L’Inferno di Dante in 232 opere d’arte, secondo Jean Clair
Successo di biglietti staccati per la mostra dedicata alla prima cantica della Divina Commedia, organizzata alle Scuderie del Quirinale a Roma in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri
Più di 100mila visitatori (120mila al 18 gennaio, secondo una nota stampa) hanno apprezzato nei tre mesi di programmazione la mostra Inferno, ideata da Jean Clair e curata dallo storico dell’arte francese insieme a Laura Bossi, tanto da spingere le Scuderie del Quirinale, a Roma, a prorogarne la durata al 23 gennaio 2022: a richiamare il pubblico, il valore delle 232 opere (concesse in prestito da oltre 80 tra grandi musei, raccolte pubbliche e prestigiose collezioni private provenienti dall’Italia e dal Vaticano, nonché da Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Portogallo, Belgio, Svizzera, Lussemburgo, Bulgaria) esposte in occasione del settimo centenario della morte di Dante Alighieri, e il favore raccolto dal percorso espositivo, strutturato sulla prima cantica della Divina Commedia, dalla porta dell’inferno fino alle stelle degli ultimi versi.
«Salimmo sù, el primo e io secondo / tanto ch’i’ vidi de le cose belle / che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. /E quindi uscimmo a riveder le stelle»
Ad aprire il cammino nelle viscere della terra, i due minuti de L’Inferno, pellicola di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan del 1911 (restaurata dalla Cineteca di Bologna), un gioiello di effetti speciali, sia cinematografici che teatrali, fatto di grandi scenografie e inquadrature ardite, che ripercorre con fedeltà i primi 33 canti, con una serie di quadri animati ispirati alle illustrazioni di Gustave Doré: un’anticipazione – e utile promemoria – di quello che attendeva varcata la prima sala.
È qui che svettava, con i suoi 7 metri di altezza, il modello di fusione in gesso (in scala 1:1) di La Porte de l’Enfer di Auguste Rodin, trasportato a Roma tramite un camion speciale dal Musée Rodin di Parigi. Dei 186 personaggi presenti, si riconosceva al centro, sul trumeau, il celebre Pensatore, sovrastato in alto da tre figure, le Ombre
.
L’inquietante gruppo del Conte Ugolino era visibile sul battente di destra. A sinistra invece comparivano Paolo e Francesca. Impossibile, a qualche metro di distanza, non rimanere estasiati dal Giudizio Finale di Beato Angelico, una tavola di due metri in cui a sinistra del Cristo ci sono i condannati, a destra, i salvi e, al centro, le tombe aperte che simboleggiano la risurrezione dei morti.
Superata la porta, si affrontava “etterno dolore” e incontrava “perduta gente”: una galleria di dannati che abbiamo imparato a conoscere sui banchi di scuola, dai lussuriosi Paolo e Francesca ai traditori, fino al più reo di tutti, Lucifero.
La mostra è stata l’occasione, tra l’altro, per ammirare la Voragine infernale di Sandro Botticelli, dipinto su pergamena che illustra la Divina Commedia, oggi smembrato, eccezionalmente concesso in prestito dalla Biblioteca Apostolica Vaticana per le prime due settimane.
Chi non ha fatto in tempo, si è potuto comunque consolare con capolavori come lo splendido Inferno di Pieter Huys, Lucifero di Franz Von Stuck, il celebre Demonio di Valladolid in legno policromo, la maestosa tela di quattro metri di Gustave Doré Virgilio e Dante nel IX girone dell’Inferno fino al Teatrino napoletano Inferno con pupi catanesi e palermitani, proveniente dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo.
Ed era proprio il teatro dei pupi, al secondo piano, a dare il là – dopo la serie dedicata a tentazioni e peccato (in cui si poteva constatare come un tema come Le tentazioni di Sant’Antonio Abate sia stato trattato da artisti profondamente distanti come Jan Brueghel, Salvator Rosa, Domenico Morelli, Paul Cézanne, Odilon Redon, Otto Dix) – alla sezione dell’Inferno in terra: dalla prigione alla fabbrica, fino alla follia, la guerra, lo sterminio.
«Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra e dissi gemendo: Chi mai potrà scamparne? E udii una voce che mi disse; l’umiltà», si leggeva profeticamente su uno dei tanti pannelli riservati alle parole dei poeti (qui è Jacopo da Varazze a scrivere in Legenda Aurea, della seconda metà del Duecento).
Come per Dante e Virgilio, anche per il visitatore la ricompensa ad attendere dopo il tragitto infernale erano le stelle: la grande nebulosa di Orione, la nebulosa Omega in Sagittario, la via Lattea immortalate dalle illustrazioni di Etienne-Léopold Trouvelot.
A suggello, il suggestivo Stelle cadenti (Sternenfall) di Anselm Kiefer – dove la dimensione spirituale e cosmica convive con una più terrena, legata alla natura e all’uomo – e una citazione di Italo Calvino, «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme».
Inutile cercare, nella traslitterazione dell’Inferno sulla terra messa in scena da Jean Clair, traccia della crisi climatica, delle migrazioni, della pandemia, dello spettro dell’estinzione di massa. Forse un accenno avrebbe calato un po’ più nella realtà di oggi un’operazione che a tratti poteva sembrare un viaggio ardito nella mente del curatore più che una discesa nella città dolente dantesca.
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Saperenetwork è...
- Antropologa sedotta dal giornalismo, dirige dal 2015 la rivista “Scenografia&Costume”. Giornalista freelance, scrive di cinema, teatro, arte, moda, ambiente. Ha svolto lavoro redazionale in società di comunicazione per diversi anni, occupandosi soprattutto di spettacolo e cultura, dopo aver studiato a lungo, anche recandosi sui set, storia e tecniche del cinema.
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