Bambine e ragazze: l’istruzione negata
Oggi le ragazze hanno il più alto livello d’istruzione mai raggiunto nella storia. Eppure, nonostante i miglioramenti importanti registrati negli ultimi vent’anni, a livello globale è ancora altissimo il numero di bambine e ragazze che non possono frequentare la scuola. Sono circa 129 milioni: 32 milioni nella scuola primaria, 30 milioni nella scuola secondaria di primo grado e 67 milioni nella secondaria di secondo grado. In particolare, la regione più lontana dalla parità di genere nella frequenza scolastica è l’Africa sub-Sahariana, dove non si sono registrati miglioramenti significativi nel corso dell’ultimo decennio.
Le cause di questa privazione del diritto all’istruzione sono diverse: dalla povertà ai matrimoni e alle gravidanze precoci, dai cambiamenti climatici con la scia di eventi estremi che si portano dietro, alle guerre.
In alcuni Paesi, poi, l’istruzione è apertamente negata alle giovani, come in Afghanistan. A fare il punto sull’accesso all’istruzione delle bambine e delle ragazze a livello globale è l’ultimo dossier “Indifesa” di Terre des Hommes, recentemente presentato dalla fondazione, impegnata da tempo nella promozione dei diritti delle bambine nel mondo. Indifesa racconta anche quali sono i principali ostacoli che ritardano la piena parità di genere nei vari continenti, senza dimenticare il nostro Paese.
Guerra e insicurezza impediscono l’accesso a scuola
Secondo le stime della Banca mondiale, il tasso di completamento della scuola primaria è vicino al 90% per la componente femminile e la parità di genere è stata ormai raggiunta nella maggior parte dei Paesi del mondo. Ma, quando una comunità è colpita da disastri naturali o da conflitti, il diritto all’istruzione è il primo a essere messo a rischio. Le bambine che vivono nei Paesi colpiti da conflitti hanno più del doppio delle probabilità di non andare a scuola rispetto alle coetanee residenti in zone di pace. Le situazioni di guerra e di insicurezza generalizzata possono portare le ragazze a rinunciare all’istruzione per tutelarsi: secondo le stime, infatti, circa 60 milioni di ragazze ogni anno subiscono violenze sessuali mentre vanno o tornano da scuola. Inoltre, quando le scuole sono costrette a chiudere a causa di un conflitto o di una pandemia, come è successo anche con il Covid-19, le ragazze hanno minori possibilità di tornare sui banchi rispetto ai loro coetanei maschi. E per quanto riguarda il cambiamento climatico, se i trend attuali continueranno, entro il 2050 oltre 12 milioni di ragazze ogni anno potrebbero vedere impedito il completamento del proprio percorso scolastico.
Bisogni delle ragazze non riconosciuti
A tutto questo, in alcuni contesti, si sommano le condizioni delle scuole, inadatte ai bisogni delle ragazze, ad esempio prive di acqua o di luoghi sicuri dove cambiarsi durante i giorni delle mestruazioni. Nei Paesi dell’Africa sub-Sahariana una ragazza su dieci interrompe la frequenza durante i giorni delle mestruazioni: in Kenya un’adolescente perde in media quattro giorni di scuola al mese per questo motivo, per un totale di 165 giorni persi su un arco di quattro anni, sempre secondo i dati della Banca Mondiale.
«Il ciclo mestruale è un tema», conferma Federica Giannotta, responsabile advocacy e programmi Italia Terre des Hommes. «Talvolta bambine che frequentano normalmente la scuola la abbandonano di fronte alla difficoltà di poter gestire le mestruazioni tranquillamente. Parliamo di paesi del sud del mondo, di contesti in cui non si dispone di protezioni adeguate, bisogna pensare che ci sono ambiti in cui si usano stracci, per esempio. È banale, però le bambine abbandonano per quello: cominciano ad avere paura, si imbarazzano, si vergognano e non vanno più». Il punto non è chiaramente solo quello. «Nella scuola primaria abbiamo ormai sostanzialmente raggiunto l’obiettivo della scolarizzazione delle bambine – aggiunge Giannotta – ma nella secondaria rimane il rischio di un abbandono precoce da parte delle bambine, perché possono comunque in quell’età diventare neo-mamme, dover accudire i fratelli o altri bambini di famiglia, quindi molto spesso abbandonano la scuola. Arrivano alla seconda o terza media, poi lasciano». A volte, anche la povertà delle famiglie spinge i genitori a investire sull’istruzione dei figli maschi a scapito delle femmine.
Disparità tra paesi
Stando ai dati dell’ultimo Global Education Monitoring Report dell’Unesco, è in Asia centrale e meridionale che, nel corso degli anni duemila, si sono registrati i progressi più rapidi verso la parità di genere nei percorsi di istruzione primaria e secondaria. La situazione viene invece definita “stagnante” a partire dal 2012 in Africa settentrionale e Asia occidentale, sia per quanto riguarda l’istruzione primaria che quella secondaria. Mentre in Africa sub-Sahariana non si sono registrati significativi miglioramenti negli ultimi dieci anni. In Paesi come Guinea e Togo la differenza di genere nella scuola secondaria superiore supera il 20%, a discapito della componente femminile. Mentre in Camerun, Ciad, Uganda e Zambia è del 15%.
Queste stime si basano, peraltro, su dati rilevati prima della pandemia da Covid-19 e non riflettono il suo potenziale impatto negativo sui sistemi educativi. «Ci sono notevoli preoccupazioni per i Paesi a basso e medio reddito che hanno completamente chiuso le scuole per più di due terzi dell’anno scolastico, in particolare Bangladesh (86%), Honduras (73%), Myanmar (80%), Filippine (93%) e Uganda (68%)», si legge nel rapporto. «Sebbene sia difficile prevedere l’impatto a medio e lungo termine di tali chiusure prolungate, queste crisi tendono a penalizzare maggiormente chi è già indietro».
3 milioni senza scuola in Afghanistan
Un capitolo nerissimo è quello dell’apartheid di genere in Afghanistan, come lo hanno definito le Nazioni unite. Dalla presa del potere da parte dei talebani, nell’agosto 2021, le condizioni di vita per bambine e donne sono precipitate. Uno dei primi decreti emanati dopo la presa di Kabul è stato il divieto per le bambine di più di 12 anni di frequentare la scuola, che ha tagliato fuori dall’istruzione superiore oltre 3 milioni di ragazze secondo le stime dell’Unicef. Le ragazze che stavano frequentando l’università hanno potuto continuare a farlo, anche se con forti limitazioni: corsi separati da quelli frequentati dai coetanei maschi e con il divieto di iscriversi a facoltà come ingegneria ed economia.
Poi, a dicembre 2022, il governo talebano ha chiuso alle ragazze anche le porte delle università «fino a nuovo ordine».
Oltre a violare un diritto fondamentale e provocare una ricaduta sociale e culturale di lungo periodo, il mancato accesso all’istruzione delle ragazze causa una potenziale perdita economica per l’Afghanistan di 5,4 miliardi di dollari secondo stime Unicef.
L’Europa dei neet
Spostandoci in Europa, il rapporto di Terre des Hommes si sofferma invece sui Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non sono impegnati in un percorso di studio o formazione. Il trend è in discesa nei 27 Paesi dell’Unione: si è passati dal 16% del 2013 all’11,7% del 2022. Ma in quasi tutti gli Stati membri la percentuale femminile supera quella maschile. Il divario più significativo si osserva in Repubblica Ceca (11%) e Romania (10,9%). Fanno eccezione Estonia, Finlandia, Lussemburgo e Belgio. La quota delle Neet sul totale nella fascia tra i 15 e i 29 anni è passata dal 17,7% del 2013 al 13,1% del 2022, mentre quella dei loro coetanei maschi è passata dal 14,5% al 10,5%. Le ragazze e le giovani donne, quindi, restano un po’ più lontane rispetto ai loro coetanei maschi dall’obiettivo fissato dall’European Pillar of Social Rights, che punta a ridurre al 9% la quota di Neet nei Paesi dell’Unione entro il 2030.
Il gap tra maschi e femmine cresce con l’aumentare dell’età.
Nella fascia d’età 15-19 anni infatti la differenza è dello 0,6% e in diversi Paesi il fenomeno riguarda prevalentemente la componente maschile. Nella fascia d’età successiva, tra i 20 e i 24 anni, la forbice si amplia leggermente (0,9%) sempre a svantaggio della componente femminile per poi esplodere al 7,1% nella fascia d’età 25-29 anni.
In Italia, scrive l’Istat nel suo Rapporto annuale 2023, «il tasso di Neet è di oltre 7 punti percentuali superiore a quello medio europeo e, nell’Unione Europea, secondo solo alla Romania». Nel nostro Paese, nel 2022, i giovani che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in percorsi di formazione erano, complessivamente, circa 1,7 milioni, il 19% del totale dei giovani tra i 15 e i 29 anni. In quella fascia d’età le ragazze Neet sono il 20,5% mentre la quota di adolescenti maschi e giovani uomini è del 17,7%.
Saperenetwork è...
- Alice Scialoja, giornalista, lavora presso l'ufficio stampa di Legambiente e collabora con La Stampa e con La Nuova Ecologia. Esperta di temi ambientali, si occupa di questioni sociali, in particolare di accoglienza. Ha pubblicato il libro A Lampedusa (Infinito edizioni, 2010) con Fabio Sanfilippo, e i testi Neither roof nor law e Lampedusa Chapter two nel libro Mare Morto di Detier Huber ( Kerber Verlag, 2011). È laureata in Lettere, vive a Roma.
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