Fra le esposizioni del Muse è presente anche il racconto dell’evoluzione umana (Foto: Enrico Nicosia)

Muse, dieci anni di mostre, eventi e ricerca – Prima parte

Alcune proposte del Museo delle Scienze di Trento, che a fine luglio festeggia la prima decade di attività. Opportunità di incontrare il mondo naturale da punti di vista diversi, approfondendo le questioni legate alla convivenza dell’essere umano con la fauna selvatica

Come appare il mondo agli occhi di un lupo? Quali vicende hanno accompagnato il millenario rapporto fra umani e mondo selvatico nelle Alpi orientali? Quali sono gli scenari futuri per questi luoghi unici? Da dieci anni a raccontare queste e molte altre storie è il Muse – Museo delle Scienze di Trento. Un museo, come ce ne sono pochi in Italia e in Europa, dove perdersi fra collezioni di ogni tipo, scoprire la biodiversità locale ed esotica e conoscere il dietro le quinte della ricerca scientifica e naturalistica. Sito sulle rive dell’Adige, ha raccolto l’eredità dei tradizionali musei di storia naturale del territorio combinandola con moderne esposizioni interattive, istallazioni multimediali e proposte temporanee, quest’anno festeggia i dieci anni di attività e offre nuove occasioni per conoscere il mondo naturale e le attuali sfide globali del nostro pianeta.

 

Nella mente del lupo

Con il nostro modo di abitare il mondo, allargandoci sempre di più e sottraendo spazi alla natura, la coesistenza con la fauna selvatica sta diventando uno dei temi maggiormente discussi in alcune zone d’Italia. Un filo invisibile ci lega alle creature selvatiche e si fa sempre più corto, creando problemi sia a noi che agli animali. Molto spesso però questo rapporto viene visto solo da un’angolazione: la nostra. Cosa c’è invece dall’altra parte del filo? Come vedono il mondo e la nostra presenza gli animali? Ad esempio la temporanea “Nella mente del lupo”, conclusasi a fine maggio, ha inteso farci entrare nella pelle di questo animale, mostrandoci come vive le sue giornate, si procura il cibo e come si comporta quando ci incontra.

 

 

«Volevamo dare all’osservatore una visione della coesistenza dal punto di vista del lupo e il modo migliore per farlo era guardare la realtà con i suoi occhi», dice Laura Scillitani, zoologa e comunicatrice scientifica del museo. La mostra è stata infatti un’esperienza immersiva, fatta di suoni e immagini, ove “vivere” in prima persona le vicende di un giovane lupo in dispersione alle prese con le sfide quotidiane della coesistenza, della ricerca di cibo e, forse, anche di un partner.

Il viaggio nella mente del lupo è stato realizzato nell’ambito del progetto europeo Life WolfAlps, impegnato a migliorare la nostra coesistenza con questo animale e a dare sostegno a chi vive la convivenza in prima persona: gli allevatori.

Gestire le dinamiche e i pericoli della vicinanza fra predatori e allevatori non è però facile e per farlo tecnici e ricercatori del progetto devono mettere in atto diverse strategie. «Ogni posto è differente e non esiste una ricetta unica per realizzare questa convivenza. Quello che facciamo quindi è intervenire con squadre di intervento che sviluppano delle strategie mirate per ogni situazione, in modo da trovare soluzioni durature e permettere a predatori e allevatori di coesistere negli stessi luoghi», ci spiega Scillitani che fa parte della squadra di comunicazione del progetto.

 

Il bosco visto dal lupo, come proposto dalla temporanea del Muse "Nella mente del lupo"
Il bosco visto dal lupo, come proposto dalla temporanea del Muse “Nella mente del lupo” (Foto: Enrico Nicosia)

 

Con azioni combinate in Italia, Francia, Slovenia e Austria, il progetto punta infatti a ristabilire un equilibrio fra la popolazione di lupi, in espansione sulle Alpi da ormai 30 anni, e le comunità locali. Fra gli obiettivi di Life WolfAlps c’è poi la diffusione di una corretta informazione sui lupi, ai quali troppo spesso viene attribuito il ruolo di “cattivi”, rendendone più difficile la convivenza. Il contributo del Muse da questo punto di vista è stato cruciale, grazie a conferenze e seminari aperti a tutti e un’attenta opera di debunking per sfatare le molte false notizie che circolano su questi animali.

Umani e orsi, una storia millenaria

Pensando alla coesistenza, un’altra storia in particolare lega le popolazioni del Trentino alla biodiversità locale e affonda le sue radici nella preistoria: è il rapporto fra umani e orsi. Da sempre, infatti, l’orso ha trovato nelle Alpi orientali il suo habitat naturale e da più di 10.000 anni la sua storia è intrecciata a quella umana. «La convivenza con l’orso fa parte della storia del Trentino. Con i cambiamenti del territorio e dell’uso della montagna il rapporto è ora diverso, ma caratterizza questi luoghi da sempre», racconta Rossella Duches, archeologa del Muse che insieme ai colleghi Nicola Nannini e Alex Fontana ha guidato il progetto Bears and Human, con il quale è stata tracciata l’evoluzione del rapporto umani-orsi nel tempo.

 

Alex Fontana e Rossella Duches, ricercatori del Muse, con un cranio antico di orso (Foto: Enrico Nicosia)

 

Uno degli obiettivi dei ricercatori del Laboratorio di Archeozoologia del Muse è quello di raccogliere le testimonianze archeologiche presenti in Trentino in grado di raccontare questo rapporto antico. «Nei siti archeologici più antichi troviamo molti resti animali associati alla caccia, e resti di specie domestiche in quelli più recenti appartenuti a società sedentarie», dice Alex Fontana, archeozoologo del museo. «Sono reperti che ci raccontano come gli umani si relazionavano all’ambiente naturale». Esempi di questa vita del passato si incontrano al Museo delle Palafitte del Lago di Ledro, sede distaccata del Muse incentrata su un sito palafitticolo risalente all’età del Bronzo (fra il 2.200 e il 1.350 a. C.). «Il museo mette insieme resti e ricostruzioni di un antico villaggio che sorgeva sulle sponde del lago di Ledro, animato da un’economia complessa incentrata su agricoltura e allevamento», dice Duches.

Spiegano i ricercatori che trovare resti di orsi in siti antichi del Paleolitico sia abbastanza frequente. Ledro però, considerato un sito recente, mostra una presenza insolitamente alta di orso, con alcune curiosità.

 

Reperto archeologico di orso (Foto: Enrico Nicosia)

 

«Abbiamo trovato molte mandibole e crani che presentano forature non associate al processamento della carne e della pelliccia», racconta Fontana. A cosa servivano quindi queste forature? «Sicuramente gli orsi venivano processati per scopi alimentari e per usarne le pelli, ma le forature su mandibole e crani danno l’idea che fossero sospesi all’interno delle palafitte, suggerendo un legame simbolico con l’animale», dice Duches. Una possibile risposta può arrivare dal modo in cui le mandibole venivano forate.

Crani totemici?

Conducendo test di archeologia sperimentale, usando strumenti simili a quelli che potevano essere a disposizione della popolazione dell’epoca, i ricercatori del progetto, finanziato dalla Fondazione Caritro (Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto) e portato avanti dagli archeozoologi del Muse in collaborazione con diverse università italiane, hanno riprodotto le forature su resti di animali attuali. I risultati indicano che, probabilmente, le mandibole venivano forate usando asce in bronzo e paletti in legno ed erano poi tenute sospese in strutture all’interno delle palafitte.

«Sono evidenze eccezionali che ci parlano di un rapporto unico con gli orsi, basato sul rispetto», dice Duches.

Questo rapporto nel tempo è cambiato, oggi è sicuramente più complicato come ci raccontano cronache recenti. Le ricerche del museo per indagarne la storia passata però continuano. «Stiamo lavorando a un sito archeologico dei Monti Lessini, interpretato come un accampamento temporaneo di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico, dove stanno emergendo resti ossei di orso bruno che presentano tracce insolite lasciate dagli umani», racconta Duches. «Grazie alle conferme derivanti da innovativi protocolli di analisi, in grado di farci distinguere le tracce lasciate dalla macellazione delle carcasse da quelle dell’impatto di frecce armate con punte in selce, queste evidenze rappresentano ad oggi la più antica prova in Europa della caccia all’orso condotta con arco e frecce».

 

Gli spazi del Muse (Foto: Enrico Nicosia)

 

Saperenetwork è...

Enrico Nicosia
Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare

Sapereambiente

Vuoi ricevere altri aggiornamenti su questi temi?
Iscriviti alla newsletter!


Dopo aver inviato il modulo, controlla la tua casella di posta per confermare l'iscrizione

 Privacy policy


Parliamone ;-)