Gas, extraprofitti e ostacoli alla transizione green. Intervista ad Antonio Tricarico di ReCommon

Antonio Tricarico, campaigner finanza pubblica e multinazionali di ReCommon

Gas, extraprofitti e ostacoli alla transizione green. Intervista ad Antonio Tricarico di ReCommon

Come funziona il mercato europeo della materia prima? Ideologia, speculazione e la rincorsa al profitto prima che gli impegni internazionali contro il climate change bandiscano le fonti fossili. Una situazione che l’Ue non riesce a gestire

Dopo la nuova impennata del prezzo del gas a seguito del sabotaggio ai gasdotti Nord Stream, il prezzo, leggiamo, va scendendo, non si sa per quanto, e certo non nelle nostre bollette. Sembra chiaro come, al momento, la volatilità finanziaria sia fuori controllo, tanto che anche il presidente Mattarella ha invocato dall’UE «una risposta unitaria e coerente» di fronte alle «speculazioni intollerabili». Insieme con Antonio Tricarico, campaigner finanza pubblica e multinazionali della ong ReCommon, vogliamo provare a capire un po’ di più cosa succede nel mercato di questa materia prima, fonte fossile dotata di un enorme global warming potential, nonostante l’etichetta green da poco ricevuta nell’ambito degli investimenti europei.

 

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Ce ne ha offerto l’occasione uno studio pubblicato a settembre, realizzato da ReCommon insieme a Merian Research, che analizza gli extra-profitti incamerati dalle sei maggiori aziende oil e gas europee.

Dalla ricerca, che prende in considerazione il primo semestre del 2022, emerge come le sei compagnie europee abbiano generato 74 miliardi di dollari di extra-profitti grazie all’aumento esorbitante dei prezzi di petrolio e gas.

Il comportamento delle aziende dell’energia sembra penalizzare la collettività in più modi: intanto perché gli extraprofitti non vengono investiti, se non in misura marginale, in nuovi progetti in linea con la transizione energetica. In più, perché gli extraprofitti, oltre a finire in lauti dividendi, sono anche usati per “sostenere” il valore dei titoli, sempre a vantaggio degli azionisti. E quindi ci potrebbe essere poco interesse affinché il prezzo del gas diminuisca stabilmente.

 

 

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Antonio Tricarico, facciamo un passo indietro. Come siamo arrivati a questa crisi dei prezzi dell’energia ?
La crisi è iniziata dalla metà del 2021 quando a fronte della ripresa economica globale post pandemia da Covid-19, l’offerta, i cui investimenti in petrolio e gas si erano fermati, non riusciva a seguire la domanda in forte aumento a livello globale. Ciò ha generato una competizione principalmente tra Europa e Asia, continenti più dipendenti dall’import di risorse energetiche, nell’accaparrarsi più approvvigionamenti di gas nel corso dell’autunno, da cui gli ulteriori aumenti alla fine del 2021.

La Russia già dal 2021 ha manipolato la dinamica di mercato a suo vantaggio (Gazprom gestiva il più grande impianto di stoccaggio di gas in Germania!) con stop and go sulle forniture che si riflettevano nel prezzo a breve termine del mercato europeo.

L’invasione della Russia dell’Ucraina a febbraio ha amplificato questa tendenza, generando panico sulle prospettive future degli approvvigionamenti e quindi sul prezzo dei future finanziari sul gas (ossia i contratti finanziari che scommettono sul prezzo futuro del gas a sei mesi).

Come funziona il mercato europeo del gas?
Partiamo dalla premessa che i mercati energetici tendono ad essere monopoli naturali e quindi tendenzialmente a gestione singola e pubblica. Negli ultimi 20 anni l’Unione Europea, in maniera alquanto ideologica, ha voluto costruire un mercato del gas il più possibile liberalizzato. Si è passati da un modello di import basato su accordi di lungo termine tra importatori e fornitori (quali Russia e Algeria) principalmente legati al prezzo del petrolio, con la presenza di riserve strategiche gestite dagli Stati, a un modello di mercato “spot” della commodity gas, ossia un mercato in cui offerta e domanda di gas istantaneamente o quasi definiscono il prezzo.

accordi Italia-Algeria

 

Per far funzionare il mercato spot serviva una maggiore quantità di gas in circolazione rispetto alla domanda, e impianti di stoccaggio anche gestiti da privati che liberamente potevano decidere quando immettere la risorsa sul mercato in funzione del prezzo. Inoltre, così come nel caso del petrolio, al mercato fisico spot del gas si associa un mercato finanziario che immette liquidità nel sistema anche per consentire agli operatori di mercato di coprirsi e assicurarsi contro la volatilità dei prezzi (molto maggiore rispetto al modello passato) o intenzionalmente di scommettere sulla volatilità con fini speculativi.

Come nel caso del petrolio, il prezzo del gas di oggi viene sostanzialmente influenzato, se non fissato, da quello atteso a sei mesi sul mercato finanziario.

La prima e principale “borsa del gas” europea è stata quella del TTf in Olanda, visto che Regno Unito, Belgio e Olanda sono stati i primi ad attuare questo approccio puro di mercato. Successivamente altri mercati “virtuali” in Europa sono nati, tra cui il PSV italiano. Anche il TTf, che rimane il mercato del gas più grande in Europa, ha una liquidità limitata rispetto ad altre borse ed una struttura finanziaria ancora più limitata. Questo rende la formazione del prezzo molto più volatile rispetto a quella del greggio e soggetta a maggiori speculazioni.

È possibile capire quanto la speculazione incide sul prezzo finale, ovvero sulle nostre bollette?
Le grandi società del gas, quasi tutte in Europa ex statali o con partecipazioni statali, che sono sia importatori di gas sia venditori sul mercato europeo, hanno beneficiato dalla differenza di prezzo tra gli accordi di importazione (nella gran parte ancora di lungo termine e indicizzati al prezzo del greggio) e il prezzo sul mercato spot in costante aumento. Laddove le società avevano quote anche nelle società di gestione degli stoccaggi, possono aver ulteriormente influito sull’andamento di mercato a loro vantaggio, influenzando quanto gas entrava ogni giorno sul mercato europeo (questo il caso di Gazprom).

Gazprom

La sede Gazprom di Mosca

Oltre il mercato spot fisico, le stesse società agiscono anche sul mercato finanziario collegato al primo per assicurarsi con i contratti futures contro le oscillazioni di prezzo. Ma nelle operazioni finanziarie il discrimine tra cosiddetto “hedging” (pratiche di compravendita per copertura assicurativa) e la speculazione pura sulla volatilità del prezzo è tenue. Parliamo di posizioni finanziarie di decine di miliardi di euro che oggi le majors europee mantengono.

Su queste basi è molto difficile, se non quasi impossibile, quantificare quanto la speculazione finanziaria “pura”, se possiamo definirla così, influisca sul prezzo attuale del gas.

Ben poco si può evincere dai bilanci delle principali società del gas o dalle analisi delle loro posizioni aggregate assicurative sul mercato finanziario. Di sicuro possiamo dire che vi è una discreta dose di speculazione nell’atteggiamento di diversi attori di mercato. C’è sempre stata, in qualsiasi mercato o fisico o finanziario. E questo approccio speculativo contribuisce a esasperare la volatilità finanziaria già enorme in questo periodo per fenomeni esogeni al mercato e più collegati ai fondamentali dell’economia e della geopolitica dell’energia. E ovviamente anche questa componente ricade in bolletta tramite le oscillazioni del prezzo del gas.

La ricerca di Re:Common sugli extraprofitti delle sei maggiori aziende europee oil & gas, ha un focus particolare sul free cash flow, il denaro che resta nelle casse aziendali. Per circa i due terzi viene ridiviso fra gli azionisti! Che spazio hanno invece le tassazioni straordinarie?
E’ vero, due terzi dei 46 miliardi di extra liquidità di cui hanno beneficiato le 6 principali oil and gas majors europee, tra cui l’Eni, sono finiti agli azionisti. O tramite il pagamento di lauti dividendi, o tramite il riacquisto di azioni delle stesse società, aumentandone il prezzo e permettendo quindi ad alcuni investitori di incassare ulteriori profitti.

Liquidità agli azionisti, dunque, e non a nuovi investimenti, di cui la quota di presunti interventi green, per altro, è rimasta marginale, sotto il 20 per cento del totale.

A fronte di questo i governi europei si sono lanciati in vari annunci sulla tassazione di questi extra-profitti per fare cassa e sussidiare famiglie e imprese per pagare le bollette dai valori esorbitanti. La nostra analisi ci dice che solo 4 miliardi di euro sono le entrate attese per il primo semestre 2022. Una miseria!

eccesso di saldo Iva per tassare extraprofitti?

In Italia, il governo ha preso come riferimento delle tassazioni agli extra-profitti l’eccesso di saldo dell’Iva

 

Il governo italiano ad oggi ha seguito l’approccio di prendere in considerazione l’eccesso di saldo dell’Iva tra due periodi nel 2021 e 2022, che poi si è dimostrato molto lacunoso e non rappresentativo davvero degli extra vantaggi avuti da alcune società. Probabilmente alcuni calcoli sono stati sbagliati da parte del ministero del Tesoro, ma rimane il problema che, vista l’ampia gamma di costi che possono essere scaricati, il saldo dell’Iva non è davvero indicativo di tutti i vantaggi avuti dalle società. Si ricordi che il Tesoro, e le amministrazioni locali, sono spesso azionisti di riferimento nelle società energetiche, in cui potrebbero intervenire con forza, secondo il diritto societario.

Possono essere risolutive le proposte presentate dalla Commissione Europea?
Le proposte presentate per una approvazione da parte dei Paesi UE sono ancora inadeguate. Il razionamento dell’energia elettrica nelle punte di domande non risolve affatto il problema. Così come il disaccoppiamento tra il mercato del gas e quello elettrico, tassando gli extra-profitti della generazione non fossile e punendo in particolare la generazione con le rinnovabili, dà solo una risposta parziale: va verificato quanto il prezzo per famiglie e imprese davvero scenderà a fronte di una generazione rinnovabile e nucleare limitata. Ovvero, vi sarà sempre chi dipenderà da società che usano più gas e non tutte queste possono passare istantaneamente alle rinnovabili o al nucleare.

Il rischio inoltre è che si finisca per incentivare un ritorno più massiccio al carbone nel breve termine, il cui prezzo sui mercati globali è comunque anche aumentato, pur se non come quello del gas. Con buona pace della lotta ai cambiamenti climatici.

Infine, la Commissione Europea parla di un prelievo di solidarietà nel 2022 dalle società energetiche (sia gas che elettricità) che hanno fatto extra profitti. Bisogna vedere come in pratica questa misura sarà attuata dai paesi membri: su quale imponibile, con quale aliquota e così via.

 

 

Nel video che presenta la ricerca sugli extraprofitti, sottolinei come Eni abbia aumentato gli utili del 100% proprio attraverso l’esplorazione e lo sfruttamento di nuovi giacimenti di gas e petrolio. Come se in Europa non esistessero, aggiungiamo noi, obiettivi legati alla crisi climatica. Una tassazione diversa potrebbe stimolare le aziende ad adeguare gli investimenti agli obiettivi della decarbonizzazione?
Alla fine Eni ha concesso di pagare 1,4 miliardi di euro di tasse, mentre altre società italiane minori si sono addirittura lanciate in casi legali contro il governo su cui il TAR dovrebbe decidere a novembre. Il problema però rimane per Eni. A fronte di un utile netto aggiustato di 5,5 miliardi di euro per i primi sei mesi del 2022, la società non ha aumentato i suoi investimenti, che per altro rimangono ampiamente centrari sull’espandere la frontiera dell’oil and gas, soprattutto nel Mediterraneo ed in Africa. Non proprio un approccio green verso la decarbonizzazione.

Eni come gran parte delle oil&gas majors, è partecipata dal governo. Come azionista con un golden power, il governo potrebbe intervenire, forzando un cambio del modello di business della società, ma questo non avviene da decenni. Anzi, sembra più che il management Eni detti la linea al governo in materia energetica…

Inoltre, una tassazione importante sugli extra-profitti manderebbe un segnale forte e chiaro non solo al management della società ma anche a tutti gli altri azionisti. Eventuali deduzioni e detrazioni si potrebbero concedere solo se la società dimostri che riduce gli investimenti fossili a vantaggio di altri verso la sostenibilità ambientale e sociale. Ma una triste realtà che fa emergere il nostro studio è che questi giganti fossili sono molto in ritardo nei loro investimenti nelle rinnovabili e altri business non fossili, cosicché i costi di ingresso in questi nuovi mercati sono più alti per loro. Inoltre gli investitori sanno bene che il business delle società nel lungo termine perderà valore visti gli impegni climatici e per la transizione della comunità internazionale, da cui la loro ossessione per incassare quanti più dividendi possibili oggi dopo anni più magri. Insomma una situazione bloccata, se non folle, in cui sembra che né management né azionisti, incluso il governo, vogliano un vero cambiamento nell’azienda, che rimane il più grande ostacolo alla transizione energetica e climatica nel nostro paese.

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Francesca Santoro
Francesca Santoro
Laurea in comunicazione, specializzazione in marketing e comunicazione nel Non Profit. Per 15 anni mi sono occupata di comunicazione e formazione nell’ambito del consumo critico e del commercio equo, trattando temi quali l'impatto delle filiere a livello locale e globale su persone, risorse, territori, temi su cui ho anche progettato e condotto interventi nelle scuole. Dal 2016 creo contenuti online per progetti, associazioni, professionisti.

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