musica rock, i suoi amici, le sfogliatelle e il caffè.

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